L’Italia prima in Europa per diversità della vita

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Il ministro dell'Ambiente Andrea Orlando
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Al via la conferenza su biodiversità, aree protette e green economy promossa dal ministero dell’Ambiente con Federparchi, Unioncamere, Fondazione per lo sviluppo sostenibile alla Sapienza Università di Roma. Grazie all’ambiente: 756.000 imprese orientate all’innovazione e 82.000 posti di lavoro collegati ai parchi. Solo i benefici prodotti dagli ecosistemi marini italiani valgono 2 Imu

Nei parchi, dove la natura è protetta e valorizzata, ci sono più giovani che lavorano, più imprese, più turisti. La biodiversità vale, solo negli ecosistemi marini italiani, 9 miliardi di euro l’anno. E le aree verdi producono aria e acqua pulite, difesa dal dissesto idrogeologico, protezione contro il cambiamento climatico e i suoi effetti. La natura italiana è un asset per lo sviluppo del Paese.

È l’inizio di un percorso verso un green new deal che parte dalle risorse naturali quello organizzato dal ministero dell’Ambiente con la Conferenza nazionale «La Natura dell’Italia. Biodiversità e aree protette: la green economy per il rilancio del Paese» che si tiene oggi e domani all’Università Sapienza di Roma. Nel secondo giorno dell’appuntamento sarà presente quasi al completo il Governo, a partire dal presidente del Consiglio Enrico Letta, assieme alle massime cariche dello Stato.

L’economia del secolo scorso ha lasciato eredità pesanti al nostro Paese in termini di perdita della salute, dissesto idrogeologico, inquinamento dell’aria e dell’acqua, scomparsa di una parte del paesaggio che tutto il mondo ci invidia. Allo stesso tempo le produzioni ad alto impatto ambientale e alto spreco di risorse non hanno assicurato un benessere di lunga durata: i settori in cui anche oggi, nel mezzo della peggiore crisi del secolo, siamo competitivi a livello internazionale non sono quelli che hanno puntato al basso costo del lavoro e alla bassa qualità delle nostre produzioni, industriali e non. Il nostro Paese vince la sfida sempre più aspra della competizione mondiale se punta sulla qualità, sull’innovazione, sulla ricerca, sul territorio.
green economy, quindi, ma all’italiana, che coniuga biodiversità a paesaggio, arte a produzioni tipiche, innovazione e ricerca scientifica alle attività economiche tradizionali. I numeri, per giocare anche a livello europeo un ruolo di traino, non mancano.

Circa l’11 per cento del territorio italiano è tutelato da parchi nazionali e regionali, se si aggiungono i siti di interesse comunitario (Rete Natura 2000) la percentuale di estensione protetta arriva al 22 per cento. Nelle aree parco si calcolano 101 milioni di presenze turistiche l’anno, fortemente destagionalizzate. Nei parchi cresce il valore delle aziende che scelgono la strada della green economy e ci sono maggiori opportunità di lavoro per i giovani e le donne non solo in rapporto alle aree circostanti, ma anche rispetto alla media nazionale. La ricerca scientifica sul campo è oggi uno dei settori maggiormente finanziati, anche attraverso i progetti europei per la difesa della biodiversità.

Ma la natura non si arresta alle porte dei territori protetti. Siamo la nazione europea con la maggiore ricchezza di specie naturali: un terzo degli animali del continente vive nella Penisola, anche se l’Italia ha meno di un quindicesimo della superficie europea (UE27). La percentuale di boschi è cresciuta di quasi il 2 per cento negli ultimi 20 anni (un dato in controtendenza rispetto al crescente consumo di suolo cementificato), fornendo in linea di massima una migliore protezione da frane e alluvioni. Così come una maggiore ricchezza di risorse naturali indispensabili alla vita: aria e acqua pulite, difesa dal clima che cambia. E la natura e i servizi indispensabili alla vita che ci fornisce, normalmente non computati dai tradizionali strumenti di indirizzo macroeconomico, sono spesso appena fuori dalle porte delle nostre case. A costituire il fondamento del green new deal sono infatti anche le cosiddette infrastrutture verdi: la lunga linea di aree naturali, zone umide, rive di fiumi, campi coltivati in maniera tradizionale che traversa la Penisola e di fatto serve da vera e propria autostrada per la conservazione delle specie animali, vegetali, degli insetti impollinatori, funziona come cassa di esondazione per i fiumi contro le alluvioni, fornisce regolazione climatica contro gli eccessi del caldo. L’agricoltura biologica, il turismo verde, i prodotti tipici, il «made nella Natura dell’Italia», l’innovazione dei prodotti e dei sistemi di produzione, le eccellenze legate anche storicamente e socialmente ai territori costituiscono un patrimonio di risorse non ancora veramente esplorato, che può fornire al Paese una via di uscita dalla crisi dell’economia e dell’occupazione.

