La Xylella si cura, e lo fanno in 27 comuni

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Giurdignano Novembre 2019-2
Giurdignano: olivi secolari in produzione dopo due anni dall'inizio dell'applicazione del protocollo di difesa.
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Intervista al dott. Marco Scortichini

Il batterio, come più volte ribadito, colonizza numerose altre piante spontanee difficilmente eliminabili. Quindi poter pensare di eliminare del tutto Xylella da un territorio così vasto, quando questi si è insediato così diffusamente è tecnicamente impossibile. In agricoltura esistono numerosi casi dove, ogni anno, è necessario curare le piante dai patogeni (Bolla del Pesco, Ticchiolatura del Melo, Peronospora della Vite) e la coltivazione prosegue

Questa vicenda della Xylella fastidiosa che sta distruggendo parte degli ulivi pugliesi e colpendo soprattutto gli alberi storici, più passa il tempo più assume i connotati di una vicenda schizofrenica in cui leggi e divieti incomprensibili si accavallano senza riuscire a risolvere il problema. L’unico risultato è la distruzione di un patrimonio storico e culturale. E non diciamo, giusto per non essere confusi con i complottisti, che questo sembrerebbe l’unico obiettivo ottenuto.

Ora non si tratta di opinioni, di pareri, di sentito dire. Qui, le voci che «Villaggio Globale» ha ascoltato sono autorevoli e con documentazione fotografica.

Dopo l’intervista al prof. Marco Nuti, pubblichiamo oggi il parere del dott. Marco Scortichini del Crea-Centro di ricerca per l’olivicoltura, frutticoltura e agrumicoltura di Roma, che ha applicato da anni un suo protocollo i cui risultati sono visibili. Come d’altra parte avevamo già evidenziato in altri articoli.

Come giudica le probabili modifiche che l’Europa sta promulgando per contenere la diffusione di Xylella fastidiosa in Puglia e che intendono ridurre il raggio degli abbattimenti da 100 m a 50 m?

Da un punto di vista tecnico tale riduzione è improbabile che cambi le cose. Si deve far notare che il monitoraggio (quello attuale effettuato sulle piante sintomatiche) si accorge della presenza del batterio molti mesi dopo l’avvenuta colonizzazione dell’albero da parte del batterio. Nel frattempo il patogeno ha avuto tempo di colonizzare le piante spontanee della zone ed altre piante ospiti che sfuggono alla diagnosi. Quindi eliminare le coltura principale (olivo) per poi lasciare, comunque, nel territorio il batterio non ha molta efficacia pratica.

Ma sarebbe stato possibile fermare l’epidemia attraverso le eradicazioni?

Questo è un punto fondamentale. Si sta ribadendo che se, dopo la segnalazione ufficiale dell’ottobre 2013, si fossero abbattute «quelle poche piante infette» a quest’ora tutto sarebbe risolto. Le cose, tuttavia, non stanno in questo modo. Per eradicare, quindi eliminare del tutto un patogeno da un territorio, ci si deve accorgere della sua presenza in tempi brevi, vale a dire quando questi ha infettato poche piante o pochissimi ettari. In questi casi con un’efficiente e tempestiva azione di eradicazione è possibile eliminare del tutto il patogeno dall’area infetta. Nel caso di Xylella le cose non sono andate così. Ad ottobre 2013 risultavano infetti, secondo i dati di chi ha effettuato le analisi e i sopralluoghi, già 8.000-10.000 ettari di oliveti che corrispondono a circa 800.000-1.000.000 olivi. A questo va aggiunto il fatto che il batterio, come più volte ribadito, colonizza numerose altre piante spontanee difficilmente eliminabili. Quindi poter pensare di eliminare del tutto Xylella da un territorio così vasto, quando questi si è insediato così diffusamente è tecnicamente impossibile.

Le piante infette possono essere curate?

