Dall’Ilva alla ricerca aerospaziale e nucleare

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L’applicazione della epidemiologia non sembra avere riscontrato molta rispondenza storico-scientifica in tutto il mondo scientifico e biologico in particolare. Non si sa mai bene quando gli studi epidemiologici sono terminati! Quello però che veramente conta è il rispetto dell’approccio scientifico

Dal punto di vista della evoluzione puramente industriale, la questione Ilva appare una applicazione di un vero «nonsense». Gli elementi in discussione sono molteplici, gli approcci estremamente complessi e multiformi. Da una parte, vengono giustamente applicate le leggi antinquinamento (Aia, ecc.), alcune delle quali sono basate su studi epidemiologici ed, ahinoi!, su statistiche a basso livello di confidenza. Dall’altra parte, si profila il fantasma della sfida all’applicazione del primo articolo della Costituzione e degli articoli che definiscono la gerarchia dei tre poteri fondamentali della Repubblica. Al momento si osservano procedure e attività sindacali ed industriali complesse la cui soluzione appare molto lontana e troppo ingarbugliata. Qualcuno intravede solo la possibilità di scontro fra il danno e la beffa.

Per una Associazione ambientalista nuova e moderna, la dichiarazione non può che rimanere entro i limiti dell’approccio sistemico, scientifico e storico tecnologico. Pertanto gli aspetti socio-economico-giuridici esulano, per statuto ambientalista, dal contesto dei termini di riferimento in esame.

Sin dai tempi del Governo Craxi era ben noto e risaputo, non solo ai massimi livelli scientifici, tecnologici e manageriali, ma anche ai «top level» governativi, che la produzione di ferro ed acciaio, in Italia e nel Mondo, avrebbe dovuto essere assoggettata ad un consistente ridimensionamento verso il basso. Già a quei tempi, i fatti economici, tecnologici e sociali avevano dimostrato ampiamente che la produzione di ferro ed acciaio stava per diventare industrialmente e tecnologicamente superata e, parzialmente, obsoleta, almeno per alcuni comparti classici di applicazione.

Di conseguenza, era necessario un forte ridimensionamento delle tante industrie italiane del campo. La Comunità di ferro ed acciaio europea (o la Ceca) era ed è ben al corrente dello stato del mercato mondiale per cui la necessità di ferro ed acciaio nel Mondo diveniva sempre più ridotta rispetto alle esigenze dei tempi passati. Così è avvenuto che della grande industria italiana dell’acciaio degli anni 60 e 70 del secolo scorso è rimasta sostanzialmente attiva solo l’Ilva, a parte piccole realtà locali.

Nei decenni, la richiesta di acciaio è calata, o, se si vuole, colata a picco poiché le tecnologie spaziali basate sulle resine, sull’idrogeno, del vetro, sulle fibre di carbonio e via di seguito oltre alla tecnologia della plastica hanno ridotto di una percentuale consistente la necessità di utensili, accessori, strumenti e apparati in ferro ed acciaio: per comprendere questa affermazione basta osservare la tecnologia delle batterie di utensili che si adoperano in cucina. Mentre nel secolo scorso e anche sino a cinquant’anni fa si impiegavano utensili di rame, ferro e acciaio, ed in seguito di alluminio, ora si adoperano soprattutto, anzi, quasi del tutto, utensili prodotti con tecnologia sviluppata dagli effetti di ricaduta delle ricerca aerospaziale e nucleare (vetroresina, ceramica spaziale, fibre di carbonio, ecc.). Di conseguenza, l’industria del ferro e dell’acciaio ha subito negli ultimi decenni una grande riduzione di richiesta e conseguentemente di produzione e di personale, corrispondente alla diminuita richiesta di mercato. In particolare, rimane strutturale l’impiego del ferro ed acciaio nel campo delle costruzioni edili, dei trasporti su rotaia, su nave ecc. I negozi di ferramenta prosperano con l’incremento di tipologie di materiali in vendita.

Senza remore né scrupoli, la concorrenza tedesca, cinese e indiana continua con forza a produrre ferro ed acciaio e fa finta di non riconoscere la semplice ed elementare situazione economica e tecnologica di forte riduzione di mercato mondiale.

Questo brevissimo ricordo della evoluzione storica della tecnologia e del mercato del ferro e dell’acciaio non include, almeno per ora, l’altra questione delle implicazioni ambientali e degli effetti sulla salute dei lavoratori e delle persone che vivono nell’ambiente circostante.

Ça va sans dire: qualsiasi Governo deve garantire il lavoro e la salute di tutti i lavoratori e della popolazione circostante di uno stabilimento come quello dell’Ilva secondo i requisiti di legge a cominciare dalla legge 81 sulla salute nell’ambiente di lavoro.

La chiusura di uno stabilimento come quello Ilva va quindi soppesata, come sta accadendo, molto accuratamente in modo molto logico e razionale oltre che con moralità ed impegno sociale nell’ambito del rispetto delle leggi applicabili e della conoscenza scientifica consolidata.

