Sviluppo ecosostenibile sì ma fermare il consumo di suolo

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Edilizia costruzione suolo
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Intervista ad Antonello Fiore (Sigea)

In Italia cresce più il cemento che la popolazione: nel 2019 sono nati 420mila bambini e il suolo ormai sigillato è avanzato di altri 57 km2. Alla base di buoni investimenti per il settore pubblico ci devono essere regole chiare in modo da ridurre i tempi di approvazione dei progetti rendendoli certi e rapidi. Se nulla cambia sarà solo una corsa del tipo «assalto alla diligenza»

Si è svolto, su iniziativa del senatore Ruggiero Quarto, il convegno «Tutela dell’ambiente e sviluppo ecosostenibile». Il Disegno di Legge (Ddl) S. 2058 di iniziativa del Senatore Quarto «Disposizioni per la realizzazione di interventi strategici per la tutela dell’ambiente e lo sviluppo ecosostenibile del territorio» presentato il 28 Dicembre 2020 e assegnato il 25 febbraio 2021 in sede redigente alla XIII Commissione Permanente «Territorio, ambiente, beni ambientali» ha come principi e finalità (artt. 1 e 2) la salvaguardia della incolumità della popolazione dai rischi naturali; la tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale, edilizio, infrastrutturale, industriale e storico-culturale del Paese; la prevenzione e gestione ordinaria dei rischi naturali (rischio idrogeologico, geochimico, sismico, vulcanico, da maremoto, di erosione costiera); la corretta gestione delle risorse naturali (georisorse, risorse idroelettriche e paesaggistiche); la salvaguardia della biodiversità e contrasto all’inquinamento delle matrici ambientali. Gli obiettivi (artt. 1 e 2) sono la realizzazione di interventi strategici per la tutela dell’ambiente e lo sviluppo ecosostenibile del territorio; la costruzione di un modello di governance valido ed efficiente per la materia concorrente Stato-Regioni «Governo del territorio»; lo sviluppo economico e sociale del Paese in ottica green.

Abbiamo voluto porre alcune domande ad Antonello Fiore, geologo e presidente nazionale della Società italiana di geologia ambientale (Sigea).

Tutela dell’ambiente e sviluppo ecosostenibile… cosa si è fatto e quali le conoscenze che non abbiamo?
Se dovessimo pensare allo sviluppo non possiamo che pensare a uno sviluppo dell’umanità con l’obiettivo di migliorare in generale le condizioni di vita, con le aspettative che evolvono nel tempo. Osservando nella storia recente lo sviluppo utile alla produzione di bene e servizi che soddisfano quotidianamente al meglio le nostre esigenze e i nostri bisogni, esigenze e bisogni di una popolazione in costante crescita, ci rendiamo conto che questo a partire da un certo punto non è stato più in equilibrio con l’ambiente. Quello che noi chiamiamo sviluppo ha iniziato a incidere fortemente sulle componenti ambientali alterandole, con ricadute sulla nostra salute. Si è interrotto difatti il legame tra bisogni, benessere e sviluppo. Se le nostre attività e azioni danneggiano l’ambiente che ospita la nostra vita non possiamo più parlare di sviluppo ma di atteggiamento egoistico e predatorio. Stiamo agendo decisamente con azioni poco attente al presente e senza una visione del futuro.

Oggi abbiamo sicuramente tutte le conoscenze per mettere in discussione questo tipo di sviluppo predatorio rimettendo al centro dell’interesse collettivo l’ambiente e creando uno sviluppo che permette all’ambiente di rigenerare quelle componenti che utilizziamo per la nostra esistenza, per il nostro benessere.

Che differenza c’è con quanto già conosciamo?
Per capire che abbiamo tutti i dati per una corretta valutazione possiamo guardare quello che accade con il consumo di suolo che genera perdita di biodiversità e aggrava gli effetti dei cambiamenti climatici.

L’Europa e le Nazioni Unite hanno richiamato gli Stati alla tutela del suolo, del patrimonio ambientale, del paesaggio, al riconoscimento del valore del capitale naturale e hanno chiesto di azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050, di allinearlo alla crescita demografica e di non aumentare il degrado del territorio entro il 2030 (UN, 20154). Tali obiettivi sono ancor più importanti, alla luce delle particolari condizioni di fragilità e di criticità del nostro Paese, rendendo urgente la definizione e l’attuazione di politiche, norme e azioni di radicale preservazione del suolo anche dai rischi geo-idrologici.