La conferenza nazionale «La Natura dell’Italia. Biodiversità e Aree protette: la green economy per il rilancio del Paese» si tiene a Roma oggi e domani, presso l’Aula Magna di Sapienza Università. L’organizzazione della Conferenza nazionale si avvale del contributo di Federparchi-Europarc Italia, Unioncamere e Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. Sarà possibile seguire on line la conferenza in diretta streaming

La cassaforte verde

I parchi sono anche aree di innovazione economica: quelli nazionali hanno dati economici doppi rispetto alle aree geografiche simili, nelle imprese (trainate dall’agricoltura e dal turismo) lavorano più giovani e donne. Nella «cassaforte verde» della natura protetta italiana sono presenti il 17% degli insediamenti produttivi nazionali, sono stati attivati più di 82.000 posti di lavoro green direttamente collegati all’attività dei parchi. A scattare la fotografia economica delle aree protette italiane sono i dati che il ministero dell’Ambiente presenta nella prima giornata di lavori della Conferenza nazionale «La Natura dell’Italia. Biodiversità e aree protette: la green economy per il rilancio del Paese», da cui emerge anche che particolarmente nei parchi nazionali le imprese crescono del doppio rispetto alle aree vicine, occupano il 10% in più di donne e di giovani, hanno una maggiore propensione sociale e cooperativa.

L’economia dei parchi nazionali ha complessivamente numeri più bassi rispetto alla media italiana, che comprende nelle statistiche centri urbani e industriali. La ricchezza complessiva prodotta nel 2011 ammonta, infatti, a 34,6 miliardi di euro, ovvero il 3,2% di quella nazionale su un territorio che copre il 5% della Penisola. Si tratta di una media comunque superiore a quella di aree socio-economiche simili che, a parità di popolazione, si attesta al 2,6%. L’economia reale, nonostante lo scarso incremento demografico, ha registrato nei soli parchi nazionali il 4,6% degli insediamenti produttivi del Paese, a fine del 2011. Questo dato è frutto di una forte crescita concentrata nell’ultimo decennio, ovvero da quando le aree protette nazionali hanno iniziato ad operare con continuità: tra il 2000 e il 2011 si registra un aumento del 12,7% degli insediamenti produttivi a fronte dell’1,9% della media italiana e del 6,7% di aree socioeconomiche simili, una velocità di crescita doppia.

Ma se i parchi vincono la battaglia dei numeri tutti economici rispetto alle aree interne non protette, quali sono i numeri strettamente attribuibili alle attività legate alla tutela della natura? Secondo i dati del 2011-2012 raccolti ed elaborati da Federparchi, nei parchi nazionali e regionali ci sono 82.00 posti di lavoro direttamente generati dalle attività ispirate e promosse dalla presenza di un’area protetta, ma non esiste a oggi una valutazione dei veri e propri green jobs. Di sicuro, la maggior parte delle nuove imprese ha una fortissima caratterizzazione «verde», e la maggioranza nasce attorno al recupero dell’agricoltura e della produzione alimentare e al turismo. Complessivamente, le imprese attive nelle aree protette nazionali e regionali sono oltre 756mila, secondo i dati forniti da Unioncamere, il 17% degli insediamenti produttivi nazionali.

