In conflitto con l’uniformità produttiva

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Ma verso quale futuro stiamo andando? Questa, un tempo, era una domanda che apriva a consistenti speranze: oggi è, invece, fonte di preoccupanti ansie. La «diversità» è un fenomeno naturale ed essenziale del nostro mondo: negare una qualsiasi «diversità» e imporre, anche ad una sola di esse, una uniformità, può distruggere un equilibrio, può interrompere le interazioni vitali del divenire del mondo, può trasformare virtuose relazioni creative in insanabili conflitti.
In spazi vitali, sempre più ridotti, la Natura incontra sempre più difficoltà a gestire con prudenza i suoi beni, mentre non pochi esseri umani esercitano proprie «libertà» (senza vincoli di salvaguardia delle altrui «libertà») sull’uso delle risorse naturali, sottratte, così, a «scelte alternative» e ad una responsabile disponibilità globale. Una «libertà», tutta puntata al «profitto», che impone, una volta per tutte, un inviolabile, «unico» e «gravoso» mercato dei consumi di massa, capace solo di esaurire risorse e di trasformare il suo destino di produttore di rifiuti di massa, in produttore di indebiti oneri sociali, nella consolidata pratica, delle «astute» e «vantaggiose» scelte, di «privatizzare i profitti e socializzare i costi».
Su questo stesso fronte, quasi per un ingiurioso e dissacrante gioco di contrappesi, proprio quella «diversità» delle risorse umane, detestata come fattore che si oppone alle esigenze della uniformità produttiva, è accettata, invece, con equivoca benevolenza come strumento, parcheggiato nella giungla delle incoerenze e degli equivoci, necessario per armare la concorrenza, la sopraffazione del meno competitivo, di chi, cioè, non sa mettere se stesso e, purtroppo, anche gli equilibri dei propri intorni, a «rischio» o di chi, «rischiando», perde le gare e le fa perdere a quei molti altri ancora, coinvolti nelle sue disavventure.
Com’è possibile che ciò avvenga sotto i nostri occhi, quasi fossimo estranei o indifferenti al futuro dei nostri figli e delle future generazioni di esseri umani?
Dobbiamo, forse, prender atto che, purtroppo, la «diversità» può essere spesa non solo come risorsa indispensabile per assicurare la tenuta degli equilibri naturali, ma può, anche, essere equivocamente invocata per sostenere decisioni irrazionali costruite, per interessi particolari e non condivisibili, su argomentazioni faziose e favorite dalla mancanza di informazioni critiche e comparazioni affidabili con altre possibili scelte.
La «diversità» sembra, di conseguenza, non essere un elemento, pur se necessario, di per sé sufficiente a creare la «positività», degli eventi. Come avviene in ogni cambiamento deciso dall’uomo, gli effetti prodotti dalle sue opere, dipendono dall’intelligenza e dalle intenzioni contenute negli interventi realizzati per modificare le condizioni preesistenti. La «diversità» può determinare «arricchimenti» progettuali ed operativi, ma anche «complicazioni», fino all’autodistruzione, se viene attivata una massa critica di processi entropici capace di avere una significativa prevalenza sui cicli vitali.

Com’è possibile che si ignori, e si faccia ignorare, che la trasformazione di opportunità e sinergie in virtuosi risultati di progresso umano, non è un lavoro a costo zero? Non possiamo, cioè, immaginare di contrabbandare come «scelta alternativa» (conveniente solo perché non costa nulla) il lasciar cadere a valle, senza progetto e senza futuro, i pesi del «vivere».


Ma dobbiamo, purtroppo, prendere atto che «ottenere risultati a costo zero» è oggetto di molte e diffuse aspettative che segnano profondamente la nostra visione del mondo, anche se tutti, poi, condividono la contestuale convinzione che non vi sia nulla di cui vantarsi nel far rotolare pietre verso il basso.