Non sappiamo più… camminare

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foto di Pina Catino
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Questo non è un barboso numero che parla di storia e di filosofia, parla di oggi ed anche del domani. Dalle divisioni tra archeologia ed antropologia che hanno rallentato il processo di conoscenza, ai problemi delle migrazioni alla luce della nostra realtà globale del passato che illumina e spiega il presente; dalla scienza che sta modificando il suo approccio con la realtà, all’utilizzo futuribile dell’energia dei passi; da dove nascono le bufale, alla cultura nascosta e riscoperta del nostro recente passato di guerre, alla storia sepolta negli ipogei; dai pericoli dell’era atomica alla necessità di un nuovo concetto di legittima difesa

È on line il numero 78 del nostro Trimestrale «Villaggio Globale». Si parla di camminare. L’uomo ha fatto molta strada da quando si è messo in piedi ed ha imparato a parlare e siamo soliti credere che questo sia il progresso. Eppure, a leggere la storia, il processo non è stato così lineare e progressivo.
Ma questo non è un barboso numero che parla di storia e di filosofia, parla di oggi ed anche del domani. Dalle divisioni tra archeologia ed antropologia che hanno rallentato il processo di conoscenza per sapere chi siamo e da dove veniamo, ai problemi delle migrazioni alla luce della nostra realtà globale del passato che illumina e spiega il presente; dalla scienza che sta modificando il suo approccio con la realtà, all’utilizzo futuribile dell’energia dei passi; da dove nascono bufale, credenze, divinità e stregoni, alla cultura nascosta e riscoperta del nostro recente passato di guerre, alla storia sepolta negli ipogei; dai pericoli dell’era atomica alla necessità di un nuovo concetto di legittima difesa; fino agli atteggiamenti di pessimismo o ottimismo e alla perduta ricerca della felicità che l’uomo moderno sembra non voler più fare.
Questo numero 78 di «Villaggio Globale» è un condensato di saperi che non si trovano, così riuniti, in altre operazioni editoriali, presi come si è ad inseguire notizie, scandali, pettegolezzi… ma a volte fa bene fermarsi un po’ e guardare dove si cammina e si mettono i piedi.
Qui di seguito l’Editoriale di questo numero. Gli articoli del trimestrale sono accessibili in parte. Solo gli abbonati possono leggerlo per intero e scaricare anche i numeri precedenti. 

 

La conquista forse più difficile dell’uomo è il camminare. In quel fatidico istante in cui si è levato in piedi ed è diventato bipede la storia dell’umanità è totalmente cambiata trascinando la vita sulla terra in una progressione che ancora continua.
Come tutte le espressioni naturali della nostra vita anche il camminare è eseguito in automatico, senza pensare, senza riflettere, senza guardarsi attorno, senza prevedere.
Forse perché all’inizio non c’è stato nessuno che ci ha detto «attento a dove metti i piedi»… e, come tanti altri doni frutto istintivo del nostro impulso a sopravvivere, probabilmente, l’attenzione che avevamo si è via via persa.
Forse perché i pericoli erano tanti e il rischio per la vita elevatissimo, l’uomo ha cercato di escogitare tante soluzioni per rendersi la vita più semplice e sicura. Ed ora il risultato è che siamo così sicuri e certi del nostro livello di sviluppo e superiorità che attraversiamo la strada guardando in un cellulare che ci lega al mondo e corriamo con le nostre auto guardando altrove senza accorgerci che la nostra vita è lì, in quel momento. Ognuno agisce senza correlarsi con quello e con chi è intorno, non gli interessa quello che fa l’altro, al centro c’è solo lui, anzi, l’io.
È in atto una strage silenziosa, un suicidio di massa che sta falciando l’umanità. Senza pensare, banalizzando, solo al cellulare, ci sono la droga, il fumo, l’alcool, l’abnorme uso di medicinali, l’impiego di sostanze tossiche nell’ambiente che hanno trasformato l’aria in qualcosa di diverso via via negli anni, l’incapacità di pensare al ciclo vitale complessivo di tutte le nostre invenzioni… e, si badi bene, tutte cose di cui siamo ben informati e documentati.
L’economia, nata per organizzare le società e spingere verso nuove scoperte e verso un benessere sempre più florido e diffuso, si sta rivelando un meccanismo perverso che spinge la ricerca verso frontiere sempre meno sicure e garantiste. Abbandonata l’antica prudenza ci si spinge a produrre e usare nuove sostanze senza sperimentare sufficientemente il loro impiego nell’ambiente. E questo vale per la mobilità, per i manufatti, per l’agricoltura, per l’energia e speriamo non comprenda nuovi settori come la biomedicina o l’intelligenza artificiale.
La sicurezza del cammino dell’uomo ha raggiunto livelli tali che si pensa di poter far fronte anche agli stessi problemi creati dagli errori umani lungo questo cammino senza rendersi conto della scia di morte che stiamo lasciando al nostro passaggio: dalle specie perdute ai cambiamenti climatici.
Ormai, il virus della presunzione è così entrato in profondità nell’uomo che gli impedisce persino di leggere ciò che vede e il disorientamento è tale che ormai le lingue, le culture e le conoscenze si stanno confondendo in una nuova torre di Babele che non promette niente di buono.
Ogni giorno apprendiamo di medicamenti miracolosi e diete mirabolanti, di esercizi fisici che regalano l’eternità e di tecnologie risolutive dei problemi dell’uomo. E non si salva nessuno se si pensa che anche i governi diffondono fake news nei social come l’ormai consolidata controinformazione per modificare le conseguenze di scoperte, orientare i mercati, distruggere nazioni.
Il cammino dell’uomo si è trasformato in un andare incerto e senza meta. Saltando punti di riferimento come la libertà, la difesa dei diritti e la democrazia non possiamo che addentrarci in una selva oscura…
Il camminare è l’unico modo di muoversi che dà subito il senso della libertà. Ci si può spostare in qualsiasi direzione facendo solo affidamento alle proprie forze, senza nessun supporto artificiale. La pioggia, il vento, gli odori, i colori ti vengono addosso con la loro forza naturale e penetrano in noi suscitando sensazioni e ricordi. In quel momento conosciamo la vera libertà. Ma oggi ci possiamo definire liberi? Liberi da ogni sovrastruttura che ci condiziona e ci limita?
«Se voi uomini bianchi non foste mai arrivati, questo paese sarebbe ancora come era un tempo. Tutto avrebbe conservato la purezza originaria. Voi l’avete definito selvaggio, ma in realtà non lo era. Era libero. Gli animali non sono selvaggi; sono solamente liberi. Anche noi lo eravamo prima del vostro arrivo. Voi ci avete trattati come selvaggi, ci avete chiamati barbari, incivili. Ma noi eravamo solamente liberi!» (Capo Leon Shenandoah, Onondaga).