Covid-19, oggi l’Europa deciderà: coraggio o viltà

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«Il Green New Deal» implica profonde trasformazioni economico sociali che non si limitano alla sola transizione energetica e alla lotta al cambiamento climatico ma comportino anche una nuova strategia di sviluppo economico e occupazionale e la redistribuzione della ricchezza, accorciando le filiere a cominciare dall’agricoltura, e garantendo un reddito alle imprese locali a discapito delle grandi multinazionali

Oggi si riunisce il Consiglio europeo in video conferenza per decidere su quello che ormai è conosciuto come Covid Recovery Plan.

Il dibattito europeo sembra essersi polarizzato sui due estremi: da un lato i «falchi» che preferirebbero una rigida applicazione dei parametri di Maastricht e delle pesanti condizionalità previste dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), e dall’altro le «colombe» che invece vorrebbero attivare strumenti «nuovi» (e qui le virgolette sono d’obbligo e adesso vedremo perché), come i Corona Bonds, i Recovery Bonds o come diavolo decideranno di chiamarli.

Ma sia permesso rilevare che sia falchi sia colombe sono completamente fuori strada. Commettono cioè lo stesso errore, che è quello di rimanere prigionieri entrambi della logica del debito, e differiscono solamente sulle modalità e le cosiddette «condizionalità» della restituzione. Ma sempre di debito si tratta. E come ci si aspetta che imprese e commercianti e enti pubblici deprivati di ogni entrata (ma non delle uscite purtroppo…) siano in grado di ripagare tali debiti?

E come ci si aspetta che le nostre imprese possano competere su scala globale con imprese di Paesi i cui governi abbiano coperto le perdite con finanziamenti a fondo perduto?

Falchi e colombe

Infatti mentre in Usa, Uk, Giappone e tutto il resto del mondo stampano moneta per migliaia di miliardi per far fronte all’emergenza catastrofica del Coronavirus in Europa ci impicchiamo alla logica del debito litigando sullo 0 virgola delle condizioni di attivazione del Mes. Quindi le imprese colpite dalla crisi e i relativi Stati in tutto il mondo ricevono soldi gratis per coprire le loro perdite in Europa ci si deve indebitare e dunque restituire i finanziamenti scaricando i costi della crisi sulle imprese e i lavoratori. La domanda che sorge spontanea a questo punto è: Perché nella lotta economica su scala mondiale gli europei devono combattere bendati e con le mani legate mentre il nemico è armato di tutto punto?

Gli europei disarmati

È importante sottolineare che questo è anche l’autorevole punto di vista di oltre cento fra i principali economisti europei (fra i quali, Fitoussi e Galbraith).

Infatti con un appello intitolato Ue, l’accordo all’anno zero, gli studiosi constatano che «l’accordo raggiunto dall’Eurogruppo il 9 aprile scorso sugli interventi europei per fronteggiare la pandemia e le sue gravissime conseguenze economiche è insufficiente, prefigura strumenti inadatti e segna una continuità preoccupante con le scelte politiche che hanno fatto dell’eurozona l’area avanzata a più bassa crescita nel mondo».

L’appello spiega che tale accordo «non prende atto dell’eccezionalità della situazione, senza precedenti almeno nell’ultimo secolo, né del fatto che questo sconvolge i paradigmi che hanno guidato la politica economica negli ultimi decenni. Tra i ministri delle Finanze sembra prevalere l’idea che quanto sta accadendo possa essere circoscritto nel tempo a una parentesi relativamente breve, chiusa la quale si possa tornare senza problemi a comportarsi come prima. Non è così, come ha ben spiegato una personalità di riconosciuta competenza come l’ex presidente della Bce Mario Draghi, continua il testo, che poi spiega che l’eccezionalità delle circostanze dovrebbe far prendere in esame provvedimenti eccezionali, che dovrebbero avere almeno due caratteristiche essenziali:

  • essere attivabili in tempi il più possibile brevi;
  • ridurre al minimo possibile l’aumento dell’indebitamento degli Stati, già destinato inevitabilmente a crescere per finanziare gli interventi indifferibili per ridurre i danni della crisi».

E tanto per essere più chiari precisano che «la sola opzione che risponda a questi due requisiti è il finanziamento monetario di una parte rilevante delle spese necessarie da parte della Banca centrale europea. Si tratta di una opzione esplicitamente vietata dai Trattati europei. Ma anche i trattati, in caso di necessità, possono essere sospesi nel rispetto del diritto internazionale e questo è oltretutto già avvenuto.

