Ecco le evidenze dei cambiamenti climatici

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La seconda giornata Scienza e Ambiente all’Università dell’Aquila, organizzata da tre docenti dell’Università dell’Aquila (Giovanni Pitari, Gabriele Curci e Antonio Di Sabatino) è stata dedicata alle «Evidenze del cambiamento climatico» svolta come un viaggio multidisciplinare «Dalla scala globale a quella locale». L’interesse dei giovani presenti. Dati e documentazioni dallo spazio agli adattamenti di insetti e piante

La necessità di avvicinare il grande pubblico e in particolare i giovani ai temi del cambiamento climatico è ormai ben chiara a tutti coloro che lavorano nel settore. La Cop21, la conferenza dell’Onu tenutasi a Parigi nel dicembre 2015 in cui i capi di Stato di tutte le nazioni hanno sottoscritto il Paris Agreement, impegnandosi a ridurre le emissioni e a contenere il surriscaldamento globale entro i 2°C nei prossimi anni, ha riportato all’attenzione internazionale questo tema.
Come si è visto a Parigi, a discutere ed infine a decidere sulle azioni da intraprendere per ridurre le emissioni di CO2 sono i leader politici, a loro volta rappresentanti dei comuni cittadini. Per questo motivo è fondamentale che la scienza, oltre ad analizzare e studiare il problema in modo scientifico, si assuma anche l’onere di rendere il più possibile informati tutti riguardo le cause e le possibili soluzioni, in modo che una popolazione edotta su questi argomenti possa sia compiere scelte più consapevoli in politica e nella vita di tutti i giorni, sia evitare di essere distratta dalle numerose teorie complottiste che a riguardo prolificano sulla rete (ad esempio scie chimiche e altri complotti «climatici»).

Le evidenze del cambiamento climatico

La seconda giornata Scienza e Ambiente all’Università dell’Aquila, organizzata da tre docenti dell’Università dell’Aquila (Giovanni Pitari, Gabriele Curci e Antonio Di Sabatino) è dedicata alle «Evidenze del cambiamento climatico» e si presenta come un viaggio multidisciplinare «Dalla scala globale a quella locale». La prima parte degli interventi si focalizza sugli effetti del cambiamento climatico a livello globale.
A rompere il ghiaccio è il prof. Vincenzo Rizi (Università dell’Aquila) che porta il pubblico ad Hollywood ricordando come Leonardo di Caprio, fresco vincitore dell’Oscar, nei suoi ringraziamenti abbia richiamato l’attenzione sui cambiamenti climatici, sottolineando come questo non sia un argomento relegato al ristretto circolo degli scienziati, ma sia qualcosa che riguarda ognuno di noi e che la ricerca di una soluzione non è più procrastinabile.
Entrando nel vivo delle questioni scientifiche, il prof. Rizi introduce il concetto chiave, ovvero la temperatura media globale e mostra che il suo incremento negli ultimi 50 anni, riconosciuto come manifestazione del cambiamento climatico globale in atto, non sia giustificabile considerando solo fattori naturali, ma richieda l’inclusione del contributo delle attività umane (gas serra, ozono, uso del suolo, aerosol). Inoltre, pur essendosi già verificate in passato grandi escursioni di temperatura (esempio glaciazioni), l’impatto che i cambiamenti climatici impongono all’attuale società tecnologica e urbanizzata li rende difficilmente paragonabili col passato.

La risposta delle istituzioni dei Paesi e degli enti comunitari al cambiamento climatico viene illustrata dalla dott.ssa Antonella Angelosante Bruno (ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare). Facendo un excursus sulle tappe fondamentali che hanno riguardato la legislazione internazionale in tema di Ambiente e Cambiamenti Climatici, mostra come le azioni intraprese dai Governi siano state indispensabili per contrastare gli effetti dannosi sull’ambiente. In tal senso, il Protocollo di Montreal, ratificato universalmente, ha permesso di mettere in atto azioni in merito al problema della deplezione dell’ozono stratosferico (il cosiddetto «buco di ozono antartico»), la cui riduzione è stata annunciata a partire dal 2014. Con la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e il Protocollo di Kyoto si pone l’accento sulla necessità di ridurre le emissioni globali di gas serra ed in particolare della CO2. La dottoressa Angelosante motiva la necessità di sostegno tecnico ed economico a favore dei Paesi in via di sviluppo nella transizione verso tecnologie meno impattanti, senza inibirne la crescita economica, come misura compensativa per le emissioni di CO2 prodotte dai paesi sviluppati nel secolo trascorso.

