Insieme a Cipro, Estonia, Germania, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Spagna e Svezia, dopo l’entrata in vigore lo scorso giugno della nuova direttiva, l’Italia non ha rispettato i valori limite per il PM10 imposti nel 2005
L’Italia viola le norme sulla qualità dell’aria e l’Ue avvia procedura d’infrazione per il nostro Paese e per altri dieci. Insieme a Cipro, Estonia, Germania, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Spagna e Svezia, dopo l’entrata in vigore lo scorso giugno della nuova direttiva Ue sulla qualità dell’aria, l’Italia non ha rispettato i valori limite per il PM10 imposti nel 2005. Dopo la recente revisione della direttiva, che prevede di poter prorogare al 2011 l’effettivo rispetto dei valori, la lettera della Commissione è partita ieri per quei Paesi che entro metà gennaio avrebbero dovuto comunicare dati e azioni da intraprendere per rientrare nei parametri e non l’hanno fatto.
Le polveri sottili sono causa di gravi malattie per l’uomo e, come sottolineato dal Commissario Ue all’ambiente Stavros Dimas, vanno attentamente monitorate e rappresentano una priorità assoluta nelle politiche ambientali europee. Una nota ufficiale Ue specifica che le PM10 sono prodotte principalmente dall’industria, dai veicoli e dal riscaldamento domestico.
L’avvertimento Ue all’Italia arriva all’indomani di una serie di recenti rapporti ambientali che hanno messo al centro proprio gli inquinanti elaborando i dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale relativi alle emissioni. L’ultimo in ordine di tempo è stato presentato dall’Istat che ha reso disponibili gli aggregati Namea (National Accounts Matrix including Environmental Accounts) ovvero una matrice che integra i conti economici nazionali con i dati ambientali, per il periodo 1990-2006. Le elaborazioni dividono gli inquinanti atmosferici in tre tipologie (gas a effetto serra, gas che danno origine al fenomeno dell’acidificazione ed emissioni che portano alla formazione di ozono troposferico) e per ciascuna vengono indicate le attività umane responsabili della formazione di quella specifica tipologia di inquinante.
Emerge dalle elaborazioni Istat che nel 2006 un insieme di «attività produttive» è stato responsabile di oltre l’80 per cento delle emissioni di inquinanti ad effetto serra e di più del 90% di quelle che portano all’acidificazione. La parte restante è attribuibile alle attività di consumo delle famiglie. Va specificato che nella voce «attività produttive» sono comprese le più diverse tipologie di «azioni»: non solo industrie, quindi, ma anche agricoltura, caccia, silvicoltura, smaltimento dei rifiuti, trasporti e servizi. Tante emissioni, quindi, ma in via di diminuzione: emerge che nel periodo 1990?2006 il peso delle attività produttive nella generazione delle emissioni è andato diminuendo.
Un dato confortante viene dall’altro Rapporto Istat sugli investimenti ambientali delle imprese italiane. Nel 2006 hanno speso 1.986 milioni di euro per attività e azioni di prevenzione, riduzione o eliminazione dell’inquinamento, nonché di ripristino della qualità ambientale. La spesa delle imprese per l’ambiente è aumentata del 4,2% rispetto al 2005 e la crescita è da imputare soprattutto alle imprese di maggiori dimensioni (con almeno 250 addetti) che da sole coprono l’84% del totale degli investimenti aziendali in Italia. Le piccole e medie imprese, al contrario, hanno contratto considerevolmente gli investimenti (-17,4%).
Prima ancora dell’Istat era stata Legambiente qualche giorno prima a parlare di emissioni e smog presentando il dossier «Mal’aria», la storica campagna dell’associazione ambientalista sull’inquinamento atmosferico. Secondo l’elaborazione dei dati Ispra, nel 2006 sono da attribuirsi alle industrie il 95% del totale dell’arsenico scaricato in atmosfera da tutte le fonti, il 90% del cromo e l’87% dei Pcb, l’83% del piombo e il 75% del mercurio. Le 173mila tonnellate di PM10 sono state emesse per il 28% del totale dalle attività industriali e per il 27% dai trasporti stradali. Grazie ad un altro inventario Ispra, Ines-Inventario delle emissioni e loro sorgenti, è stato anche stilato un elenco delle industrie più inquinanti d’Italia e l’Ilva di Taranto si colloca al primo posto in ben 10 delle 14 classifiche elaborate in base ai principali inquinanti.
Dopo l’uscita del rapporto Istat, Legambiente ha puntualizzato il ruolo dei micro, oltre che dei macro inquinanti, nel monitoraggio della nostra aria.
A questo proposito è uscito a metà gennaio un nuovo rapporto Ispra sulle emissioni in atmosfera di policlorobifenili (Pcb) e esaclorobenzene (Hcb). È il primo rapporto elaborato in Italia a contenere dati sui microinquinanti e che analizza le proprietà fisico-chimiche e gli aspetti tossicologici per poi individuare i processi e le attività che possono essere causa della loro emissione. Lo studio dei Pcb e degli Hcb è un fatto recente: spesso, infatti, l’attenzione è rivolta alle diossine, mentre per quanto riguarda questi inquinanti le campagne di monitoraggio risultano in numero nettamente inferiore. (ARP)