Purtroppo, non solo per «pigrizia», ma anche per i maggiori, pur se esigui, profitti, che si possono realizzare «risparmiando» sul trattamento dei residui (e non solo di quelli agricoli), viene prodotto un danno che alla comunità costa non solo in termini di spesa per il risanamento, a suo carico, dei territori, ma anche in termini di degrado che in varie forme, anche se a lungo termine, può colpire il valore economico e sociale di quegli stessi territori.
Una situazione che può essere interpretata come effetto di un egoismo, che viene ridotto ad unico motore dei nostri comportamenti più impulsivi e che porta fatalmente al degrado anche dei luoghi fisici e immateriali dei nostri intorni di vita. Eppure c’è tutto un mondo vitale, con il quale converrebbe condividere le nostre diversità e gli interessi verso i beni comuni, che offre occasioni per costruire ampi patrimoni di esperienze e di conoscenze da integrare per arricchirci delle migliori occasioni alternative di scelta (di tutte quelle cose, cioè, necessarie per creare sinergie vitali fra le diverse realtà dei nostri vissuti).
Preferiamo, invece, essere assenti per avere, forse, l’alibi di non sentirci colpevoli e di sentirci comunque assolti, per non aver formalmente contribuito, con una nostra partecipazione, alle cose che avvengono. Ma l’ignavia, l’ipocrisia della neutralità, la negligente valutazione delle conseguenza, non permettono di non sentirci responsabili e, poi, non coinvolti nel dover rendere conto dei danni procurati da nostri inetti comportamenti e ingiustificabili omissioni. Comportamenti che incidono sulla qualità della nostra vita, riducendola ad un’avvilente sopravvivenza, declinazione degradata di un nostro indistinto modo di esistere. Omissioni che sono segni di inerzia, di una resistenza alla partecipazione, che ci convince sull’esistenza di un destino che governa la vita, che annulla il nostro saper operare e pensare le cose e la nostra autonomia nel condividere e perseguire finalità e obiettivi.
Rifiuti solidi e reflui liquidi sono risorse di tutti da curare e non sono, invece, scarti individuali ingombranti e nocivi, sempre più ingestibili per una loro decrescente qualità e per quell’aumento delle loro quantità che è anche possibile riscontrare, a occhio nudo, in non pochi luoghi dei nostri scenari di vita.