Xylella story, ecco perché e cosa è mancato

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Tratturo ulivi P Catino
Foto di repertorio di P. Catino
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Intervista a Domenico Ragno

Dalle risposte del Commissario straordinario e Direttore generale dell’Arif dal 2016 al 2019, se ne ricava un quadro sconfortante in cui la burocrazia ha giocato il suo ruolo aiutata da iniziative contrastanti e che, purtroppo, evidenziano una carenza istituzionale là dove doveva esserci una seria e forte centrale di «comando» aggravata dalla pervicacia di non coinvolgere le intelligenze e le forze attive

A 7 anni dal rinvenimento del batterio della Xylella nel Salento, difronte alle tante domande sollecitate in vari interventi pubblicati da «Villaggio Globale», e particolarmente nell’ultimo, si impone di fare un bilancio su un vero dramma che ha colpito la Puglia e che ancora, per tanti versi, resta un oggetto misterioso.

Un danno enorme che colpisce imprenditori, paesaggio, cultura, tradizioni di questa parte d’Italia.

Abbiamo allora cercato di ricostruire, a grandi linee, quello che è accaduto. Lo abbiamo fatto intervistando Domenico Ragno, Commissario straordinario e Direttore generale dell’Arif dal 2016 al 2019.

Se ne ricava un quadro sconfortante in cui la burocrazia ha giocato il suo ruolo aiutata da iniziative contrastanti e che, purtroppo, evidenziano una carenza istituzionale là dove doveva esserci una seria e forte centrale di «comando» di fronte ad un problema che tocca sul vivo la regione. Aggravata dalla pervicacia di non coinvolgere le intelligenze e le forze attive che invece cercavano di creare dei percorsi per salvare questo immenso bene dell’agricoltura.

 

La Xylella è arrivata nel Barese e continua ad avanzare. Cosa non ha funzionato in Puglia?

Il contrasto all’avanzata del batterio sconta due handicap importantissimi. Il primo consiste nell’enorme ritardo nell’individuare il batterio in Salento, avvenuto nell’ottobre 2013, rispetto alle esigenze di un efficace contrasto al batterio; la presenza di molti focolai distanti tra loro anche decine di chilometri può far ritenere che la Xylella fosse presente già da svariati anni, come ipotizzato da alcuni. Ciò ha praticamente precluso ogni possibilità di eradicazione del batterio, costringendoci a convivere con esso.

Il secondo riguarda le indecisioni e gli errori compiuti nei primi anni nel contrasto alla diffusione nelle aree a nord della provincia di Lecce. Soprattutto la mancanza di un adeguato monitoraggio e la lentezza negli abbattimenti sono stati sin all’inizio della vicenda causa di richiami da parte della Commissione europea, sfociati nell’avvio di una procedura d’infrazione già dal dicembre 2015, prima ancora dell’intervento della Procura di Lecce.

Errori e ritardi che sono continuati anche dopo, da quanto emerge dalla sentenza di condanna della Corte di Giustizia europea

È così. Comunque il dato costante è che la Regione Puglia è stata continuamente sotto tiro da parte della Commissione europea, ad eccezione che nella prima metà del 2017. La procedura d’infrazione, sospesa nel febbraio 2017 grazie soprattutto, lo dico con orgoglio, al monitoraggio realizzato dall’Arif, è stata ripresa a luglio dello stesso anno proprio per il persistere di importanti inadempienze, soprattutto riguardo i ritardi negli abbattimenti delle piante infette.

Uliveto Ulivi A Perrini
Foto di repertorio di A. Perrini

Concretamente, quali sono i punti critici?

Va premesso che la lotta alla diffusione della Xylella oggi passa esclusivamente per una tempestiva rilevazione del batterio e l’immediata adozione delle relative misure di contenimento. Di qui l’importanza fondamentale, in analogia con quanto succede per il Covid-19, di un monitoraggio costante e preciso, che individui per tempo i soggetti infetti, anche se asintomatici.

Nella prima fase si è rincorso il batterio con il censimento delle piante che mostravano sintomi della malattia, peraltro solo sul 10% dell’area individuata dalla Decisione Ue 789/2015; solo dal 2016 si è cominciato effettivamente a cercarlo. Ciò è successo fino al 2018, dopo si è tornati inspiegabilmente a censire esclusivamente le piante sintomatiche (cioè malate), diminuendo drasticamente la possibilità di individuazione precoce di focolai asintomatici (per chi voglia approfondire l’argomento).

