Un muro di gomma su quei rifiuti dell’ospedale di padre Pio

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Una storia iniziata nel 1977. Nel 1982 numerosi speleologi e geologi si rivolgono alle autorità competenti corredando di foto e dettagliate relazioni le loro argomentazioni. Nel 1995 tutto viene archiviato. Ora seri pericoli per le falde

Vaticano ed ecomafia, forse un po’ azzardato accostarli, ma se rivolgiamo lo sguardo e la nostra mente alla storica vicenda dell’ospedale «Casa Sollievo della Sofferenza» e della grava di San Leonardo, il connubio pare meno temerario. Di recente nuovi risvolti sul caso, ma di reali e concreti passi in avanti nemmeno l’ombra.

Dopo i tentavi del Gruppo Speleologico Dauno e della Lipu ci riprova la Federazione Speleologica Pugliese, che si è movimentata per l’ennesima volta presentando ultimamente un altro esposto, ma senza nessun esito e alcuna risposta pervenuta alle rispettive associazioni.

Facciamo però un passo indietro e ripercorriamo le tappe di questa triste e assurda vicenda. Già nel 1977 vengono ritrovati in una voragine carsica del Gargano, nell’agro di San Giovanni Rotondo e precisamente nella grava di San Leonardo, scatoloni, sacchi, contenitori e altri cumuli di rifiuti e cascami radioattivi di origine sanitaria, con la dicitura inequivocabile «Casa Sollievo della Sofferenza», un ospedale fondato da Padre Pio e finanziato dalla Regione Puglia.

Nel 1982 numerosi speleologi e geologi si rivolgono alle autorità competenti corredando di foto e dettagliate relazioni le loro argomentazioni. Ma passano anni e di risposte e giustizia nessun segno.

L’allora responsabile dell’Ufficio Igiene e Sanità Pubblica scrive al sindaco attirando la sua attenzione sulla gravità della situazione, determinata dai rifiuti altamente pericolosi che ormai minacciano seriamente le falde acquifere. Ma ancora una volta tempo e burocrazia fanno la differenza, divorando denunce e speranze.

Nel 1995 il sostituto procuratore Francesco Federici della Pretura Circondariale di Foggia chiede al giudice per le indagini preliminari l’archiviazione del procedimento penale e il gip Salvatore Russetti, senza pensarci due volte, accoglie l’immotivata richiesta.

Da allora fino ai giorni d’oggi si sono susseguite altre effimere battaglie, alcune conclusesi con omertosi «no comment» e talune, invece, anche strenuamente combattute da ecologisti come Vincenzo Cripezzi e Alessandro Paolucci, che nonostante gli ultimi ed ennesimi tentativi non hanno ancora ricevuto nessun tipo di comunicazione concernente lo sviluppo delle azioni tese al recupero del sito o alle ipotetiche azioni programmate per la bonifica.

Pertanto, è necessario che la magistratura indaghi più a fondo, in modo tale che curie e prescrizioni ostacolino meno la giustizia.