Pesca – Non va la proposta di riforma Ue

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Wwf: «non è ambiziosa». E l’Associazione lancia una petizione on line rivolta ai parlamentari europei e ai ministri. Troppe barche per troppo pochi pesci. La cogestione regionale. I rigetti a mare

Il Wwf, dopo il lancio di oggi della proposta di riforma della Politica comunitaria della pesca (Pcp) annunciata dalla Commissione europea, chiede al Parlamento europeo e agli Stati membri di prendere a questo punto il «toro per le corna». La riforma non è ambiziosa come si pensava e ciò richiede da parte di tutti gli attori in gioco uno sforzo preciso e costante se vogliamo che si instauri a partire dal 2013 una gestione della pesca sostenibile.

«Cresce la preoccupazione tra la società civile, l’imprenditoria di settore e i consumatori per la gestione fallimentare della pesca in Europa degli anni passati. La Politica comunitaria della Pesca viene riformata ogni dieci anni. È, quindi, questa un’occasione unica per affrontare con serietà un processo di riforma che ristabilisca una logica nel come si pesca, che permetta il recupero degli stock e che riporti fiducia ed opportunità in un settore economico disastrato», dichiara Marco Costantini, responsabile del Programma Mare del Wwf Italia. «Sebbene ci sia qualche elemento positive – continua Costantini – troppo poco si è fatto per promuovere un radicale cambiamento. È ora il tutto passa in mano al Parlamento europeo e agli Stati membri, a cui si chiede un atto di responsabilità, coerenza e coscienza».

In effetti, la proposta odierna sottolinea la necessità di portare gli stock ittici a livelli di pesca sostenibile in accordo a criteri scientifici specifici, ma manca completamente di chiari e precisi meccanismi e calendari per ottenere quanto auspicato. Manca, quindi, il come e il quando otterremo una pesca sostenibile in Europa.

La petizione

La proposta della Commissione allo stato attuale non è ritenuta sufficientemente ambiziosa per risolvere il problema pesca. Nelle acque europee, di fatto, il 70% degli stock ittici sono sovrasfruttati. Si pescano più pesci di quanti ne nascono. Specie simbolo come il tonno rosso del Mediterraneo o il baccalà dell’Atlantico sono stati enormemente sfruttati per decenni. L’Europa ha purtroppo sempre mal gestito la pesca. Abbiamo, quindi, bisogno di una vera e propria riforma radicale e coraggiosa della Politica comunitaria della pesca.

Per questo proprio oggi, in concomitanza con il lancio della proposta di riforma della Politica comunitaria della pesca proposta dalla Commissione europea, che il Wwf ha lanciato una petizione indirizzata al Presidente e ai Membri del Parlamento europeo: si può firmare sul sito.

Va anche detto, che la proposta della Commissione europea è carente, ad avviso del Wwf, di una chiara visione per ridurre quello che è il problema centrale della pesca in Europa, la cosiddetta «overcapacity»: abbiamo troppe barche per troppi pochi pesci. Mette al bando in maniera inefficace i «rigetti a mare», l’insulsa pratica di rigettare in mare specie commestibili ma di scarso valore commerciale assieme alla biodiversità distrutta dalle reti, non commestibile e non commercializzabile. È, poi, carente nel rispondere alle aspettative degli attori in gioco che chiedono una maggiore regionalizzazione e una cogestione nel settore. Inoltre, pare che l’Europa non voglia assumersi quel ruolo di leader che potrebbe avere, per responsabilità e cultura, nell’arena della gestione della pesca in ambito internazionale.

Troppe barche troppo poco pesce: l’overcapacity

Il meccanismo proposto per risolvere il problema della pesca in Europa, le «transferable fishing concessions», traducibili in Concessioni individuali trasferibili, è uno specifico meccanismo dei tanti possibili che fanno capo alla gestione della pesca in base ai diritti di pesca, i Right Base Management. Il meccanismo proposto oggi dalla Commissione europea è poco flessibile, non è caratterizzato da limiti di guardia che possano impedire la concentrazione dello sforzo di pesca, della capacità di pesca in poche barche: è di fatto una proposta di industrializzazione della pesca contraria ad ogni ipotesi di mantenimento della pesca tradizionale ed artigianale. Non sono poi previste alcune forme di revoca di queste concessioni nel caso non vengano raggiunti i limiti che consentano una pesca sostenibile. Sebbene il Wwf sia favorevole alla gestione basata sui diritti di pesca, ritiene che la proposta della Commissione avrebbe dovuto contenere proposte adattabili ai diversi contesti che caratterizzano la pesca europea. È molto difficile che una soluzione unica possa risolvere un problema annoso, radicato nella diversità.

«Non è possibile che un’unica proposta di soluzione del problema delle troppe barche possa adattarsi ad un contesto eterogeneo e complicato, che comprende pescatori di Pesce Spada in Puglia e di Baccalà in Scozia: attrezzi diversi, barche diverse, culture diverse, che difficilmente si piegheranno ad un meccanismo poco chiaro. Pare chiaro che si voglia affidare alla “legge del più forte”, e quindi al “mercato” la soluzione della pesca. Il mercato al posto della scienza per gestire la pesca. Il mercato non guarda alla conservazione delle risorse naturali, non tende all’usufrutto ma porta allo sfruttamento», continua Marco Costantini.

La co-gestione regionale

Il Wwf s’aspetta ora da parte dei parlamentari europei e degli stati membri che si proponga una coerente co-gestione della pesca a livello di bacino o di regioni: una decentralizzazione e non una devoluzione dal sentore pilatesco. I portatori d’interesse, gli attori in gioco, siano essi pescatori o ricercatori, ambientalisti o industriali, enti preposti al controllo o al commercio del pescato devono essere riconosciuti come co-gestori di un bene comune, devono lavorare assieme ed assumersi pertanto comuni responsabilità e quindi metter in atto piani di gestione ecosistemica pluriennali.

Una chiara proposta su come attuare questi sistemi di cogestione è totalmente assente dalla proposta della Commissione europea.

«Ciò che veramente sbalordisce è che manca ogni accenno ai sistemi di cogestione promossi dai pescatori artigianali in Mediterraneo. La pesca artigianale in Mediterraneo dà lavoro a 6 pescatori su 10, ma pare che questo non sia d’interesse», conclude Costantini.

I rigetti a mare o «Discards»

Il Wwf apprezza l’intenzione della Commissione di risolvere il problema dei rigetti a mare, la pratica illogica del pescare tutto e poi buttare via ciò che non è mangiabile (praticamente quasi tutto) e anche ciò che è mangiabile ma non ha mercato,come le specie cosiddette «povere». Tuttavia, la proposta che arriva dalla commissione è ritenuta inefficace e pericolosa poiché promuove la vendita di pesce sottotaglia eventualmente pescato e di quel pesce pescato eccessivamente rispetto alla quota prevista dalla scienza. Anche qui ci si affida al mercato, piuttosto che alle indicazioni scientifiche. Di fatto si lascerebbero pescare i pescatori come fanno oggi spingendoli a vendere il sottotaglia invece che promuovere l’adozione su larga scala di attrezzi da pesca fortemente selettivi.

I pescatori europei all’estero

I pescatori europei non pescano solo in Europa e oltre il 60% del pesce che consumiamo noi europei proviene da acque non europee. Ciononostante nella proposta della Commissione compaiono poche e vaghe frasi, povere di obbiettivi precisi e scadenze responsabili. L’Europa paia non voglia assumersi una posizione di indirizzo e di leadership nel promuovere a livello globale una pesca sostenibile.

(Fonte Wwf)