Una delle foto dell’Istat con il censimento 2011 evidenzia che il numero delle abitazioni censite al 2011 ammonta a 31.208.161 unità. Di esse il 77,3% è occupato da almeno una persona residente, mentre il 22,7% (7.072.984) è costituito da abitazioni non occupate (vuote) o occupate solo da persone non residenti.

Contrariamente a quello che avrebbe suggerito l’analisi del dato Istat e le raccomandazioni internazionali, nel rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) 2020 sul consumo di suolo nell’anno 2019 si registra che il consumo di suolo non va di pari passo con la crescita demografica. In Italia cresce più il cemento che la popolazione: nel 2019 sono nati 420mila bambini e il suolo ormai sigillato è avanzato di altri 57 km2 (57 milioni di metri quadrati) alla velocità di 2 metri quadrati al secondo. Immaginiamo una culla con un piccolo che piange pensando al suo futuro al centro di un piazzale assolato di 135 mq di asfalto nero.

Su questo argomento la politica ha manifestato tutta la sua debolezza. Nella precedente legislatura nel 2016 veniva licenziato dalla Camera dei Deputati un Disegno di legge sul consumo di suolo che il Senato non trasformerà mai in legge. In questa legislatura in molti sono partiti con un grande entusiasmo nel dichiarare che avremmo avuto una legge sul consumo di suolo, forse in troppi.

Per la situazione politica attuale del Parlamento, con la frammentazione della visione di interesse collettivo, il semestre bianco alle porte e la successiva elezione del nuovo Presidente della Repubblica, la necessaria legge sul consumo di suolo non sarà approvata prima della fine naturale, o molto probabilmente anticipata, della XVIII legislatura.

Che garanzie ci sono che stiamo di fronte a una reale transizione ecologica e non all’ennesima presa in giro? Quali sono i tempi e i modi?

Nessuna garanzia se non si trova il giusto equilibrio tra interessi economici e interessi di sostenibilità ambientale.

Entro il 30 aprile l’Italia deve presentare alla Commissione europea la versione definitiva del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il documento che traccia gli obiettivi, le riforme e gli investimenti che l’Italia vuole realizzare con i fondi europei di Next Generation EU. Sappiamo che il Piano si divide in sei macro-missioni alle quali sono associate parallelamente tre priorità trasversali: donne, giovani e Sud. Questi tre temi che devono essere contenuti in tutti gli obiettivi del Piano nazionale e che saranno misurati negli impatti macroeconomici, occupazionali e con gli indicatori di Benessere equo e sostenibile (Bes) introdotti nel quadro normativo nazionale nel 2016.

Alla base di questo finanziamento per rilanciare lo sviluppo del Paese in termini di sostenibilità ambientale c’è la capacità di spesa: spendere bene e spendere subito.

Se guardiamo i dati contenuti nell’ultimo bollettino della Ragioneria generale dello Stato riguardo l’utilizzo delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione (Fsc), nato per superare i divari territoriali e destinato per legge all’80% al Sud, dobbiamo annotare che a fronte di una dotazione complessiva per il settennio 2014-2020, pari a 68,81 miliardi di euro, risultano programmati interventi per 47,35 miliardi di euro, impegnati 9,16 miliardi di euro, pagamenti per 3,19 miliardi di euro, pari al solo 6,75% delle risorse programmate e al 5,72% del totale complessivo.

Il rischio vero è che queste somme saranno spese per grandi opere, vecchi progetti nei cassetti delle regioni e ormai ingialliti, e per l’adeguamento «ambientale» della media e grande industria a scapito di una serie di opere di rigenerazione che richiederebbe alla base un cambio culturale e una organizzazione diversa.

Alla base di buoni investimenti per il settore pubblico ci devono essere regole chiare in modo da ridurre i tempi di approvazione dei progetti rendendoli certi e rapidi. I progetti a loro volta devono essere ben fatti, rispettare le regole e con l’obiettivo di realizzare un’opera utile, duratura ed inserita nella giusta programmazione. Se nulla cambia in questa direzione sarà solo una corsa del tipo «assalto alla diligenza».

E quanto queste scelte sono vincolate da una situazione politica nazionale che potrebbe mutare nel tempo?
La politica italiana è frammentata e pensa solo a tutelare quella fetta del suo specifico elettorato per garantirsi l’auto sussistenza per la successiva elezione. In Italia non esiste maggioranza e minoranza che lavorano per l’interesse comune basando le azioni e le proposte sui propri principi morali fondanti, ma maggioranza e opposizione. Maggioranza e opposizione, come se tutto fosse una eterna contrapposizione e non una analisi critica per migliorare le azioni di governo.

 

Elsa Sciancalepore