In particolare, nel caso Ilva, sembra che ci sia stato un tentativo di applicare la conoscenza scientifica in campo epidemiologico, che ha subito molte critiche. In linea di principio l’applicazione della epidemiologia non sembra avere riscontrato molta rispondenza storico-scientifica in tutto il mondo scientifico e biologico in particolare. Non si sa mai bene quando gli studi epidemiologici sono terminati: sembra che non finiscano mai! Quello però che veramente conta è il rispetto dell’approccio scientifico che impone di tenere in debito conto l’analisi del rischio che viene e deve essere elaborata in relazione alla accettabilità di eventi e fenomeni che si verificano anche in sistemi di uguale complessità. La nuova dimensione della conoscenza statistica propone quindi alcuni criteri di accettabilità del rischio che vengono normalmente impiegati dagli addetti ai lavori ma anche dal popolo implicato. Così, il popolo accetta, con appropriato livello di confidenza, il rischio di:

1. viaggiare nelle autostrade italiane anche se, in media, si verificano circa 50 morti al mese per incidenti stradali;

2. accettare l’inquinamento da anidride carbonica anche se comporta, in media, circa 1.000 morti all’anno al mondo per inalazione di anidride carbonica e ossido di carbonio;

3. continuare a vivere e viaggiare entro i centri delle grandi città anche se si verificano, mediamente, quasi 400 casi di tumori al mese per cancerogenesi dovuta all’inquinamento prodotto dai gas di scarico delle automobili e dai fumi emessi dai sistemi di riscaldamento a gas, a gasolio ecc.;

4. trasmettere e ricevere telefonate e messaggi nonostante il pur confermato inquinamento elettromagnetico, seppure mai dimostrato con approfonditi studi epidemiologici;

5. viaggiare in aerei e in treni ad alta velocità anche se il rischio di incidente è tra i più bassi [dell’ordine di uno su un miliardo (1.000.000.000) di decolli all’anno];

6. continuare a vivere a debita distanza (oltre 4 chilometri) dalle centrali nucleari in Paesi come la Francia, l’Inghiterra, la Germania, la Polonia, la Finlandia, gli Usa, la Cina, l’India, la Russia, l’Ucraina, la Bulgaria, la Romania ecc.;

7. mandare minatori in tutte le miniere del mondo con i risultati di morti statistiche annuali note, accettate ma forse irripetibili;

8. assoggettarsi in ospedali e cliniche a diagnosi e misure di Risonanza Magnetica, che è nata e rimane «nucleare», mentre la parola «nucleare» è stata cancellata per ovvie ragioni psicologiche di eliminazione di potenziali paure;

9. accettare quasi tutte le forme di analisi, esperimenti e prove cliniche in vivo su animali cavie per il bene dell’Umanità;

10. vivere vite pericolose e avventurose nelle parti meno sicure del Pianeta Terra.

L’elenco dei rischi analizzati potrebbe essere continuato a piacere ma in questo caso non sembra necessario insistere. Va reso noto però che il comparto della industria ferro e acciaio non può essere ridotto ulteriormente. Inoltre sembra che recentemente all’Ilva si sia proceduto a dare inizio alla realizzazione di un grande progetto, migliorabile, di ammodernamento dei sistemi di sicurezza e di protezioni ambientale. Inoltre, per realizzare questo progetto e mettere in sicurezza, in modo ottimizzato, lo stabilimento Ilva e per rientrare nei limiti imposti dalla legge, realizzando le debite protezioni al limite tecnologico avanzato, sembra che sia già stata spesa una somma di parecchie centinaia di milioni di euro (una somma veramente molto grande!). La efficacia e la efficienza della spesa è tutta da dimostrare, anche per altre ragioni socio-economiche di natura diversa e che esulano, come detto, dai termini di riferimento di questa analisi.

Questa ristrutturazione ambientale appare, però, molto seria e basata su opportuno ed appropriato approccio scientifico ecologico ambientalista. Essa ha imposto un appropriato processo di miglioramento delle tecnologie produttive in termini di ottimizzazione dei livelli e dei margini di sicurezza con la ottimizzazione della protezione degli addetti e della popolazione circostante al fine di garantire la minima produzione di inquinamento ambientale. Si aspettano ulteriori finanziamenti europei!

Per concludere non si vuole invogliare o suggerire una ulteriore riduzione della produzione di acciaio poiché, come detto, questo fenomeno è già avvenuto spontaneamente e naturalmente nei passati decenni. La produzione dovrebbe continuare, nei limiti già noti e previsti, rispettando al meglio i requisiti di riduzione dell’inquinamento basandosi su dati scientifici inoppugnabili.

 

Giuseppe Quartieri, Presidente Comitato scientifico circoli dell’ambiente e della cultura rurale