Mediterraneo, troppo rumore sott’acqua

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Gli scienziati hanno mappato il rumore dal 2005 al 2015. L’incremento delle attività di ricerca sismica è particolarmente sorprendente, soprattutto in connessione con le esplorazioni di petrolio e gas che utilizzano i cosiddetti «airgun» che inviano un forte rumore impulsivo, che può raggiungere 260 deciBel, verso il fondo del mare ogni 10-12 secondi per settimane e mesi. Nel 2005 questo avveniva sul 3,8% della superficie del Mediterraneo ma nel 2013 si è saliti al 27%

Il rumore subacqueo nel Mar Mediterraneo: gli scienziati presentano la prima mappa che riflette la distribuzione e la densità delle sorgenti di rumore subacqueo nella regione. Al progetto ha partecipato anche il Centro Interdisciplinare di Bioacustica e Ricerche Ambientali (Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente) dell’Università di Pavia.
Il rapporto finale del progetto di ricerca internazionale – commissionato da Accobams (Agreement on the Conservation of Cetaceans in the Black Sea, Mediterranean Sea and Contiguous Atlantic Area) per valutare la quantità, tipologia e distribuzione delle principali sorgenti di rumore in Mediterraneo nel periodo 2005-2015, è stato presentato pubblicamente giovedì 21 gennaio 2016.
Il rumore subacqueo è riconosciuto come una forma di inquinamento che ha un impatto negativo sui mammiferi marini e sull’intero ambiente marino. La ricerca pone anche in risalto le zone di concentrazione delle attività rumorose e la loro adiacenza e sovrapposizione con aree importanti per la sopravvivenza e la conservazione dei mammiferi marini. La sovrapposizione di molteplici sorgenti di rumore può produrre complessi effetti negativi, sinergici e cumulativi, che difficilmente riusciamo a valutare. La ricerca indica la necessità di una visione di insieme delle molteplici attività umane che producono rumore subacqueo e sottolinea la difficoltà di ottenere informazioni che siano adeguate alla necessità di attuare politiche di tutela e conservazione dell’ambiente marino.

