Pesca eccessiva, pesca illegale, perdita di biodiversità, perdita di circa 85% del patrimonio mondiale di prodotti ittici, il 20% delle barriere coralline distrutto e un altro 20% è a rischio di estinzione, il 35% delle mangrovie è degradato, inquinamenti senza controlli
È passata sotto silenzio un’importante riunione tenuta alle Nazioni unite nell’ambito del Processo di consultazione informale, istituito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con risoluzione 54/33 del 24 novembre 1999, per la revisione della Legge del Mare.
La legge del mare, che è in realtà la «Convenzione delle Nazioni Unite per una legge del mare» è stata approvata nel 1982 a Montego Bay (Giamaica), al fine di regolamentare gli usi degli oceani, le attività umane, e la sicurezza delle attività umane, in mare al di fuori delle acque territoriali, e di prevenire eventuali conflitti internazionali negli usi del mare. Il processo di consultazione informale (Icp) che fu attivato nell’anno 2000 non è ancora terminato. La revisione della Legge del mare che appariva necessaria nel 1999 ora è diventata indispensabile e cruciale. A circa trent’anni di distanza, quella Convenzione comincia a mostrare tutti i suoi limiti, nonostante la vastità degli argomenti affrontati e la lungimiranza dei negoziatori di allora nell’affrontarli.
Gli oceani mondiali sono in crisi. Meno dell’1% degli oceani mondiali rientra in una riserva marina protetta. I sussidi concessi alle attività ittiche mondiali coprono il 25% del valore di mercato del pescato globale e i sussidi sono il presupposto di tutta una serie di distorsioni il cui effetto principale è la pesca eccessiva, la pesca illegale, il mancato rispetto degli equilibri biologici naturali del mare e, soprattutto, la perdita di biodiversità marina, che ha portato alla perdita di circa 85% del patrimonio mondiale di prodotti ittici.
Il tutto in una situazione in cui il 20% delle barriere coralline mondiali è stato distrutto e un altro 20% è a rischio di estinzione, il 35% delle mangrovie mondiali è degradato, le acque degli oceani si stanno acidificando, lo sversamento di petrolio e sostanze tossiche aumenta, l’accumulo in mare di rifiuti non degradabili è incontrollato (ormai ci sono isole di rifiuti che viaggiano negli oceani) e cresce a ritmi insostenibili l’inquinamento chimico ed acustico delle acque marine soprattutto costiere.
Questi e altri problemi sono stati oggetto di discussione nella dodicesima riunione sugli oceani e la legge del mare del processo di consultazione informale (Icp-12), tenuta la scorsa settimana (20-24 giugno) nella sede Onu di New York, che fa seguito ad una lunga serie di incontri cominciati, come detto, fin dall’anno 2000.
Ma, quali di questi problemi è più importante e quali da affrontare prioritariamente? Non c’è stata una scelta precisa. È stato preparato un documento da sottoporre all’Assemblea generale delle Nazioni Unite affinché, non solo si aggiorni la vecchia Convenzione sulla Legge del mare, ma si introducano anche nuovi impegni ed obblighi sulle questioni critiche del mare nell’ambito di altre Convenzioni, ma soprattutto nell’ambito degli obiettivi sulla «green economy» che si discuteranno l’anno prossimo a Rio+ 20.
La lista dei problemi da affrontare è lunga: si va dallo sviluppo sostenibile nel contesto della protezione dell’ambiente marino e della regolamentazione dell’uso sostenibile degli oceani e delle risorse biologiche, fino alla cooperazione internazionale, per affrontare le nuove sfide come i cambiamenti climatici e la lotta contro la perdita di diversità biologica, che hanno profonde implicazioni sulla salute e gli equilibri degli oceani.
Stando così le cose, per gli oceani e la protezione del mare, la strada appare ancora molto lunga e complessa. Alla chiusura dei lavori molti dei 200 delegati provenienti da varie parti del mondo, non hanno nascosto un certo scetticismo: alla Legge sul mare si potrà forse apportare qualche emendamento, ma alla Conferenza di Rio+20, per la quale si nutrono eccessive speranze, non si potrà risolvere tutto. Si potrà, forse, solo cominciare ad affrontare un complicato problema globale.
(Fonte Enea-Eai)