Gli aerosol

Successivamente la dott.ssa Natalia De Luca (Università dell’Aquila) tratta la questione degli aerosol di origine antropica, in particolare il black carbon. Questo si origina prevalentemente dalla combustione di biomassa e di carburante nei veicoli con motore a ciclo Diesel. Il black carbon, dopo essere stato prodotto alle medie latitudini, giunge mediante trasporto atmosferico nella regione Artica; qui si deposita causando una diminuzione della riflettività della superficie e la conseguente accelerazione dello scioglimento dei ghiacci, che fa diminuire la capacità dell’oceano di sequestrare la CO2, innescando potenzialmente un circolo vizioso definito «effetto serra a valanga». La riduzione dell’utilizzo di motori a ciclo Diesel viene indicata dalla relatrice, e condivisa dalla platea, come una forma realizzabile di mitigazione delle emissioni di black carbon.

Detriti orbitanti

 

Dalle alte latitudini ci spostiamo alle alte quote grazie al dott. Glauco Di Genova (Telespazio) che ci parla dell’effetto dell’aumento della CO2 atmosferica sul volo satellitare. Se l’aumento della CO2, noto gas ad effetto serra assorbente l’energia riemessa dalla superficie terrestre in forma di radiazione infrarossa, determina il riscaldamento nei bassi strati atmosferici, a quote più elevate (sopra i 15 km circa) raffredda l’atmosfera che si contrae (la densità diminuisce). Gli oggetti orbitanti, attivi e non, che si muovono in termosfera (400 km circa), a tali quote incontrano in condizioni simili un frenamento atmosferico ridotto e quindi la loro vita nello spazio si allunga. Il controllo dei tempi di vita orbitali è fondamentale anche nel monitoraggio anti-collisione tra oggetti orbitanti, tra cui i detriti. La rimozione dei detriti, parte della cosiddetta spazzatura spaziale, suscita la curiosità di uno studente che interroga il relatore sull’esistenza di missioni volte alla rimozione dei detriti; esse esistono, seppur con costi molto elevati, e risentono negativamente dell’allungamento del tempo di vita orbitale.

Il dott. Gabriele Curci spiega come i cambiamenti climatici siano strettamente legati anche al problema della qualità dell’aria, ovvero dell’inquinamento dell’aria che respiriamo nei bassi strati dell’atmosfera in cui viviamo. In primo luogo, alcune sostanze dannose per la salute umana, animale e della vegetazione, come ozono e aerosol, contribuiscono all’effetto serra antropico e possono anche riflettere la radiazione solare (esempio solfati), alterando così, insieme ai gas serra, il bilancio energetico della Terra. Recenti studi mostrano come una riduzione combinata di emissioni di gas serra e di altri composti clima-alteranti come ozono e aerosol siano necessari per una più efficiente mitigazione dei cambiamenti climatici causati dall’uomo.
In secondo luogo, i cambiamenti climatici già in atto, potrebbero portare a un peggioramento dei livelli di qualità dell’aria, a causa dell’aumento dei periodi di siccità e stagnazione atmosferica in diverse aree del Pianeta, come ad esempio il bacino del Mediterraneo.

Il ruolo dei venti

La seconda parte degli interventi si focalizza sugli effetti del cambiamento climatico a livello locale. Il protagonista degli ultimi tre interventi è l’Appennino Centrale.
L’ing. Monica Moroni (Università La Sapienza di Roma) dedica il suo intervento ai venti locali, fenomeni di circolazione che hanno luogo nel primo chilometro di atmosfera (strato limite atmosferico) ovvero nella zona della troposfera più prossima alla superficie terrestre ove si risente delle variazioni delle temperature tra notte e giorno. Sono classificati come venti locali i moti convettivi, la circolazione associata alle isole urbane di calore, le brezze di mare e di terra, le correnti di pendio. È da tempo riconosciuto un legame tra i venti locali, la dispersione di inquinanti a scala locale e il clima locale. Le riproduzioni a scala di laboratorio, come quelle effettuate dal gruppo di ricerca dell’ing. Moroni, consentono di riprodurre la circolazione associata ai venti locali utilizzando la teoria della similarità e giocano un ruolo fondamentale nell’approfondimento della conoscenza di questi venti. Nello strato limite atmosferico, sono in genere presenti simultaneamente più tipologie di venti locali. La comprensione dei singoli fenomeni risulta conseguentemente complessa. Gli esperimenti di laboratorio consentono di analizzare separatamente il comportamento dei singoli regimi di brezza e di valutare eventualmente la loro sovrapposizione. Gli esperimenti di laboratorio giocano quindi un ruolo fondamentale nell’approfondimento della conoscenza di questi venti, del loro effetto sull’inquinamento atmosferico a scale maggiori e della loro ricaduta delle circolazioni locali sul clima globale.