Inspiegabilmente, perché nel monitoraggio 2017-2018 quasi metà degli olivi infetti rilevati dall’Arif, il 44,3%, erano asintomatici; analogo dato, 44,7%, è stato registrato anche nel monitoraggio successivo. Fatto sta che sono ormai due i monitoraggi effettuati, e un terzo è in corso, in cui vengono purtroppo rilevate solo le piante malate. Sostanzialmente abbiamo ripreso a inseguire il batterio, eccetto che in una ristretta zona a cavallo delle aree cuscinetto e contenimento. Possiamo solo sperare che non ci sia infezione al di là di questa.

E riguardo gli abbattimenti cosa si può dire?

L’eradicazione del batterio in una determinata area si raggiunge solo se si pratica contestualmente un severo contenimento dei vettori, una diagnosi precoce e un immediato svellimento delle piante infette. Cosa che non c’è stata in Puglia in questi anni, in cui, tra l’altro, tutta la problematica fondamentale relativa alla lotta ai vettori (il cui contenimento è forse ancora più importante degli abbattimenti delle piante infette) è stata affidata di fatto alla sola aratura dei terreni in periodi prestabiliti. Periodi rimasti invariati senza neanche tener conto delle differenti epoche di sviluppo degli insetti dovute ai diversi andamenti climatici dei singoli anni .

Gli abbattimenti delle piante infette, comunque, sono avvenuti con molto ritardo rispetto alle necessità, in parte invalidando il grande sforzo effettuato nella fase di monitoraggio. A parte la vicenda delle piante sequestrate dalla Procura di Lecce (dissequestrate nel luglio 2016), il tempo trascorso tra l’accertamento della positività di una pianta e il relativo svellimento è stato mediamente di svariati mesi. I protocolli parlano di abbattimento «immediato», una volta accertata la positività; dopo mesi ciò è molto meno utile, avendo la pianta, a sua volta infetta da chissà quanto prima della rilevazione, già assolto il proprio compito di serbatoio di inoculo per gli insetti vettori. In ogni caso nelle aree delimitate i soggetti infetti vanno comunque eliminati.

Ci sono responsabilità delle vertenze legali e di quanti hanno contrastato gli abbattimenti?

Le cause giudiziarie, una trentina, si sono risolte tutte in favore della Regione e hanno riguardato solo una frazione delle migliaia di piante da abbattere, influendo in maniera ridotta sulla questione. Così come le proteste dei pochi che ha cercato di impedire fisicamente l’abbattimento di alcuni alberi. Riguardo gli abbattimenti affidati all’Arif dal 2017 le operazioni sono state quasi sempre differite solo di qualche giorno rispetto alla data programmata, anche in presenza di tensioni sul campo. Si può escludere in linea di massima, perciò, che la protesta di qualche decina di ragazzi abbia influito significativamente sui generali ritardi negli abbattimenti e di conseguenza sul diffondersi del batterio; più che altro hanno fatto notizia sui mass media. Il problema è stato, piuttosto, almeno sino allo scorso anno, il ritardo con cui venivano emesse dall’assessorato all’Agricoltura della Regione le ingiunzioni di abbattimento ai proprietari dei terreni interessati; appunto svariati mesi, in alcuni casi anche un anno dalla comunicazione ufficiale della positività della pianta da parte del Cnr, come si può evincere dall’esame delle relative Determinazioni dirigenziali.

Quali motivazioni ha addotto la Regione a proposito

Problemi normativi, legati soprattutto alla vincolistica dei terreni, ma anche di carenza di organico per la compilazione degli atti e la difficoltà di reperire i nominativi e gli indirizzi dei proprietari delle piante oggetto di abbattimento cui notificare i provvedimenti. Per i primi si è proceduto con l’adozione di norme apposite, per il resto si tratta di motivazioni che riguardano aspetti organizzativi che avrebbero potuto essere risolti agevolmente! La questione dei dati personali, poi, è veramente paradossale; tutte le P.A. sono in grado tramite le diverse banche dati disponibili (l’Italia è pur sempre tra le prime economie al mondo) di accedere alle informazioni relative agli immobili, compresi i dati personali dei proprietari. La quasi totalità, peraltro, trattandosi di terreni agricoli, è rintracciabile del portale Agea in tempo reale. La Toscana ha risolto il problema affidando ai Comuni il reperimento di quanti non presenti nella banca dati dell’Agricoltura. Per le notifiche bastava usare i messi comunali.

