Non solo: il riscaldamento globale potrebbe avere un altro potenziale impatto: l’accelerazione della rotazione terrestre, a causa di un complicato processo causato dall’aumento del volume del liquido oceanico sulla crosta terrestre. Questo è almeno ciò che annunciano allarmati i ricercatori del Max Planck Institut per la meteorologia ad Amburgo.
Insomma, uno scenario a dir poco apocalittico, ma veritiero, essendo il risultato concreto di analisi, studi e ricerche scientifiche.
Purtroppo il destino della terra è ancora oggi legato indissolubilmente a quello degli Stati Uniti d’America, se è vero che un presidente, che prima di tutto è un individuo dotato di coscienza, ha difficoltà ad accettare i preziosi precetti dell’accordo di Kyoto che regolano il livello di emissioni inquinanti nel pianeta per ogni paese che abbia conosciuto la rivoluzione industriale. Difatti, tra i paesi non aderenti figurano gli Usa, responsabili del 36,1% del totale delle emissioni. In principio, il presidente Bill Clinton aveva firmato il Protocollo durante gli ultimi mesi del suo mandato, ma George W. Bush, poco tempo dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ritirò l’adesione inizialmente sottoscritta. Alcuni stati e grandi municipalità americane, come Chicago e Los Angeles, stanno studiando la possibilità di emettere provvedimenti che permettano a livello locale di applicare il trattato. Ma ciò non porterebbe ad una soluzione del problema, perché a questi stati verrebbe solo riconosciuto il merito di aver compreso la gravità della situazione e di aver palesemente disapprovato la politica governativa del proprio presidente.
Al Gore al contrario è stato per lungo tempo uno dei politici più sensibili ai problemi ambientali, e il suo impegno, che si è riflesso nell’attività politica, in conferenze, libri e film, ha contribuito alla lotta ai cambiamenti climatici; ben più importanti dei propri, neanche nazionali, interessi economici, in nome dei quali agiscono molti degli uomini che detengono il potere attualmente.