L’innovazione sicuramente è di casa nei parchi e nelle aziende che operano in un’area tutelata. Nel solo settore agricolo, il 38% delle imprese che risiedono nelle aree protette (vale a dire circa 5.000) ha ridotto l’impiego di energia e/o di acqua per unità di prodotto negli ultimi 3 anni; 1.100 imprese (8%) hanno utilizzato energia da fonti rinnovabili negli ultimi tre anni e 1.800 imprese (14%) investiranno in tecnologie ambientali nei prossimi tre.

I parchi infine costituiscono una partita in attivo per lo Stato. Secondo, infatti, una stima di Unioncamere, se si ipotizza un’influenza diretta delle politiche dei parchi nazionali anche solo su un decimo della ricchezza prodotta al loro interno, si arriva a una valutazione di 3,5 miliardi di euro l’anno di creazione di valore in diretta dipendenza dell’esistenza dell’area protetta stessa. Una somma che, tradotta in tasse (Irpef, Iva, ecc.) vale circa 1,7 miliardi di euro di introiti per lo Stato, 25 volte di più di quello che lo stesso Stato spende per i 24 parchi nazionali italiani.

Un valore economico nascosto

Acqua e aria pulite, cibo sano e di elevata qualità, varietà alimentare, pesce in abbondanza, impollinazione naturale, prevenzione delle frane alluvionali, barriere naturali antierosione, mitigazione del clima, farmaci fondamentali per curare gravi malattie: questo e molto altro è garantito da un alto livello di biodiversità, ossia dalla ricchezza nel numero di specie animali e vegetali ospitate da un territorio. E l’Italia ha un patrimonio da invidiare da questo punto di vista: prima in Europa per diversità della vita, si trova al centro del Mediterraneo, inserita tra i 10 hotspot mondiali per la biodiversità.

L’Ambiente-Italia rappresenta una grande e nuova risorsa per l’economia. È questo il messaggio che il ministero dell’Ambiente ha lanciato durante la Conferenza nazionale «La Natura dell’Italia. Biodiversità e aree protette: la green economy per il rilancio del Paese».

Ma quanto valgono, in termini economici, i cosiddetti «servizi ecosistemici», quelli forniti gratuitamente dalla natura? A livello globale, da stime parziali del mensile «Nature», risulta che 17 principali servizi ecosistemici (tra cui la protezione del suolo dall’erosione, la regolazione del clima, il controllo dei gas inquinanti in atmosfera, la produzione del cibo) in 16 habitat di importanza mondiale (oceani, estuari, barriere coralline, zone umide, foreste tropicali ecc.) in termini monetari valgono abbondantemente il prodotto interno lordo globale. Altri calcoli, come quello pubblicato nel 2000 sulla rivista «Ecological Economics», fanno salire questa valutazione a 180mila miliardi di dollari annui, sempre tenendo conto solo di una parte del valore degli ecosistemi.

Secondo gli economisti, soprattutto anglosassoni, il valore medio per ettaro di una palude è di circa 2.300 dollari l’anno per servizi che vanno dal controllo delle inondazioni al filtraggio delle acque al turismo. Le aree umide europee producono complessivamente oltre 300 milioni di dollari l’anno. Nel Mediterraneo, secondo il Blue Plan delle Nazioni Unite, gli ecosistemi di confine come i delta, le paludi costiere, le lagune, valgono 2,4 milioni di euro l’anno per chilometro quadrato. Solo i benefici prodotti dagli ecosistemi marini nel nostro Paese valgono 9 miliardi l’anno, più di due Imu.

Esistono poi stime dei ritorni degli investimenti per la tutela degli ecosistemi. Secondo i dati Teeb (The Economics of Ecosystems and Biodiversity) i benefici economici netti assicurati in 40 anni dal restauro ambientale di un ettaro delle nostre foreste sono pari a 26.300 dollari (con un tasso di ritorno dell’investimento del 20%), per un ettaro di prateria a 22.600 dollari (con un tasso di ritorno dell’investimento del 79%), per un ettaro di fiume o di lago a 69.700 dollari (con un tasso di ritorno dell’investimento del 27%), per un ettaro di zona umida dell’entroterra 171.300 dollari (con un tasso di ritorno dell’investimento del 12%), per un ettaro di coste a 935.000 dollari (con un tasso di ritorno dell’investimento dell’11%). Dividendi che, se venissero effettivamente calcolati dalla finanza e della politica, potrebbero effettivamente capovolgere l’agenda delle priorità mondiali.