La dott.ssa Fabrizia Urbani (Università dell’Aquila) ci porta nel mondo degli insetti, classe che corrisponde a circa il 67% del regno animale. La valenza ecologica di questa classe è ormai ampiamente riconosciuta, tanto da indirizzare molte ricerche di modellistica ambientale verso l’individuazione di habitat potenziali con elevato grado di idoneità per le specie endemiche. L’identificazione delle aree di endemismo è considerata un primo passo essenziale per elaborare ipotesi che aiutino a rivelare la storia della fauna di un territorio dando indicazioni sulle tendenze evolutive della fauna attuale. Attraverso un modello matematico previsionale (caratterizzato da un approccio integrato delle tecnologie Gis e del software Maxent), basato su dati di presenza delle specie e su variabili ambientali, è emerso che a causa dei cambiamenti climatici solo poche specie potranno migrare in aree più adatte, mentre la maggior parte di esse saranno destinate all’estinzione, almeno a livello locale. L’intervento suscita molto interesse, soprattutto in relazione alle recenti cronache sugli effetti delle punture di zanzara registrati in America Meridionale. Interviene in risposta anche il prof. Maurizio Biondi dell’Università dell’Aquila.

L’adattamento delle specie endemiche

Dalla fauna alla flora, con l’intervento della dott.ssa Loretta Pace (Università dell’Aquila) che, attraverso una caratterizzazione floristica dell’Appennino Centrale, ci mostra le strategie adattative delle specie endemiche locali. I vari adattamenti hanno come unico scopo la sopravvivenza e la perpetuazione della specie. La piccola taglia rende gli individui poco visibili agli occhi dei predatori; il raggruppamento in cuscinetti floreali aiuta a far fronte alla siccità; foglie succulente, che trattengono maggior quantità d’acqua e limitano l’evapotraspirazione; il portamento prostrato, per sopravvivere alle forti raffiche di vento; la lanugine che protegge dai raggi UV, più intensi in alta quota; la germinazione nel periodo di copertura nevosa, che permette isolamento dalle basse temperature. Tutte queste tipologie di adattamento sviluppate nel corso dei millenni, si stanno rivelando inefficaci nel momento in cui, a causa dell’aumento della temperatura globale, cambiano non solo le esigenze ma anche le condizioni (ad esempio, scarsa presenza di copertura nevosa). Per questo le specie sono costrette a migrare a quote più alte: quote fino a questo momento poco accessibili a causa della rigidità delle condizioni divengono colonizzabili anche da specie poco rilevanti dal punto di vista floristico.
Infine la dott.ssa Annamaria Conte (Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise «G. Caporale»), sottolineando il fatto che varie malattie definite esotiche non siano ormai più definibili come tali, ci mostra come esse, per proliferare, abbiano bisogno di tre ingredienti fondamentali: il virus, il vettore e l’animale; inoltre la trasmissione di una malattia è favorita in presenza di pioggia e di temperature adatte. La dott.ssa Conte mostra due esempi per evidenziare come il cambiamento climatico, andando ad influenzare il ciclo biologico dei vettori e la loro capacità di trasmissione del virus, abbia agevolato la diffusione della Rift Valley Fever in Mauritania e della Bluetongue in Italia. Per concludere fa presente la necessità di un approccio multidisciplinare volto a contrastare il diffondersi delle varie epidemie.
La chiusura del convegno spetta al dott. Antonio Di Sabatino (Università dell’Aquila), il cui intervento si focalizza sulla presentazione di articoli di alcuni scettici-negazionisti, il cui tentativo sarebbe stato di negare il cambiamento climatico e le sue conseguenze. Lascia quindi agli studenti in platea il compito di riflettere se credere o meno ai cambiamenti climatici, alla luce dei contributi forniti dagli esperti durante la giornata di studio.

Parlando con i conferenzieri alla fine della giornata, due sentimenti risultavano evidenti. Soddisfazione per la buona riuscita dell’evento e anche una buona dose di stupore: quest’ultimo dovuto al fatto che i ragazzi e i docenti, dall’inizio alla fine, hanno dimostrato un vivissimo interesse in merito agli interventi, con domande sempre argute e puntuali. La consapevolezza che ciò di cui si sta parlando è un argomento in grado di suscitare interesse e coinvolgimento anche nei non-esperti è una cosa che lascia indifferenti in pochi. La speranza di tutti quelli che hanno contribuito è che, lungi dal rimanere fine a se stessa, questa giornata da una parte possa accendere interesse e curiosità scientifica in tutti i ragazzi intervenuti e dall’altra possa renderli ancora più consapevoli di quanto sia importante intervenire tempestivamente a difesa dell’ambiente.