Latte crudo sì ma solo bollito

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bicchiere di latte
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Il rischio è rappresentato dalla possibilità di moltiplicazione nell’alimento di microrganismi patogeni (Listeria, Campylobacter, Escherichia coli, Brucella, Salmonella) capaci di generare malattie di rilievo nei consumatori

Parlando di crudismo, nella Pillola di salute della scorsa settimana, avevamo accennato alla necessità di dedicare qualche riflessione al latte (ed ai suoi derivati) che in tanti propongono di consumare crudo, non sottoposto cioè alle procedure standardizzate di trattamento finalizzate a garantirne la qualità e la sicurezza. Manteniamo la promessa.
Dei circa nove milioni di tonnellate di quintali di latte che vengono annualmente prodotti in Italia una buona parte viene utilizzate per il consumo diretto, seguendo alcuni indirizzi precisi e secondo processi assai ben definiti. Una volta munto e raccolto presso le stalle e conservato a +4°C esso viene trasportato nelle Centrali dove viene omogeneizzato con la finalità di renderne migliore la conservabilità e la digeribilità. Il processo di pastorizzazione e sterilizzazione prevede il riscaldamento sino a 72°C affinché possano essere eliminati i microrganismi patogeni che sono causa di possibili infezioni nei consumatori e di riduzione dei tempi di conservazione: un latte pastorizzato è un latte che contiene meno microbi potenzialmente aggressivi per l’uomo e che è stabile, una volta confezionato, per tempi maggiori. Una necessità industriale, insomma, ma anche una necessità igienico sanitaria.
Quando questo processo viene realizzato portando il latte a temperature superiori (121°C) si ottiene un prodotto ancora più stabile per via dell’abbattimento massiccio dei microrganismi presenti, a costo però di una rilevante ulteriore diminuzione dei principi nutrizionali in esso presenti (Latte UHT cioè Ultra High Temperature).
La microfiltrazione consiste nel far passare il latte, prima del trattamento termico, attraverso membrane con aperture di dimensioni tali da permettere il passaggio delle molecole nutritive ma non dei batteri e della componente grassa: grasso e batteri vengono poi trattati a parte ad una temperatura di 85°C (utile ad abbattere la carica microbica) e quindi riaggiunti al latte per esser sottoposti ad omogeneizzazione. La microfiltrazione, quindi, abbatte la carica batterica e consente tempi di conservazione del prodotto più lunghi con buone garanzie igienico-sanitarie.
Si trovano in commercio, infine, diverse tipologie di latte modificato, in cui sono state aggiunte componenti, dalle vitamine al calcio dai minerali ai fermenti, per renderlo più completo o più specifico. Fra queste tipologie, particolare rilevanza assume il latte delattosato, trattato cioè con lattasi in un procedimento precedente il confezionamento, che è particolarmente utile per gli individui che sono intolleranti al lattosio e che, quindi, mancano di una sufficiente quantità dell’enzima lattasi indispensabile a rompere il legame fra galattosio e glucosio (le due sub unità da cui il lattosio è costituito) e rendere quindi assorbibili le due molecole distinte.
I processi di lavorazione determinano diversi tempi di conservazione del latte: quello pastorizzato può esser conservato al massimo sei giorni, quello pastorizzato ultra filtrato al massimo dieci, quello a lunga conservazione UHT sino a novanta.
Dall’altra parte, il latte crudo è un alimento non sottoposto a scrematura, omogeneizzazione, pastorizzazione o ultrafiltrazione; esso promette di mantenere inalterate le proprie componenti di partenza vale a dire nutrienti, vitamine, provitamine, fermenti lattici ed enzimi, compreso il sapore, più salvaguardato dai mancati trattamenti industriali.
Il problema è che rimane inalterata anche la componente microbica (una parte della quale è utile ma un’altra parte della quale è una possibile fonte di disturbi e/o malattie) per cui se ne rende necessario ed indispensabile un trattamento termico prima del consumo.
Il latte munto, refrigerato e successivamente distribuito tramite erogatori alla spina deve essere consumato esclusivamente dopo una sufficiente operazione di bollitura (Decreto Legge n. 158 del 13/9/2012) proprio a garanzia della salute dei consumatori che, peraltro, devono osservare a loro volta alcune misure precise per un corretto approvvigionamento del latte dalle macchine erogatrici, per un suo giusto trasporto ed una sua valida conservazione. Pulizia dei contenitori in cui viene posto il latte distribuito alla spina, idoneo trasporto sino al proprio domicilio, giusta conservazione in ambiente idoneo una volta a casa, consumazione nei tempi stabiliti (qualche giorno) sono gli elementi critici della catena del latte crudo che, ripetiamo, deve essere consumato solo dopo bollitura. Il rischio è rappresentato dalla possibilità di moltiplicazione nell’alimento di microrganismi patogeni (Listeria, Campylobacter, Escherichia coli, Brucella, Salmonella) capaci di generare malattie di rilievo nei consumatori.
Come, d’altra parte, rimane critico il problema della qualità degli allevamenti in cui gli animali sono tenuti e le condizioni cliniche degli stessi che, se portatori di malattie sintomatologicamente ancora non evidenziate, possono trasformarsi in vettori di infezioni non contrastate da quelle procedure industriali sopradescritte capaci di azzerare il rischio.
Per saperne di più ed incuriosirvi sull’argomento vi invito a visitare il sito dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, e misurarvi in un simpatico gioco educativo che serve proprio a prendere coscienza di tutte le variabili in gioco nel consumo di latte fresco in modo da ridurne la possibile carica patogena.
Solo così si può augurare «buon latte» a tutti.

 

Carlo Casamassima, medico e gastroenterologo