I giovani e la crisi, uno scandalo inaccettabile della modernità

457
Tempo di lettura: 3 minuti

Oggi non c’è lo scontro epocale fra capitale e lavoro dei secoli passati, ma si è prodotto una suddivisione del lavoro che ha creato un sistema di ingiustizie a danno, come è fatale, dei più deboli e qui i giovani sono presenti in gran numero. I dati presentati nell’ultimo rapporto Istat (rapporto 2011) non pongono dubbi. Anche i commenti degli esperti che trattano questo stesso argomento non danno adito ad equivoci (dai giovani «senza presente» o «senza futuro», richiamati dalle agenzie di informazione in rete, alle altre definizione dello stesso tono nei vari media, come quella di «generazione tradita» di un più recente articolo del 22 ottobre sull’«Osservatore Romano», a firma di Luca Possati).

C’è, poi, anche da preoccuparci se, l’informazione, troppo spesso, non vede, negli «indignatos», giovani capaci, ma un mondo di emarginati, paralizzato e senza alternative. Di loro si parla non per analizzare la sostanza dei problemi vissuti, delle attese e dei progetti, della voglia di credere in se stessi e di impegnarsi, ma per denigrare le formalità del loro essere se non proprio per criminalizzarli associando equivocamente centinaia di migliaia di giovani pacifici a qualche centinaio di violenti, supportati non si sa da chi, mandati a distruggere ogni cosa, fenomeno già noto dentro e fuori gli stadi per il gioco del calcio (ma, in questo caso, sopportato quasi con naturalezza, come un fenomeno, anche dannoso, ma manifestazione, in fondo, di una «esuberanza giovanile»).

Ma chi si occupa di queste cose? Sostanzialmente nessuno. In Parlamento i «nominati» continuano a fare ciò che da «nominati» viene loro richiesto, votare secondo gli schieramenti (e, magari, come qualcuno candidamente ha raccontato, «votare senza sapere quali fossero gli argomenti» proposti alle loro scelte «responsabili»). I governi se non distratti da amenità fatte passare come riforme epocali (cambiate poi fino a diventare incomprensibili) devono correre dietro l’economia senza riuscire a porre rimedi ai maltrattamenti da parte di un mondo della finanza che non finanzia più le attività economiche, ma fa andare le cose secondo le proprie convenienze (così come viene ben testimoniate dai loro profitti che, in questi momenti di profonda crisi, crescono a dismisura).

Dunque, e forse come è giusto, tocca solo a noi tutti, che siamo esposti ad abusi e prepotenze, assumere le dirette responsabilità del caso. Ma, questa volta, dobbiamo avere l’accortezza di non accettare soluzioni preconfezionate né di anticipare le soluzioni, teoriche o ideologiche, alla identificazione dei problemi e all’esercizio delle nostre consapevolezze e responsabilità. La fretta di arrivare a risolvere problemi, finora, non sembra abbia prodotto risultati e se li ha prodotti non erano, certamente, quelli attesi. Conviene allora ritrovare i «tempi umani» del comprendere le cose prima di considerare le alternative e di decidere. Dobbiamo reinventare, in termini informati e documentati, la riflessione sulle cose finalizzate alle scelte operative, alle sperimentazioni, alle verifiche e alle decisioni. Ma prima è anche necessario eliminare quelle montagne di senso comune e di alienazione dalla realtà che opprimono la nostra mente e fanno perdere anche il piacere delle relazioni, dell’arricchimento reciproco con lo scambio dei nostri patrimoni unici di esperienza, tutte cose vere, estranee alle «fiction» mediatiche.

Impegnarsi per il cambiamento non è difficile, il fatto è che un cambiamento è possibile solo dopo esserci liberati dai pregiudizi, dagli interessi da difendere (che non sappiamo perché li dobbiamo difendere), dagli imbonimenti e dalle compulsioni che colpiscono la solitudine di folle convinte e paganti così come richiesto dalle mode (anche se non c’è un senso in questa richiesta).

In realtà niente di difficile, anzi tanto di entusiasmante. C’è da sopportare, è vero, la fatica di un lavoro da fare, ma, se riflettiamo, è proprio sulle fatiche che l’uomo costruisce e realizza da sempre i propri progetti e il poter dare risposte alle proprie aspirazioni più profonde.

Abbiamo anche metodi provati, non di adesione a qualche suggestiva nuova proposta o a qualche più trascinante fanatismo ideologico, ma di riflessione-azione che usano come risorsa la diversità umana. Una diversità che forse, inizialmente, disorienta, ma che, poi fa ripensare al tutto in altri termini, fa cadere pregiudizi, fa riconoscere alternative, fa immaginare nuovi scenari nei quali al centro c’è una umanità e non le cose e i meccanismi scontati che, ci paralizzano e rischiano di imporsi alle nostre volontà e per sempre.