«La monetizzazione di spese giudicate inderogabili non è una procedura inusitata. È stata appena formalizzata nel Regno Unito, mentre le più importanti banche centrali del mondo – Federal Reserve e Bank of Japan – la praticano di fatto. In Italia viene ormai proposta da economisti dei più diversi orientamenti: è raro che una proposta venga condivisa da diverse scuole di pensiero».

E infine il gruppo di economisti firmatari concludono che «al prossimo Consiglio dei capi di Stato e di governo, che dovrebbe ratificare l’accordo dell’Eurogruppo, l’Italia dovrebbe invece rigettarlo, e proporre che la parte più importante degli interventi anti-crisi, il cui volume dovrebbe raddoppiare per estendersi almeno al prossimo anno, sia attuata con un intervento della Banca centrale europea» e coraggiosamente ricordano che «In caso di rifiuto da parte degli altri partner, la strada meno dannosa sarebbe quella di dare seguito a ciò che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto di recente: per questa emergenza, “Faremo da soli”».

L’appello degli economisti finisce qui.

C’è il Green New Deal

Noi invece vorremmo andare oltre e ricordare che a ottobre scorso si è insediata la nuova presidente Ursula Von Der Leyen che ha indicato «Il Green New Deal» come strategia fondante della Commissione europea dalla sua nuova nel suo discorso inaugurale e nella introduzione alla strategia della nuova Commissione in cui la Presidente paragonò il Green New Deal per l’Europa a quello che ha rappresentato, in quanto sfida epocale, l’uomo sulla luna per gli Usa.

«Il Green New Deal» implica profonde trasformazioni economico sociali che non si limitano alla sola transizione energetica e alla lotta al cambiamento climatico ma comportino anche una nuova strategia di sviluppo economico e occupazionale e la redistribuzione della ricchezza, accorciando le filiere a cominciare dall’agricoltura, e garantendo un reddito alle imprese locali a discapito delle grandi multinazionali.

Poi, improvvisamente, arriva questo maledetto virus, e la conseguente catastrofica emergenza sanitaria globale, e in sede europea si comincia a andare in ordine sparso e a occuparsi solo e solamente delle questioni legate al Coronavirus, in modo talmente goffo e maldestro, che la Presidente è stata costretta a chiedere scusa pubblicamente all’Italia per averla abbandonata nel primo mese della pandemia.

Adesso si comincia a parlare di Recovery Plan, perché il virus oltre a fare decine di migliaia di vittime, sta anche distruggendo come tutti sappiamo, l’economia globale.

Ma un piano di recupero è insufficiente per mettere una toppa al buco enorme provocato dalla pandemia. Ben altro sarebbe necessario. Cosa?

Niente di più che il famoso piano Green annunciato dalla Commissione europea a dicembre scorso.

Infatti le proposte formulate dalla Commissione europea nel quadro della sua nuova strategia green sono precise e avanzatissime, e sono esattamente quello di cui c’è bisogno per riprendersi dalla crisi economica. Quindi, l’Unione europea, se vuole recuperare il suo spirito originario, quello del sogno europeo, deve mettere da parte politiche improvvisate atte a inseguire l’emergenza e continuare dritto per la sua strada come stava già facendo.

Ecco che tipo di ripresa si deve finanziare con i bond, col Mes o con qualunque altro strumento finanziario che si deciderà di adottare. Non bisogna dimenticare infatti che quelli finanziari sono solo degli strumenti appunto, che non possono diventare i fini dell’azione europea (come purtroppo è stato fatto in passato) con la Troika e la sua concezione totemica e mitologica dell’equilibrio finanziario. I fini sono altri. E sono definiti in modo esauriente nel Green Deal europeo appena presentato e troppo frettolosamente accantonato davanti alla pandemia.

Il Recovery Plan europeo è già pronto senza doversi scervellare più di tanto. Speriamo che Giuseppe Conte se ne ricordi quando intende andare a sbattere il pugno sul tavolo a Bruxelles. E, naturalmente, speriamo che se ne ricordino anche i membri del Consiglio europeo.

 

Angelo Consoli, Presidente del Cetri (Circolo europeo per la terza rivoluzione industriale); Marco Fiorentini, Analista finanziario