Uliveto Ulivi campagna A Perrini
Foto di repertorio di A. Perrini

Quindi solo problemi organizzativi?

Non solo. Un fatto a mio giudizio importante nella gestione della lotta alla Xylella è la scarsa o mancata applicazione da parte degli Ispettori fitosanitari (che sono anche Ufficiali di P.G.) del pesante regime sanzionatorio per la detenzione di materiale infetto previsto dalla normativa nazionale in materia fitosanitaria (D. lvo 214/2005) e ulteriormente inasprito dalla legge regionale n. 4 del 2017 per chi non esegue gli abbattimenti. L’applicazione di provvedimenti sanzionatori avrebbe agito come forte deterrente e agevolato e velocizzato le operazioni di contenimento del batterio; probabilmente sarebbero bastate poche contravvenzioni nella fase iniziale per fornire un indirizzo diverso all’intera vicenda. Questo è vero soprattutto per l’area brindisina e tarantina, dove probabilmente si sarebbe fatto ancora in tempo a contenere l’avanzata del batterio.

Paradossalmente le multe la Regione le avrebbe fatte solo a sé stessa…

Il fatto che l’assessorato all’Agricoltura abbia sanzionato l’Arif, agenzia regionale, ha fatto sorridere molti. In realtà con la Dgr 1890/2018 la Regione, decidendo di incaricare l’Arif degli abbattimenti e di notificare le ingiunzioni ai proprietari utilizzando addirittura l’art. 21 bis della legge 241/1990 «Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati», ha definito una procedura anomala di dubbia legittimità, che si presta a molte contestazioni. Sostanzialmente incarica l’Arif di entrare in proprietà private per distruggere un bene senza una preventiva notifica diretta ai soggetti interessati; come notifica vale l’affissione della Determinazione del Dirigente dell’Osservatorio fitosanitario all’Albo pretorio del Comune di appartenenza dei suoli interessati, con cui viene ingiunto l’abbattimento delle piante e in cui non è neanche presente l’identificazione in maniera univoca dei destinatari del provvedimento. Procedura che, anche se contemplata dalla successiva legge 44/2019, risulterebbe illegittima nella sua applicazione, in quanto non sussistono negli atti in questione i presupposti previsti dall’art. 21 bis del gran numero di destinatari, di onerosità delle relative notifiche e di irreperibilità degli stessi. I tecnici Arif, anche con il supporto delle Amministrazioni locali, riescono nel giro di 24-48 ore a reperire gli «irreperibili» cui comunicare l’attività di svellimento sui propri terreni. Non si capisce perché questo non sia fatto a monte, utilizzando così le normali procedure di legge per la notifica degli atti amministrativi; i tempi necessari sarebbero gli stessi. La delibera regionale 1890/2018, inoltre, contrasta e rende di fatto inapplicabile tutto l’impianto sanzionatorio previsto dalle leggi nazionali e regionali, rivolto ai possessori/conduttori dei terreni agricoli; per cui, paradossalmente, alla fine la Regione può solo sanzionare se stessa (anche se sbagliando struttura) per i ritardi e l’inefficacia dell’azione amministrativa. Un bel pasticcio, insomma.

Detto così sembra quasi che ci sia una strategia di rallentamento nel contrasto alla Xylella…

Ma no, si può parlare piuttosto dell’uso di una logica burocratica non compatibile, fin dall’inizio, con una situazione complessa e le relative criticità. Un esempio per tutti, di stretta attualità, è quello relativo all’utilizzo del test Elisa per le analisi di I livello dei campioni prelevati dagli olivi, un problema già rilevato fin dall’inizio dei monitoraggi nel 2016. Nel report dell’audit svolto in Puglia nel 2018 pubblicato dalla Commissione europea, punto 36, si legge testualmente «Il tasso di risultati falsi negativi ottenuti dai test Elisa desta serie preoccupazioni poiché le piante infette non rilevate compromettono significativamente le misure di controllo, in particolare l’eradicazione nella zona cuscinetto». Dopo due anni e mezzo viene pubblicato il 14 Agosto 2020 il nuovo Regolamento sulla Xylella che esclude, come già sapevano da tempo gli addetti ai lavori, questo test da quelli da utilizzare per diagnosticare la presenza del batterio. Invece la Puglia continua ad utilizzare, ancora oggi, l’Elisa per le sue analisi, senza aver provveduto in merito, nonostante il tempo a disposizione. Nel migliore dei casi ci adeguiamo, con ritardo, al minimo sindacale delle prescrizioni di Bruxelles, quando andrebbero invece praticate tutte le strade più utili alla tutela del nostro patrimonio olivicolo e ambientale.

