Dott. Saturno, può innanzitutto darci una definizione di «tufo»?
Esiste una controversia sulla nomenclatura, ma io abbraccio la definizione accolta da gran parte dei geologi: si tratta di rocce costituite dal deposito consolidato di un’eruzione esplosiva, ovvero materiali composti da ceneri, pomici e frammenti vari.
Può citare alcuni dei monumenti di Roma realizzati con questo materiale?
Nell’antichità si fece largo uso dei tufi per la costruzione di monumenti ed edifici, dai primi re sino all’epoca augustea: tra questi, le Mura Aureliane, la Cloaca Massima, buona parte del Colosseo, i templi dell’area sacra di Torre Argentina, la Crypta Balbi.
Qual è il loro attuale stato di conservazione?
Direi precario, soprattutto per quanto riguarda i tufi esposti all’esterno. Le rocce, infatti, sono abbondantemente deteriorate sia dal punto di vista chimico sia fisico-meccanico, perché si tratta di materiali che reagiscono rapidamente al contatto con l’acqua e in condizioni di elevata umidità. Alcuni minerali presenti al loro interno, infatti, si argillificano, determinandone una minore coesione; il vetro contenuto nel tufo, inoltre, tende a devetrificare e a frammentarsi.
Quali le azioni, quando si intraprende un’opera di restauro e conservazione di una struttura o superficie in tufo?
Il primo passo è, ovviamente, lo studio del materiale in questione, mediante indagini non-distruttive o micro-distruttive. Fondamentale è la comprensione delle cause e dei processi di degrado. In un secondo momento, si procede con il consolidamento e la reintegrazione del materiale degradato, nonché la protezione della superficie.
Quanto influisce l’inquinamento nei processi di degrado?
Tantissimo. Le polveri sottili e il particolato prodotti dai processi di combustione aggrediscono fortemente le superfici. L’urbanizzazione, inoltre, implica una forte modificazione del microclima locale, a sua volta estremamente impattante.
I tufi vulcanici, va detto, sono materiali ideali per vari micro e macro organismi vegetali. Quando utilizzati per realizzare monumenti, in determinate condizioni di luce e umidità, vengono colonizzati da muschi, licheni e altre specie. Ciò comporta un grosso problema per chi opera nella gestione e manutenzione degli stessi in aree archeologiche. Un esempio su tutti è fornito dal caso della Domus Aurea, che fu invasa da apparati radicali che ne compromisero fortemente la conservazione.
I problemi, in questi casi, sono molteplici: non solo di natura conservativa ed estetica, ma anche sanitaria. Chi opera su questi materiali, inevitabilmente, utilizza sostanze chimiche aggressive, pericolose, sia per l’uomo sia per l’ambiente.
Ritiene che gli interventi sinora fatti sui monumenti romani siano sufficienti a garantirne la conservazione ottimale?
Purtroppo il tufo è soggetto a una velocità di degrado maggiore rispetto ad altri materiali. Per la sola manutenzione ordinaria occorrono molte risorse economiche e di personale, per non parlare degli interventi straordinari. Le azioni, soprattutto in aree di Roma in cui l’inquinamento legato al settore dei trasporti è molto intenso, risultano quasi inefficaci. Basti pensare alla Fontana del Mosè a Largo Santa Susanna: viene continuamente restaurata, ma se non si interviene riducendo il traffico, il problema si ripropone con eccessiva frequenza. Non dimentichiamo che ogni restauro, se
pur effettuato con materiali sofisticati, è comunque traumatizzante per l’opera stessa. Non ha senso restaurare se non si eliminano, o almeno riducono, le cause del degrado.
Quali sono le zone di Roma che maggiormente soffrono delle aggressioni a carico di edifici in materiale tufaceo?
Innanzitutto, il Centro storico. Lungo le aree di maggior flusso veicolare, infatti, sono registrati i danni più ingenti. Anche le zone periferiche, tuttavia, anche se in misura minore, sono vittime di questo processo degenerativo.
Ci sono Regioni, come l’Emilia Romagna, la Toscana, il Trentino Alto Adige, la Lombardia e il Piemonte, che sono piuttosto attivi nella manutenzione dei monumenti in materiale tufaceo. Ciononostante, lo sforzo compiuto da Regioni, Comuni e Soprintendenze deve costantemente scontrarsi con la mancanza di politiche ambientali e gestionali del territorio. È necessaria una maggiore sensibilità culturale.