L’App s’impegna a recuperare ciò che ha distrutto

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L’Asia Pulp and Paper, per produrre carta, ha distrutto per anni le foreste pluviali. Un’azione combattuta da sempre dalla rete delle associazioni ambientaliste. Ora tutti plaudono al cambio di politica del colosso cartario, ma è vero cambiamento? O solo un escamotage commerciale? E si può ricostruire ciò che è stato definitivamente perduto?

Con un impegno a restaurare o a compensare un’area di foreste vasta quanto le sue piantagioni, la Asia Pulp and Paper (App) sembra voler voltare pagina e chiudere la lunga storia di deforestazione e conflitti sociali in Indonesia. Il piano per ripristinare e conservare un milione di ettari di foresta pluviale in Indonesia, assieme alle associazioni della società civile è stato annunciato la scorsa settimana a Giakarta.
Dopo 30 anni di attività, a febbraio 2013 App aveva annunciato una nuova «policy di conservazione forestale». La rete delle associazioni ambientaliste Environmental Paper Network (Epn) aveva risposto con un documento che presentava le falle e i cavilli da chiudere e le ulteriori tappe da raggiungere perché la App potesse non essere più considerata un’impresa controversa. Tra queste, la necessità di un giusto processo per assicurare alle comunità locali il diritto sull’uso della loro terra, la necessità di recupero o compensazione delle foreste distrutte, la risoluzione di problemi sulla politica di acquisizione dei diritti di taglio e una seria politica per la conservazione delle torbiere.

«Con il suo ultimo annuncio, App dimostra il proprio impegno ad affrontare l’eredità del suo passato di impatti sulle foreste, sulle torbiere e sulle comunità locali, e questo è un passo avanti significativo», ha dichiarato Sergio Baffoni, dell’Epn Europa.

Abbiamo chiesto a Sergio di spiegarci più nel dettaglio come un’azienda che per anni ha distrutto le foreste tropicali indonesiane possa, improvvisamente, decidere di cambiar rotta.

Sergio Baffoni, responsabile campagna foreste dell’Environmental Paper Network (Epn) Europa, una rete di associazioni ambientaliste, come vede l’impegno a restaurare o a compensare un’area di foreste vasta quanto le sue piantagioni annunciato dalla Asia Pulp and Paper (App) in questi giorni a Jakarta in Indonesia e da voi sollecitata e invocata da tempo? Come si è arrivati a questa scelta da parte dell’App?
L’impegno della App a fermare la deforestazione è il risultato di venti anni di campagne ambientaliste, che ha segnato punti di conflitto estremamente duri, soprattutto in Indonesia. A partire da questo impegno, l’Epn ha messo assieme tutte le associazioni ambientaliste per identificare e rimediare a tutte le insufficienze e le debolezze della nuova policy. Prima fra tutte, la necessità di assumersi piena responsabilità del vasto danno ambientale e sociale perpetrato in oltre venti anni di attività. È importante sottolineare che se tutti i recenti impegni della App saranno correttamente implementati, la App non sarà più considerata un impresa conflittuale, ma questo non significa affatto che tale impresa sarà da considerarsi «un’impresa responsabile». Per fare ciò, un’impresa cartaria deve massimizzare la produzione di carta riciclata, e solo nelle applicazioni in cui sono assolutamente necessarie le fibre vergini, utilizzare fibre certificate Fsc. La App è ancora lontanissima da questi target.

Cosa si intende per «restaurare o compensare una foresta»? Quale delle due azioni realmente saranno messe in pratica dall’App?
All’interno delle proprie concessioni, dove aree buffer o corridoi faunistici sono necessari, la App ripianterà specie locali in modo da consentire la sopravvivenza delle specie animali. La restaurazione comprende anche la piantumazione di specie locali in alcune aree già abbattute in cui è necessario proteggere il suolo torboso dall’erosione e dall’ossidazione della torba (e quindi prevenire il rilascio di carbonio). Presumibilmente non sarà possibile ovunque ripristinare i valori ambientali distrutti, e le associazioni ambientaliste hanno ritenuto prioritaria la protezione degli habitat forestali ancora intatti in Indonesia, sviluppando il meccanismo della compensazione.