Analogamente, da bravi burocrati, ci si para il lato B multando l’Arif per gli abbattimenti avvenuti dopo i 20 giorni prescritti, quando l’assessorato all’Agricoltura competente ha tenuto nel cassetto 6 mesi o un anno i risultati delle analisi; assurdo dal punto di vista logico, ma in tal modo si può individuare un responsabile e stare a posto con le carte.

È, bisogna dirlo, anche una questione di professionalità. Si fanno Piani, ordinanze, documenti programmatori che non possono trovare attuazione perché non viene definito il come, senza individuare mezzi, soggetti, tempi che permetteranno la realizzazione di quanto previsto. All’Arif nel 2016 è stato affidato il compito di effettuare in tempi ristretti un monitoraggio di enormi dimensioni. Dopo un primo sbandamento si è buttato giù un diagramma di Gantt, si sono individuati i soggetti e le professionalità da coinvolgere, gli strumenti normativi da impiegare e quant’altro necessario. In tre mesi si provveduto, rispettando alla lettera le normative del pubblico impiego e quella sugli appalti pubblici, ai bandi per il reclutamento di personale tecnico, alla sua selezione e formazione, alla fornitura del materiale necessario, alla soluzione dei problemi logistici… mettendo in campo il monitoraggio più grande al mondo. Ai primi di agosto 2016 si è individuata la data di ultimazione del progetto per il 5 Febbraio 2017. Si è terminato grazie anche all’aiuto dei tecnici in campo 10 giorni lavorativi dopo, il 20 febbraio, ma va tenuto conto che di mezzo c’è stato un cambio di software e il fermo di alcuni giorni per le nevicate del gennaio 2017; e di imprevisti ce ne sono stati tanti! Eppure questo lavoro è stato realizzato da dipendenti della Regione Puglia, dai dirigenti ai funzionari agli operai, che hanno dato prova di grande professionalità.

Ma secondo Lei qual è stato il vero punto debole nella lotta alla Xylella in questi anni?

La gestione centralistica che si è attuata sin dall’inizio. Se è vero che occorre una struttura che diriga con polso fermo una situazione come quella in cui si è trovata la Puglia, è altrettanto evidente come problematiche così complesse che vanno ben oltre quelle prettamente agricole non possano essere governate a colpi di delibere e ordinanze. Andava ricercata la collaborazione, anzi il coinvolgimento dei Comuni e dei cittadini, che si sono sentiti soli contro un fenomeno che non comprendevano e riguardo al quale venivano imposte decisioni pesanti senza fornire spiegazioni adeguate. Andava e andrebbe oggi praticato, in sostanza, quel principio di sussidiarietà di cui tanto si parla ma che raramente si applica. I numerosi Sindaci con cui mi sono rapportato non solo hanno tutti collaborato con entusiasmo, ma chiedevano, giustamente, di essere coinvolti direttamente nella lotta al batterio. La gestione invece è stato concentrata in una struttura amministrativa centrale, che ha mostrato tutti i suoi limiti.

Veniamo alla cura degli olivi malati, oggetto di grandi polemiche. Cosa ne pensa?

