A Fukushima danni genetici alle farfalle

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> Giappone – L’addio al nucleare è definitivo

Trascorso più di un anno dal disastro di Fukushima Dai-ichi, si contano i danni. Si trattò di quattro distinti incidenti, occorsi presso la centrale nucleare omonima, a seguito del terremoto e maremoto del Tohoku. Dal quell’11 Marzo 2011 il crollo della centrale di Fukushima ha causato un massiccio rilascio di materiali radioattivi nell’ambiente, per il quale, purtroppo, non è ancora disponibile un sistema rapido ed affidabile che consenta di valutarne gli effetti biologici sugli organismi animali.

Per questa ragione i ricercatori giapponesi hanno iniziato a studiare i danni manifestati dalle farfalle, in particolare quelli rilevati a carico delle Lycaenidae, la famiglia delle cosiddette farfalle dalle ali impalpabili. In queste farfalle, molto comuni in tutto il Giappone, sono stati riscontrati danni fisiologici e deformazioni genetiche. Si tratta di specie ubiquitarie molto delicate, note agli addetti ai lavori per la loro sensibilità nei confronti dei cambiamenti ambientali dovuti all’inquinamento atmosferico ed idrico, al rilascio di sostanze chimiche ed alla radioattività.

Le Lycaenidae rappresentano un buon indicatore biologico dello stato di salute dell’ambiente: quando si ammalano, significa che c’è un problema nel loro ecosistema, anche se questo non è ancora di rilevante apparenza.

I dati forniti dallo studio giapponese, pubblicato in Agosto su Scientific Reports, non lasciano spazio all’incertezza.

Nel Maggio 2011 sono stati raccolti degli esemplari adulti di Lycaenidae nella zona di Fukushima, alcuni dei quali mostravano anomalie relativamente miti. La generazione F1 ha mostrato anomalie più gravi, poi ereditate dalla generazione F2. Farfalle adulte raccolte nel mese di Settembre 2011 evidenziarono anomalie più gravi di quelle raccolte a Maggio; anomalie che sono state sperimentalmente riprodotte in individui provenienti da zone non contaminate dall’esplosione, tramite esposizione radioattiva a basso dosaggio.

Sebbene non sia ancora chiara quale sia la dose minima di radioattività che provoca mutazioni nelle cellule da cui viene assorbita, Peter Jacob, direttore dell’Istituto per la Protezione dalle Radiazioni presso l’Helmholz Center di Monaco, riferisce che anche piccole quantità di radiazioni sono sufficienti per causare danni trasmissibili per generazioni.

Dopo il disastro di Chernobyl, deformità simili a quelle recentemente evidenziate nei Lepidotteri di Fukushima, furono rilevate anche negli insetti e nelle piante. Ancora oggi i ricercatori continuano ad osservare più di 100 tipologie di mutazioni genetiche nei topi di Chernobyl, ora alla 52ma generazione dopo il disastro, rispetto a quelli che vivono in aree non contaminate. Le specie più colpite dall’esplosione dell’86 furono le rondini, che ancora oggi mostrano teste molto piccole e tassi riproduttivi molto bassi.