La bontà mitica delle idee semplici e trasparenti

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Sono molte le situazioni, riconoscibili anche nel nostro vissuto, che mostrano quanto possano essere equivoci e pericolosi, i riferimenti, la ricerca e la pratica delle sole buone idee. Queste ultime, potranno forse motivare le speranze di un futuro migliore, ma nel concreto, del presente e del futuro possibile dell’uomo, non saranno mai sufficienti per un progresso umano. Infatti, al di là delle sole buone idee, c’è il rischio, dello sfinimento e dell’impotenza, vincente e paralizzante, del senso comune delle cose che le accompagna. Siamo esposti a rischi anche estremi se, al di là delle buone idee, tutto il resto rimane in balia di incontrollabili distruttivi attacchi, al sistema degli equilibri vitali, se tutto viene affidato, cioè, alla pratica di conflitti competitivi, fra pochi prepotenti, detentori convinti di proprie vaghe verità, fatte a misura dei propri interessi.

Sospesi dall’esprimere qualità umane, ci lasciamo conquistare dalle idee semplici e trasparenti e siamo indotti a offrire loro il nostro consenso. Rischiamo, così, di adeguarci a una cultura acritica che osserva, perfino con sorpreso compiacimento, le applicazioni e gli effetti di una tecnologia sempre più avanzata e distruttiva che, però, ci affascina con le seducenti trasparenze con le quali viene messa in mostra e fatta apparire come miracolosa. Una tecnologia frutto diretto di conoscenze settoriali dei fenomeni che, forse, neanche sappiamo quale volontà la promuove e quale tipo di vantaggi può procurare. In questo scenario viene spesso invocata la scienza, lasciando intendere una sua diretta e virtuosa relazione con la tecnologia: in realtà sono due campi di indagine, per lo sviluppo di saperi, con fondamenti diversi. La scienza ricerca nuove conoscenza sui fenomeni naturali che diventano patrimoni condivisi di esperienze umane, la tecnologia cerca, invece, applicazioni delle conoscenze, da trasformare in oggetti e servizi (sequestrati da un’artificiosa proprietà intellettuale, finalizzata al fare e consumare le cose, fonte di profitto e ormai del tutto dissociata da finalità di miglioramento della qualità della vita umana). La scienza, pur se oggi viene ridotta in ambiti sempre più specialistici, privati di una visione sistemica dei fenomeni naturali, è la fonte delle nostre risorse più creative, delle nostre esperienze più vitali e di quelle ricerche cognitive necessarie per nuove esplorazioni e visioni della realtà, nelle sue diverse dimensioni. La scienza non può, dunque, rischiare di essere confinata nei laboratori a fare solo la raccolta di dati sperimentali, di calcoli e verifiche sulla plausibilità di modelli, leggi, teorie e sui meccanismi di fenomeni affrontati solo con l’analisi dei pochi e gestibili parametri a nostra disposizione. Tanto meno può essere finalizzata solo alle applicazioni tecnologiche: sapere come fare le cose senza interrogarsi anche sul perché farle, non è una prospettiva umana di vita. Gli approcci analitici che suddividono la conoscenza, in un’infertile e disconnessa somma di dati e informazioni, ne disperdono il senso fino a occultare la rilevanza, operativa e concettuale, della complessità dei fenomeni naturali come condizione unica e necessaria per assicurare la tenuta degli equilibri vitali e per interrogarci sul loro senso.
Le attività finanziarie e il mercato sono elementi di razionalizzazione delle risorse. Ma dove mai potrà andare un mondo nel quale le attività finanziarie fanno riferimento a banali e devianti idee e opportunità per speculazioni predatorie e nel quale il mercato è stato trasformato in un sistema di diffusione senza controllo di consumi compulsivi (che creano profitti solo distruggendo risorse)? Dove mai potrà andare un mondo nel quale, al di là del vetro di una ipertecnologica borsa valori (con un gioco trasparente di sole promesse, ma con opachi processi e risultati, in un mercato di capitali, obbligazioni e titoli azionari) agisce un’autoreferente e arrogante idea di poter imporre equivoche e asimmetriche verità assolute sull’uso del denaro e di poter convincere sulle pari opportunità, pur se del tutto improbabili, di ricchezza per tutti? Andando oltre le prospettive raccontate, la realtà dei nostri giorni offre, seguendo i riti delle ricorrenze speculative, solo scenari di crisi di varia natura (anche là dove il Pil cresceva, fino a pochi mesi fa, a due cifre) e che ora siamo costretti a rimediare adattandoci a peggiori condizioni di lavoro e accettando indebiti sacrifici economici, sociali, culturali con dannose ricadute in tutte le direzioni.
L’attuale liberismo economico, quello che cerca ancora di accreditarsi come una buona idea di governo del mondo, ha generato, in realtà, una macchina senza regole che non accetta di presentare, in una vetrina trasparente, l’irresponsabile rischio globale (se non anche l’incompetenza o la malafede, messa in atto da chi opera nei suoi scenari) di puntare, risorse economiche prese in gestione, su scommesse finanziarie anche fallimentari e preordinate. Una macchina che mostra la sfrontata sicurezza di non dover, poi, rendere conto a nessuno del proprio operato e, in particolare, di non doversi giustificare con una catena di sprovveduti risparmiatori e ingenui speculatori, implicitamente complici in quanto, pur avvertiti sulle seduzioni dell’azzardo, hanno accettato, almeno formalmente, grandi rischi finanziari in cambio di sogni (da consumatore benestante) o per appagare l’ossessioni di una di ricchezze senza limiti, ricercata per soddisfare le proprie incontinenti avidità.
In realtà, se riflettiamo sui meccanismi, possiamo renderci conto di essere in presenza, senza averne una chiara visione, di un sistema che impone una tassa su ogni nostra scelta (una tassa anche di notevole entità e, in ciò, qualcuno potrebbe anche riconoscere un’attività quasi al limite del brigantaggio economico organizzato e finalizzato all’estorsione legalizzata di denaro). Una tassa che non traspare come tale dalle vetrine (che mettono in mostra, invece, le mistificanti virtù del regime liberista) in quanto sarebbe un prezzo dovuto, un prezzo da pagare per mantenere efficiente il libero mercato dei consumi. Tasse imposte anche, per sostenere i costi di ingiustificate intermediazioni, di profitti senza controllo e di quella pubblicità che, se forse è l’anima dei consumi, non è certo informazione per consapevoli valutazioni e scelte di vita.