Facendo il punto della situazione a 7 anni dal rinvenimento del batterio colpisce come sostanzialmente non ci siano state variazioni di rilievo rispetto al postulato iniziale che non c’è cura contro la malattia da Xylella. Nonostante il non poco tempo trascorso, attualmente non esiste un compiuto studio epidemiologico sulla sua diffusione, conosciamo troppo poco tempi ed evoluzione della malattia nella pianta, nelle singole varietà e in differenti condizioni stazionali e/o di salute… Sappiamo, insomma, ancora troppo poco riguardo le conoscenze di base di un sistema di interazioni complesso che porta alla morte delle piante, in cui la Xylella gioca un ruolo fondamentale. Oggi, a parte alcuni modesti stanziamenti iniziali, la quasi totalità dei finanziamenti per la ricerca applicata in campo (quella che al momento serve di più) finalizzata alla salvaguardia del patrimonio olivicolo esistente in Salento è concentrata sull’individuazione di varietà resistenti. La salvezza degli olivi malati (cioè la quasi totalità degli olivi in provincia di Lecce e una parte consistente di quelle di Taranto e Brindisi) passerebbe allo stato attuale esclusivamente attraverso l’innesto del leccino sulle altre varietà più colpite; esperienza già provata su piante infette che purtroppo non ha dato i risultati sperati, come ammettono gli stessi sperimentatori. A questo punto non esistono alternative e l’unica opzione è costituita dagli abbattimenti massicci con sostituzione delle piante; penso con terrore a quello che comincerà ad accadere già nei prossimi due–tre anni nelle province infette di Taranto e Brindisi!

Di qui la necessità di trovare rimedi alternativi, anche attraverso cure sintomatiche che, come succede per l’uomo e come spesso accade anche in agricoltura, non «guariscono» la pianta ma la mettano in grado di continuare a vegetare e di produrre; ormai molti ricercatori si stanno orientando in tal senso. Attualmente le cure sperimentali in atto trovano una forte opposizione da un fronte che potremmo chiamare «no cura», molto presente sui social, che si scaglia violentemente contro chiunque proponga qualcosa in merito. Dimenticando, tra l’altro, che al mondo non si sono mai sperimentate cure sull’olivo prima d’ora e che quelle fallite per decenni negli Stati Uniti riguardavano la malattia di Pierce sulla vite, causata da un ceppo diverso di Xylella, la multiplex. Vista la drammatica situazione, provare non nuoce, o no? Meglio sorvolare sul dibattito, un po’ patetico, che si autoalimenta sui social; retroguardia, sotto tutti i punti di vista.

Personalmente ritengo che nelle cosiddette «zone delimitate» occorra mettere rigidamente in pratica tutte le misure prescritte per cercare di evitare l’espandersi dell’infezione, ma non vedo come esperimenti di cura praticati anche a 100 Km di distanza in aree infette da anni, dove il batterio è ormai endemico, possano influire in qualche modo sull’espansione della Xylella, come sostengono invece i sostenitori «no cura». Anzi, ritengo che le esperienze di cura adeguatamente supportate da pubblicazione scientifiche vadano promosse e incoraggiate. Due settimane fa mi sono fermato presso il campo sulla strada Lido Marini – Presicce in cui accompagnammo il ministro Centinaio per visionare una sperimentazione in atto con innesti su olivi malati; all’epoca gli olivi avevano complessivamente una chioma verdeggiante e in discreto stato vegetativo. Sono rimasto impressionato di come a due anni di distanza, purtroppo, la quasi totalità delle chiome fosse secca, così come una buona parte degli innesti. Nello stesso giorno, vicino Gallipoli, sono rimasto altrettanto impressionato dal contrasto tra una distesa di olivi morti da tempo da un lato di un viottolo e la presenza dal lato opposto di centinaia di olivi (varietà Ogliarola e Cellina come gli altri), trattati da alcuni anni con il cosiddetto «metodo Scortichini», con chiome che, pur in presenza di qualche sintomo da Xylella, erano dense e presentavano una più che buona fruttificazione. Da cittadino, prima che da tecnico, penso che esperienze come questa vadano approfondite e non demonizzate; la natura e l’economia diranno col tempo se tali pratiche saranno sostenibili o no. A meno che non ci siano altri problemi, come quello che mi pose un operaio durante un sopralluogo: «Dottore, mettiamo che troviamo una cura alla Xylella; ma poi chi glielo dice agli americani?».

In Salento sta partendo il Piano di rigenerazione olivicola che prevede soprattutto la messa a dimora di oliveti intensivi o super intensivi con le varietà resistenti leccino o F17. Cosa ne pensa?