Come ribadito in più occasioni, nella pratica fitoiatrica le piante vengono curate. Curare le piante non significa eliminare il patogeno dalla coltura. I microrganismi, infatti, hanno molteplici possibilità di risiedere nell’ambiente di coltivazione e non solo sulla pianta coltivata. La Xylella, ad esempio, tramite la diffusione dell’insetto vettore, può sopravvivere in molte piante spontanee. La cura mira a ridurre la popolazione del patogeno nelle piante ad un punto tale che venga ugualmente consentita la produzione. Ad ogni anno i trattamenti vengono ripetuti. In agricoltura esistono numerosi casi dove, ogni anno, è necessario curare le piante dai patogeni (Bolla del Pesco, Ticchiolatura del Melo, Peronospora della Vite) e la coltivazione prosegue.

Come mai non si è intrapresa diffusamente questa strada per Xylella?

Purtroppo, fin da subito, negli olivicoltori è stata ingenerata una sfiducia totale sulle possibilità di contenimento della malattia. Il dogma «la Xylella non si cura» ha creato aspettative negative per ogni approccio che tentasse di migliorare la situazione. Voglio sottolineare che nelle emergenze fitosanitarie si dovrebbe promuovere proprio l’atteggiamento opposto. Cioè quello di invitare tutta la comunità scientifica ad adoperarsi per trovare soluzioni sostenibili. Il recente caso di Covid ne è un esempio lampante.

Il protocollo di convivenza da lei proposto è rivolto alla chioma dell’albero. Esistono altre possibilità di contenimento.

Come accennato sopra, è dall’insieme delle esperienze che è possibile migliorare la situazione. Ad esempio nel caso del contenimento di Xylella anche il suolo può ricoprire un ruolo importante. Molti suoli del Salento appaiono «stanchi» e, in molti casi, la fertilità biologica degli stessi è molto bassa. Il ripristino di una fertilità del suolo a livelli ottimali consente all’albero di sostenete meglio tutte le avversità. Occorrerebbe, quindi, un’azione mirata di recupero, ove ancora possibile, che tenga conto dello stato di coltivazione dell’impianto (grado di attacco subito, stato del suolo).

Al momento dove è applicato il protocollo?

Facendo riferimento alle province, possiamo indicare per Taranto: Crispiano, Montemesola, Grottaglie, Lizzano, Sava, Maruggio, Torricella, Avetrana, Manduria. Per Brindisi: Carovigno, Francavilla Fontana, Mesagne, San Pancrazio Salentino. Per Lecce: Lizzanello, S. Pietro in Lama, Veglie, Galatone, Nardò, Otranto, Uggiano, Cannole, Giurdignano, Diso, Carpignano, Ortelle, Andrano, Poggiardo.

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Recupero di un’azienda colpita da Xylella in agro di Galatone (Lecce). Aspetto iniziale degli alberi nel 2017
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Recupero di un’azienda colpita da Xylella in agro di Galatone (Lecce). Aspetto degli alberi sottoposti al protocollo di contenimento a maggio 2020. L’azienda è in produzione.

Perché è importante salvaguardare l’attuale germoplasma olivicolo salentino?

Le cultivar attualmente utilizzate in Salento, Ogliarola salentina e Cellina di Nardò, oltre a rappresentare un valore storico-culturale e paesaggistico enorme, sono dotate di caratteristiche particolari. L’olio che se ne ricava, quando raggiunge i criteri di eccellenza, è tra i più ricchi al mondo per quanto riguarda il contenuto in polifenoli. Tali composti sono di fondamentale importanza per la salute umana in quanto svolgono funzioni di molecole antiossidanti miglioratrici dell’intera fisiologia del corpo umano. Privarsene significa perdere del tutto tali potenzialità che, al contrario, andrebbero conservate, valorizzate ed esaltate.

Xylella è l’unica causa del disseccamento?

È bene ricordare che altri agenti patogeni, quali i funghi, sono stati rinvenuti associati al cosiddetto «disseccamento rapido dell’olivo». Alcuni di questi sono dotati di virulenza. Va sottolineato, poi, che, nella maggior parte dei casi, il disseccamento dell’albero non è rapido ma impiega alcuni anni (fino a 4 ed oltre). In una situazione compromessa dell’albero possono instaurarsi, a suo carico, alcuni patogeni che, in successione o in sinergia, potrebbero ulteriormente compromettere la vitalità dell’albero. Questi aspetti sono stati poco studiati e meritano approfondimento per chiarire completamente l’epidemiologia del disseccamento.

 

R. V. G.