Dopo 30 anni di attività durante i quali questa azienda cartiera ha alterato e sostanzialmente danneggiato, insieme alla sua concorrente April, buona parte delle foreste di Sumatra e del Borneo (Kalimantan), ora che improvvisamente decide di non tagliare più alberi come condurrà i suoi affari? Da dove si rifornirà di cellulosa l’App?
In gran parte la App si rifornirà dalle piantagioni stabilite nel corso degli ultimi venti anni, per il resto sul mercato internazionale, sempre con un controllo volto a prevenire l’acquisto fibre legate alla deforestazione in altre aree. Per anni la App ha preferito utilizzare le «fibre miste tropicali» ossia foresta tropicale abbattuta. Ora le piantagioni di acacia sono mature, e forniscono la gran parte della materia prima.

«Gestione sostenibile» è un eufemismo moderno per permettere una «controllata» devastazione dell’ambiente naturale. Le foreste tropicali non si devono tagliare. Questo dovrebbe essere un punto fermo. Non ha molto senso permettere che vengano rasate a zero per poi impegnarsi a ripristinarle. Un ecosistema di centinaia di migliaia di anni non si ripristina nemmeno in un secolo. Le associazioni ambientaliste dovrebbero lottare per la messa al bando della deforestazione tropicale e non fare plausi a chi ha prima eliminato la loro bellezza e ora promette di ripristinarla. Perché questa scelta da parte dell’App viene apprezzata dal mondo dell’ambientalismo? Come crede che una foresta tropicale possa essere «restaurata» o «compensata»? Ripianteranno specie per specie ogni singolo albero? E gli animali? Li riporteranno in vita?
Nel caso delle piantagioni della App nessuno parla di gestione sostenibile: si tratta di continuare o meno a distruggere le foreste. Per anni la App ha convertito le foreste naturali in piantagioni, causando vasti danni all’ambiente e alle comunità locali. E per anni le associazioni ambientaliste si sono battute affinché la App smettesse di abbattere le foreste. Ora questa campagna ha raggiunto un punto di successo e la App ha fermato la deforestazione. Questo ovviamente non basta, perché secondo le associazioni ambientaliste, la App deve assumersi la responsabilità del danno ambientale già perpetrato, e questo è il senso dell’impegno alla restaurazione e alla compensazione, che difatti si estende su un’area pari alle piantagioni produttive dell’impresa.
Non si tratta di fare plausi, ma semplicemente di notare che una impresa abbatteva le foreste ha finalmente smesso e si è impegnata a pagare i danni. Tra l’altro si è impegnata a pagare compensazioni anche alle comunità locali per i numerosi conflitti generati negli anni passati.
Certamente il pagamento del danno non riporta indietro il tempo, ma è un principio importante per la prevenzione. È come per il noto principio «chi inquina paga»: meglio sarebbe non inquinare, e non c’è pagamento che possa sanare interamente uno sverno di inquinanti chimici nell’ambiente, ma è ugualmente un principio importante, perché significa che qualsiasi impresa deve essere responsabile per gli impatti ai danni della società e dell’ambiente.
Bisogna inoltre tenere conto che il principale competitore della App, la April, sta continuando a convertire foreste in piantagioni e al tempo stesso una miriade di imprese dell’olio di palma sta abbattendo le foreste per espandere le proprie piantagioni. Le associazioni ambientaliste si augurano che anche queste imprese fermino immediatamente la deforestazione.

Il milione di ettari che l’App si impegna a proteggere si sovrappone alle sue concessioni o si tratta di aree già tutelate dai parchi nazionali per le quali vi è già una tutela governativa e internazionale e, per cui, la promessa dell’App non sarebbe altro che un bluff?
Dove è ancora possibile e prioritario restaurare i valori ambientali danneggiati, ovviamente, questo avverrà all’interno delle concessioni. Ove questo non è possibile, la App si è impegnata per la restante superficie ad attivarsi assieme alle Ong per proteggere are non protette (e attualmente minacciate) in habitat particolarmente preziosi. Le associazioni ambientaliste hanno premuto affinché la compensazione non avvenga con l’acquisto da parte della App delle aree da proteggere, per prevenire possibili dinamiche di land-grabbing. Saranno invece istituiti trust-fund indipendenti a cui la App contribuirà sostanzialmente.