Dopo anni di ritardi arrivano un po’ di fondi e questo è un fatto positivo. È importante, però, cercare di evitare errori che un domani possano rivelarsi controproducenti come quello del reimpianto di una monocoltura. Occorre perciò una programmazione degli interventi che oggi sembra assente e che vada oltre le esigenze pure e semplici delle aziende agricole e guardi alla problematiche complessive del territorio salentino. Pochi si rendono ancora conto dell’impatto che potrà avere un fenomeno come quello in atto, probabilmente il più radicale e veloce cambiamento produttivo e paesaggistico che sia avvenuto in Italia su scala provinciale. Cercare un rilancio solo in chiave del ripristino e rilancio della produzione olivicola oggi è riduttivo. Bisogna evitare l’errore, come invece si è fatto finora sotto tanti punti di vista, di dare una risposta semplice a problemi complessi.

A cosa si riferisce

Le attuali proposte sulla rigenerazione olivicola sono figlie della crisi del settore che dura da molto. Dieci anni fa il Presidente della Coldiretti provinciale, Piccinno, proponeva la costruzione di centrali elettriche alimentate dal prodotto degli olivi salentini, per l’85% costituito da olio lampante. Per fortuna la cosa non ebbe seguito, ma la crisi del settore olivicolo è andata avanti e la richiesta un suo rilancio è stata una costante. Non bisogna però concentrare oggi i finanziamenti esclusivamente su questa opzione, in quanto la partita legata alla presenza dell’olivo è molto più ampia e non può essere derubricata, con tutto il rispetto per il mondo agricolo, ad una semplice questione di economia agraria. Occorrono fondi aggiuntivi, ma la politica regionale e la collettività salentina devono intervenire nelle scelte territoriali che si stanno facendo e che riguardano un’area dove, per una serie di coincidenze, sussiste ancora la più grossa concentrazione di oliveti vetusti del mediterraneo e quindi del mondo. Il valore d’uso paesaggistico, storico-culturale oltre che ambientale degli oliveti nella prorompente accelerazione dell’economia turistica del Salento deve essere tenuto in una giusta considerazione, in quanto elemento caratterizzante, più del mare e delle città a mio giudizio, del distretto salentino.

Alcuni pensano ad un piano che utilizzasse la Xylella per far morire gli ulivi e poter ripiantare uliveti super intensivi…

Mi rifiuto di credere che ci sia qualcuno così stupido o criminale per poter anche pensare una cosa del genere, perché così distruggerebbe la principale possibilità di vendere ad un prezzo remunerativo l’olio prodotto. La Toscana commercia da sempre il poco olio che produce ad un prezzo tre volte superiore al miglior olio pugliese perché vende il proprio paesaggio e fa da secoli marketing territoriale; questa è la strada da seguire, non certo far concorrenza agli impianti super intensivi all’Andalusia o al Nord Africa, che regolano ormai il mercato dell’olio verso un costante ribasso. Non dimentichiamo, inoltre, che quest’anno, con una produzione di extravergine ottimale per quantità e qualità la Regione Puglia ha richiesto l’ammasso privato, per i prezzi bassissimi che si spuntano sul mercato. Per cui non ha senso distruggere il proprio paesaggio.

In ogni caso penso che rilancio produttivo e tutela territoriale possano coesistere , purché ne sussistano le condizioni ecologiche e adeguata regolamentazione e programmazione. Facendo i conti della serva e trovando gli imprenditori pronti a rischiare, con 15-20.000 ettari di oliveto intensivo e super intensivo si potrebbe ripristinare la quantità di olio, anche di migliore qualità, prodotto in provincia di Lecce ante Xylella. Rimarrebbero 70.000 ettari di oliveti su cui lavorare, soprattutto in chiave ambientale per un grandissimo piano di riconversione territoriale, partendo, ove possibile, dal recupero degli oliveti presenti e da un robusto potenziamento degli ecosistemi naturali. La Commissione europea finanzierebbe molto volentieri un progetto di questo tipo, purché si sia in grado di presentarlo in modi e tempi decenti. Le idee certo non mancano, si tratta di comporle in un piano organico, ma in fretta, prima che la speculazione che sta acquistando i terreni devastati finisca il suo lavoro.

In conclusione, una curiosità. Lo scorso anno Lei aveva accettato la proposta fatta dal presidente Emiliano per coordinare gli interventi sulla Xylella in ambito regionale, come annunciato alla stampa dallo stesso presidente. Non se ne è fatto niente. Cosa è successo?

L’idea mi piaceva molto e avevo cominciato a lavorarci. Poi i rapporti si sono interrotti. Bisogna chiederlo a Emiliano, avrà, stranamente, cambiato idea.

 

Ignazio Lippolis