Passando dai tessuti dei vari organi degli esseri viventi, a quelli dei composti biologici, a quelli di singole molecole complesse, per arrivare, poi, anche alla struttura dei prodotti più semplici (individuati da una stessa formula chimica) o di quelli tecnologicamente combinati (formati cioè da un insieme chimico-fisico di vari prodotti, che formano materiali compositi), incontriamo tutta una diversità di tessuti tenuti, nelle loro strutture, da equilibri fra i loro componenti, ma soprattutto incontriamo le sinergie che tali tessuti sono capaci di realizzare.
I materiali organici e inorganici, articolati in unità che «annodano», in uno stesso substrato complesso, atomi e molecole diverse (per formare «tappeti» continui di tessuti organici o per strutturare particolari «edifici» molecolari), sono condizioni necessarie per dare origine a fenomeni vitali. Sembra, purtroppo, che siano ancora in molti a non interrogarsi e a non attribuire un senso, pur nell’incompiutezza delle nostre conoscenze, all’incontestabile correlazione fra fenomeni vitali e complessità degli equilibri che li alimentano. È ancora troppo elevato il numero di quei «geni della semplificazione» che, invece di riflettere e trarre significati e motivo di confronto, sul senso vitale espresso dalla complessità dei fenomeni naturali, preferiscono ridurli nelle dimensioni, del tutto inadeguate, di una banale lettura deterministica di eventi sequenziali (come se tutto fosse un meccanismo con movimenti diversi, ma prevedibili, perché tutti ridotti in forme obbligate e già preordinate).
È, questa, una deviazione che trova, nei falsi convincimenti sull’assoluto delle verità scientifiche, molti sostenitori e, in particolar modo, anche fra chi, pur avendo competenze specifiche (ma non operando in situazione di ricerca), non si interroga sul perché, se la scienza produce verità assolute (come si vorrebbe sostenere), la ricerca su quelle stesse verità non termina mai e anzi la loro confutazione è del tutto inarrestabile. Una conduttrice del programma Radio 3 Scienza, in una recente trasmissione, è arrivata addirittura a meravigliarsi per una diffusa contestazione, da parte degli ascoltatori, sul significato di alcuni dati «scientifici», in quella sede proposti come verità non contestabili, a sostegno di una presunta «accertata sicurezza» degli Ogm. Dovremmo, tutti, dare per acquisito, invece, che scelte umane estreme (in questo caso, quelle di modificare artificiosamente il Dna di una specie vivente, come se si trattasse di banali operazioni meccaniche, senza relazioni e non, invece, di alterazioni di equilibri complessi) non possono essere fondate su improbabili e false certezze assolute, ma sulla partecipazione informata, a valutazioni di rischio/beneficio, solo in situazioni di emergenza, in specifici contesti e comunque sempre con una diffusa e decisionale riflessione-confronto sulle alternative possibili.
Oggi, invece, c’è una mancanza di riflessione-confronto. Una mancanza forse predisposta per soddisfare qualche celato interesse o, quantomeno, solo intenzionalmente ricercata, per un più fluido, semplice e rassicurante percorso di scelta (non «disturbato» cioè dalla capacità umana di saper pensare) e che favorisca il mito, ahimé distruttivo, dello sviluppo attraverso l’economia di mercato e della «cultura» dei consumi. Una mancanza di riflessione che, di fatto, sembra finalizzata alla semplificazione della gestione di ogni problema che può così essere ridotto nell’ambito di visioni assolute e deterministiche (imposte nella forma di infertili processi lineari senza alternative). Una mancanza di riflessione che genera sottovalutazioni e porta a rimuovere, come insignificanti fatti formali, tutte le contraddizioni di una libertà individuale assoluta, del «fare» qualsiasi cosa, idiotamente legittimata dalla devastante fattualità del poterla fare, anche senza senso e solo per proprio piacimento e interesse.