Quando l’App parla di corridoi ecologici nelle sue concessioni, conferma di avere ancora aree di foresta in cui taglierà, o smetterà di tagliare anche lì… altrimenti a cosa servirebbe un corridoio ecologico in un area non gestita?
La App ha fermato il taglio delle foreste naturali nel febbraio 2013. Quando si parla di corridoi ecologici, la App conferma l’esistenza di frammenti di foresta ancora intatti (sia all’interno sia all’esterno delle proprie concessioni), i quali necessitano urgentemente di essere connessi da corridoi, poiché la fauna rischia di non sopravvivere in frammenti isolati.

L’impegno a non tagliare più foresta vergine deriva dal fatto che oramai quasi tutte le foreste di Sumatra e del Borneo non si possano più considerare effettivamente vergini e quindi sfruttando questo escamotage l’App continuerà effettivamente a deforestare l’Indonesia?
L’impegno della App non menziona le foreste vergini. La App si è impegnata a non abbattere più foreste naturali e continuerà a sviluppare piantagioni solo in aree spoglie o con recente arbustaglia (young shrub), sempre che non vi si trovino valori particolari di biodiversità. L’impresa si è anche impegnata a non acquisire da altri piantagioni o aree in cui le foreste sono state abbattute dopo il febbraio 2013, ossia la data del proprio impegno a fermare la deforestazione.

Ringraziamo Sergio Baffoni, le sue risposte appaiono confortanti e l’impegno dell’Epn encomiabile. Se l’App davvero smetterà di deforestare sarà un passo importante per la difesa della straordinaria biodiversità delle foreste indonesiane. L’impegno dell’azienda potrebbe essere anche d’esempio per altre multinazionali che operano nelle aree tropicali per ricavare legname, cellulosa o per coltivare le palme da olio. Il tempo saprà dirci se davvero questa sofferta battaglia sarà un successo per le foreste. Varrà, però, la pena di non dimenticare che soltanto lottando affinché chi deforesta illegalmente (o legalmente, ma danneggiando comunque l’ecosistema forestale) venga arrestato e sanzionato economicamente (e adeguatamente), soltanto combattendo affinché non vi sia necessità di compensare perché non vi sarà nulla da «ristrutturare» poiché si sarà totalmente annullata la deforestazione tropicale e soltanto impedendo alle aziende del legno e degli oli tropicali di continuare nella propria opera distruttiva, che prima rasano al suolo le foreste e poi tentano di ripulire la propria immagine con promesse e compensazioni, soltanto allora ci sarà qualche speranza per i più straordinari scrigni di diversità e bellezza del pianeta.
Sino ad allora le associazioni ambientaliste e tutta l’opinione pubblica dovrebbero pretendere qualcosa in più di annunci e promessi «restauri» (che in natura, al contrario che per i beni culturali, non sono mai possibili completamente, basti pensare che non è possibile riportare in vita le specie estinte) da parte di coloro che si sono arricchiti per anni ai danni dell’ambiente.
Forse sono finiti i tempi in cui gli ecologisti si legavano agli alberi o bloccavano l’accesso ai tir. Forse è un epoca di dialogo e mediazione. Di collaborazione col «nemico». Forse, però, questo cambio di strategia rischia, alla fine, di non essere tempestivo e, sotto sotto, di fare sempre l’interesse delle multinazionali, spacciando per successi meri accordi commerciali, che illudono l’opinione pubblica che qualcosa sia cambiato, quando invece il rumore dello schianto degli alberi è lo stesso… solo che viene coperto dagli slogan.
Parafrasando un vecchio paradosso: «Se un albero viene tagliato e cade in una foresta, ma nessuno lo sente, fa rumore?». Forse sì, forse no. Ma se un albero viene tagliato e cade in una foresta, anche se nessuno lo vede o qualcuno vuole nasconderlo, non c’è più. Per sempre.