Quando la povertà è più forte della tecnologia che portiamo

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Spegnere il buio… intervista a Teresio Asola

Un manager va in Madagascar per portare soluzioni energetiche che diano la luce ma è lui a ricevere un altro tipo di luce dagli sguardi dolci e dall’incedere dignitoso delle persone semplici…

Il sospetto che non tutto di sé fosse perfetto divenne certezza quando, superato il piccolo slargo di fronte all’hotel, si sentì circondato da sguardi curiosi e chiacchiericci convulsi, per poi venire assalito da una torma di tassisti. (…) Alla ragazza con bambino splendido se ne unì un’altra, cui se ne accodò una terza, tutte sorridenti, avvolte in vestiti sgargianti e in scialli multicolori da cui spuntavano occhioni di bimbi. Ognuna intenzionata a vendere qualcosa al ricco manager europeo in abito blu, camicia azzurra, cravatta regimental e scarpe nere.

Tiziano Oi vola in Madagascar per proporre soluzioni energetiche a ministri, ambasciatori e docenti. Il suo compito è debellare il buio, in quell’isola illuminata da sorrisi dove tutto abbonda tranne i beni che noi diamo per scontati. Egli dovrebbe portare la luce, ma è lui a riceverne dagli sguardi dolci e dall’incedere dignitoso delle persone semplici.

Noi di «Villaggio Globale» abbiamo voluto intervistare Teresio Asola, autore di svariati romanzi e manager di svariate aziende private e pubbliche, in particolare in ambito di energie rinnovabili…

Quali sono le soluzioni energetiche per «spegnere il buio»?
Certo non le grandi centrali e imponenti infrastrutture a rete, bensì un sistema energetico agile, capillare e decentrato di piccoli impianti a misura del territorio e di piccole comunità. Piccoli impianti capaci di utilizzare le materie prime naturali del luogo e di valorizzare peculiarità e competenze presenti sui territori.

Il progetto africano cui il libro accenna, rientrante nel programma Onu dei «Millennium goals» volti allo sviluppo sostenibile delle zone disagiate del globo, nasceva nel 2006 da un nuovo paradigma energetico, applicabile non soltanto ai paesi poveri della Terra e infatti già sperimentato nel 2005 da una nostra azienda in Italia. L’attenzione era rivolta all’idrogeno, prodotto dall’acqua in un elettrolizzatore usando elettricità prodotta da fotovoltaico, oppure da un gas in un reformer. All’epoca la tecnologia delle celle combustibili all’idrogeno era agli albori, ma già intravedevamo applicazioni che andavano dallo stazionario alla mobilità. Avevamo già realizzato due impianti pilota, a Settimo Torinese per una palazzina uffici e a Cesana nell’ambito delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006.

Nell’impianto di Settimo, primo impianto italiano progettato per la produzione, l’immagazzinamento e l’utilizzo di idrogeno verde in una palazzina uffici, l’elettricità veniva prodotta da due celle combustibili Pem durante il giorno attraverso un elettrolizzatore alcalino utilizzando un impianto fotovoltaico da 70 KW in grado di generare idrogeno a 200 bar che veniva immagazzinato. L’energia prodotta durante le ore del giorno sotto forma di idrogeno veniva usata la notte per illuminare l’ampio parcheggio.

Seguirono altre sperimentazioni di energia pulita all’idrogeno, fino a quando nell’estate 2006 fummo contattati da una Ong impegnata nel Progetto Millennium dell’Onu. Ci chiesero di sviluppare l’idea energetica per servire in maniera sostenibile 15.000 villaggi sparsi nel Madagascar. Si tenga conto che persino negli hotel della capitale si vedevano cartelli che avvisavano della possibilità di frequenti black-out elettrici.

In Madagascar proposi un sistema di microturbine a bioetanolo integrato da celle combustibili a idrogeno. Il bioetanolo veniva generato da prodotti agricoli locali, quali il riso. In questo modo venivano valorizzate le produzioni agricole locali e le competenze di chi abitava i villaggi. Presentammo il progetto al governo malgascio e a Jeffrey Sachs, consulente in sostenibilità dell’allora Segretario Generale dell’Onu Ban Ki Moon. Il nuovo, rivoluzionario paradigma energetico interessò molto, soprattutto per la componente di coinvolgimento delle risorse locali.

Questo era il progetto, certamente troppo innovativo e di frontiera per quegli anni. Dal viaggio di lavoro in Madagascar nacque il racconto «Spegnere il buio», che narra soprattutto la luce portata dai sorrisi dei malgasci al manager che si prodiga per il buon esito dell’impresa assegnatagli dalla sua azienda.

Ci racconti un po’ del suo libro «Spegnere il buio», pubblicato da Eretica Edizioni…
Nasce come resoconto di un viaggio di lavoro, vero, evolutosi in una naturale finzione narrativa. Un manager italiano viene mandato in Madagascar a proporre soluzioni e tecnologie innovative per dare energia elettrica ai villaggi, nell’ambito del Millennium Project dell’Onu. L’obiettivo era fornire l’energia utile per le reti e gli apparati informatici nei villaggi, ma soprattutto per far funzionare i pozzi, vitali per la sopravvivenza. Il viaggio di lavoro diventa anche un itinerario meraviglioso alla scoperta di un mondo inesplorato, per un manager italiano abituato ad altri orizzonti. Il manager incontra ambasciatori, ministri, il Presidente della Repubblica e accademici come il professor Jeffrey Sachs della Columbia University di New York. Infine, partito per proporre tecnologie energetiche di avanguardia volte a dare la luce e spegnere il buio, il manager torna in Italia carico della luce di quel popolo e di quell’isola. Una luce fatta di sorrisi, di semplicità, di voglia di vivere e positività nonostante la povertà, palpabile nei villaggi come nei vicoli di una capitale, Antananarivo, impazzita nei giorni della festa nazionale dell’Indipendenza.

Energia non solo come la capacità di un corpo di compiere un lavoro e questa intesa nelle sue varie forme di energia ma un’energia che nasce dal coraggio e dalla curiosità, dal desiderio di luce di paesi lontani… ci spieghi cosa ha voluto mettere in risalto in questo confronto e come questi due concetti possano essere soddisfatti entrambi in un contesto di sostenibilità ambientale, sociale, etica.

Come dicevo, il manager del libro parte per il Madagascar per portare la luce, e torna a casa con una luce particolare, regalatagli non solo dalla bellezza del progetto energetico, tanto innovativo a livello mondiale, ma anche dallo splendido sorriso dei locali, contenti di un po’ di energia elettrica per far funzionare il pozzo del villaggio o qualche vecchio computer della scuola del paese.

Sono da qualche giorno trascorse due giornate importanti, la giornata mondiale dell’ambiente quest’anno dedicata al «Ripristino degli Ecosistemi», e la giornata mondiale degli oceani… come l’energia è fondamentale per salvare l’uomo e il suo ambiente?
Abbiamo quotidianamente sotto i nostri occhi l’effetto del riscaldamento globale, provocato anche da un paradigma di produzione energetica che non ci possiamo più permettere. Le città devono promuovere modelli nuovi di sviluppo energetico. Gli aggregati abitativi, per quanto piccoli, dovranno trasformare localmente risorse naturali (sole, vento, movimento, rifiuti, differenziale termico) in elettricità, idrogeno, gas e calore, integrando tecnologie di produzione attiva con altre per rendere passivi gli edifici, al fine di sviluppare sistemi autosufficienti, a bassa emissione, 100% sostenibili.

 

Elsa Sciancalepore