Fondamentali anche le valutazioni legate alle politiche di difesa dell’atmosfera e di contenimento dei danni prodotti dal cambiamento climatico: le foreste danno un contributo importante in termini di assorbimento dei gas serra che destabilizzano il clima. E questo contributo aumenta con l’aumentare della biodiversità che rende più vitale l’ecosistema bosco: ogni ettaro di superficie boschiva nei parchi nazionali accumula 5,1 tonnellate carbonio in più rispetto a un ettaro di foresta non protetta (la differenza al 2020 salirà a 6 tonnellate per ettaro). In totale il sink annuale (la capacità di cattura delle emissioni) per il sistema dei parchi nazionali è di 6 milioni di tonnellate di carbonio (è il 6% dell’obiettivo che l’Italia si è impegnata a raggiungere firmando il protocollo di Kyoto).

Numeri di aree protette e biodiversità in Italia

In Italia ci sono 24 parchi nazionali, 134 parchi regionali, 30 aree marine protette.
Se si considerano le riserve statali, regionali e le altre aree tutelate si arriva a un totale di 871 aree protette. Alle quali vanno aggiunti gli oltre 2.500 siti della Rete Natura 2000, istituiti per le Direttive su habitat e uccelli.

I parchi nazionali coprono 14.656 kmq, ovvero il 4,8% del territorio nazionale: un’estensione di poco inferiore a quella dell’intera Calabria. I parchi regionali (considerando tutte le aree e le riserve istituite con leggi regionali o comunque di competenza locale) arrivano a poco più di 17.000 kmq, pari al 5,7% del territorio nazionale, più o meno quanto il Lazio. Al netto delle sovrapposizioni, sommando l’estensione delle aree protette e dei siti Rete Natura 2000, all’incirca il 22% dell’Italia è posto sotto tutela.

L’Italia ha il più alto tasso di biodiversità in Europa. Abbiamo 5.600 specie vegetali, pari al 50% delle specie europee, e oltre 57.000 specie animali, ovvero il 30% di quelle presenti nell’intero continente. Una ricchezza che si concentra in una superficie pari ad un trentesimo di quella europea.

Nel nostro paese, le specie vegetali endemiche (quelle che vivono solo o prevalentemente nella penisola) rappresentano il 15% della flora totale, considerando anche quelle presenti nelle principali isole del Mediterraneo ed escludendo le specie endemiche alpine distribuite perciò anche fuori del territorio italiano. Sono 30.000 le specie animali che nascono e si riproducono quasi esclusivamente nello Stivale.

Il 30% degli habitat naturali italiani è minacciato (la maggior parte dei quali è collegato agli ambienti umidi di palude, costa e ripariali), così come il 45% delle 1.265 specie di animali vertebrati presenti sul nostro territorio, il 15% delle piante superiori e il 40% di quelle inferiori.

Il 15% del territorio nazionale è costituito da Ipa (Important Plants Areas), cioè area di interesse per la flora, mentre le Ifa (Important Faunal Areas), aree di interesse per la fauna, arrivano a coprire addirittura il 46% del Paese. Le foreste si estendono sul 36% del territorio italiano: dal 1990 al 2008 i boschi sono aumentati di circa l’1,8%. In sostanza, le aree della biodiversità italiana sono molto più estese di quelle dei parchi, che rappresentano dei laboratori della gestione ambientale e conservazionista.

In oltre la metà dei comuni italiani, 4.166 su 8.093, ricade un’area protetta (o un sito Rete Natura 2000). I primi sette comuni italiani per abitanti hanno nei loro confini almeno un’area protetta. I parchi non sono quindi necessariamente territori isolati o lontani dalle aree urbanizzate.

La ricerca e le attività di gestione naturalistica rappresentano una parte importante dell’attività innovativa delle aree protette:
• 1578 progetti di ricerca su specie e habitat da parte dei 23 parchi nazionali
• oltre 700 attività all’anno di censimento e monitoraggio su habitat e specie
• 45 operazioni di reintroduzione e ripopolamento nel 2011.