Gli autori del rapporto sono Gianni Pavan, professore di bioacustica terrestre e marina, Cibra-Dsta, Università di Pavia, Italia; Alessio Maglio, responsabile per le valutazioni ambientali marine, Sinay Sas, consulenza ambientale, Francia; Manuel Castellote, PhD, ricercatore del Programma di valutazione dei Cetacei ed Ecologia presso il National Marine Mammal Laboratory del Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration), Usa; Silvia Frey, PhD, direttore scienza e istruzione, OceanCare, Svizzera.
Ci sono varie zone chiaramente identificabili all’interno del bacino del Mediterraneo in cui le attività che producono rumore si sovrappongono. Molti di questi cosiddetti «hotspot» di rumore si sovrappongono con importanti habitat dei cetacei. Si tratta di una conclusione raggiunta da scienziati provenienti da Francia, Italia, Svizzera e Stati Uniti che, per la prima volta, presentano una mappa a livello di bacino che mostra la distribuzione e densità delle principali sorgenti di rumore antropiche nel Mar Mediterraneo.
I risultati del rapporto «Overview of the Noise Hotspots in the ACCOBAMS Area, Part I – Mediterranean Sea» per il periodo 2005-2015, sono tratte da un set di dati che copre 1.446 porti e porticcioli, 228 piattaforme petrolifere, 830 attività di esplorazione sismica, 7 milioni di posizioni di navi, le informazioni pubbliche riguardanti le attività militari, nonché 52 progetti di impianti eolici in mare.
L’incremento delle attività di ricerca sismica è particolarmente sorprendente, soprattutto in connessione con le esplorazioni di petrolio e gas che utilizzano i cosiddetti «airgun» che inviano un forte rumore impulsivo, che può raggiungere 260 deciBel (ref 1 microPa), verso il fondo del mare ogni 10-12 secondi per settimane e mesi. Nel 2005 questo avveniva sul 3,8% della superficie del Mediterraneo ma nel 2013 si è saliti al 27%. Gli scienziati hanno anche evidenziato che in media circa 1.500 navi commerciali sono contemporaneamente in navigazione nel Mediterraneo, senza contare le imbarcazioni da diporto e i pescherecci. Considerando che i dati riguardanti le attività militari (come le esercitazioni navali con uso di sonar a media e bassa frequenza per il rilevamento sottomarini) non sono generalmente disponibili al pubblico, i dati disponibili rappresentano una sottostima della realtà.
Attraverso queste mappe, non disponibili in precedenza, gli scienziati rivelano diverse aree critiche sovrapposte ad aree che sono di particolare importanza per le specie di mammiferi marini sensibili al rumore, e/o aree che sono già dichiarate aree protette. Tali importanti habitat per i cetacei sono il Santuario dei Cetacei «Pelagos», il Mar Ligure, il Canale di Sicilia, e parti della trincea ellenica, così come le acque tra le isole Baleari e la Spagna continentale dove le attività che producono rumore si sovrappongono. Il rischio per gli animali marini in tali aree è quindi alto, in quanto sono esposti a diverse fonti di rumore con effetti cumulativi e sinergici, e quindi sottoposti a elevate fonti di stress.
Tale minaccia è stata riconosciuta anche dal governo spagnolo. Il loro ministero dell’Ambiente ha recentemente annunciato che le acque tra le isole Baleari e la Spagna continentale saranno designati come «corridoio di migrazione protetto per balene e delfini», che comporterà misure di gestione rigorose per le attività che producono rumore.
«Per la prima volta abbiamo una vasta visione spaziale e temporale delle molteplici attività umane che producono rumore subacqueo e che spesso sovrapponendosi possono avere effetti sinergici e cumulativi sulla vita marina. Ora dobbiamo sviluppare modelli per mappare i livelli sonori e di esposizione sonora. Non dobbiamo dimenticare che tutela dell’ambiente significa anche conservare la “qualità acustica” degli habitat», spiega Gianni Pavan, co-autore del report e professore di Bioacustica dell’Università degli Studi di Pavia, Italia.
«Questa relazione è la prima base per uno sviluppo mirato di misure di riduzione del rumore. Si sottolinea l’urgenza di intervenire per istituire un registro di dati trasparente sulle sorgenti di rumore antropiche nel Mar Mediterraneo e per predisporre misure di riduzione», afferma Silvia Frey, PhD, co-autore del rapporto e direttore per la scienza e l’istruzione a OceanCare. L’implementazione di un tale registro è anche parte dell’attuale piano d’azione della Direttiva Quadro sulla Strategia Marina Europea.
«Con questo rapporto per la prima volta abbiamo una valutazione acustica dell’habitat marino Mediterraneo. Finora avevamo solo una visione parziale di poche sorgenti e in aree limitate. Ora c’è però bisogno di ulteriori indagini scientifiche sui livelli di rumore all’interno del Mediterraneo ed è necessario valutare quale sia un limite di rumore accettabile e sicuro. Questa prima valutazione è importante e la portata delle sorgenti di rumore preoccupante», spiega Frey.
«L’attuale mappatura rivela anche carenze di dati, ad esempio alcune zone attualmente identificate come “silenziose”, in particolare lungo la costa di Nord Africa, appaiono tali probabilmente anche a causa della mancanza di dati. In particolare, le informazioni dalle compagnie petrolifere, così come anche dai militari, rimangono perlopiù oscure», aggiunge Nicolas Entrup, consulente per l’inquinamento acustico subacqueo per OceanCare e per l’organizzazione americana Nrdc.
«Le attività umane che utilizzano forti fonti di rumore sembrano essere presenti in porzioni molto grandi del Mediterraneo, e, naturalmente, i relativi impatti sulla fauna marina si propagano indipendentemente dai confini umani. Anche se lontano dall’essere esaustivi, i risultati riportati in questo studio sottolineano la necessità di un quadro normativo che tenga conto degli effetti transfrontalieri del rumore antropico sull’ambiente marino», sottolinea Alessio Maglio, co-autore e ricercatore presso Sinay Sas.
Manuel Castellote, PhD, co-autore e scienziato al Noaa conclude: «Con questa relazione abbiamo appena colto la punta dell’iceberg per quanto riguarda le emissioni di rumore subacqueo nel Mediterraneo. Una delle principali preoccupazioni è la quantità di paesi mediterranei “silenziosi”, in silenzio quando si tratta di condivisione delle informazioni, non per il silenzio sott’acqua!».

> Il rapporto