L’Italia si svincola dal laccio dei Tar

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edilizia ristrutturazione
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Con una aggiunta all’ultimo minuto nel decreto Recovery approvato alla Camera, il ricorso al Tar non sarà più motivo sufficiente per interrompere i lavori di un’opera pubblica. Almeno di quelle inserite nel Pnrr

L’Italia potrà assomigliare a un Paese normale solo quando le opere pubbliche non saranno esposte né al rischio paralisi per i contenziosi con i Tar né al pericolo di una corruzione elevata a sistema. Servirebbe qualcosa che metta insieme efficienza e trasparenza, due parole che sembrano scomparse dal nostro orizzonte.
Non c’è stato presidente del Consiglio, o governo, che non abbiano tentato di depotenziare l’infernale meccanismo di interdizione dei Tar.
Opere pubbliche finanziate, appaltate e bloccate. Quasi 65mila contenziosi all’anno, 350mila cause in attesa di giudizio. Non c’è opera pubblica che non passi per il giudizio dei Tar. L’Italia è prigioniera dei tribunali amministrativi, di una giustizia che travalica la sua funzione e contribuisce a bloccare l’intero sistema Paese. Il numero dei contenziosi che approdano al Tar è spaventoso: più di un terzo riguardano opere pubbliche. E ogni volta che un cantiere si blocca, l’appalto si gonfia, i costi lievitano, e le ditte reclamano nuove integrazioni di fondi rispetto ai prezzi di aggiudicazione della gara. Con altri contenziosi che si sommano ai precedenti.
Finalmente, con una aggiunta all’ultimo minuto nel decreto Recovery approvato alla Camera, il ricorso al Tar non sarà più motivo sufficiente per interrompere i lavori di un’opera pubblica. Almeno di quelle inserite nel Pnrr. La novità, come ha sottolineato il ministro della P.A. Renato Brunetta, garantisce così che l’Italia potrà «procedere in velocità, senza pregiudicare le legittime tutele per le imprese».
La svolta è contenuta nell’articolo 48 (comma 4) del Dl semplificazioni:
4. In caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento di cui al comma 1, si applica l’articolo 125 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
Tre righe che danno la cifra del cambio di passo voluto dal governo Draghi: i tribunali amministrativi non avranno più il potere di bloccare i cantieri. Tre righe, in un decreto di 67 articoli, per spazzare via il fardello della giustizia amministrativa. In caso di contenziosi amministrativi le opere del Pnrr proseguiranno il loro iter e non subiranno interruzioni. Per gli investimenti previsti dal Recovery, la norma stabilisce che in caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento, i lavori delle opere andranno avanti, al netto dell’esito del contenzioso. «È la garanzia che l’Italia procederà in velocità, senza pregiudicare le legittime tutele per le imprese».
La norma blocca Tar, varata con il Dl semplificazioni, richiama l’articolo 125 del processo amministrativo: una procedura, già prevista in casi straordinari, per le opere strategiche, che ora si estende a tutti gli appalti finanziati con i fondi del Pnrr e del Pniec (Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030). All’impresa, che eventualmente vince il ricorso al Tar contro l’aggiudicazione dei lavori al concorrente, spetta esclusivamente una tutela risarcitoria: soldi. Basta sospensione dei lavori. Il cantiere andrà avanti. Spedito. Senza perdersi tra ricorsi e carte bollate. Sarà il giudice a stabilire l’ammontare del risarcimento.
La norma, voluta da Brunetta, si ripropone la missione di ridurre il potere dei giudici amministrativi. Un potere considerato un deterrente per gli investitori stranieri, spaventati dai ricorsi e dalla lentezza delle decisioni.
Ecco, dunque, che l’articolo 48 del Dl semplificazioni può segnare un cambio di passo. Una spinta per l’Italia a correre ad alta velocità. Liberando le risorse dalle ganasce della burocrazia. «Siamo intervenuti — ha affermato il ministro Brunetta — eliminando i principali colli di bottiglia che potrebbero frenare la transizione digitale ed ecologica. Acceleriamo gli appalti e la realizzazione di importanti opere strategiche».
Quindi niente blocco dei cantieri e niente tira e molla tra le imprese, visto che nella prassi lo spettro del Tar viene spesso agitato dalle aziende non assegnatarie che puntano a ottenere almeno il subappalto.
La tentacolare presenza del Tar si alimenta attraverso un’altra anomalia tutta italiana: il fatto cioè che nel nostro Paese sono attive 21.000 stazioni appaltanti. E più sono i soggetti che decidono l’assegnazione dei lavori, più si aprono varchi per i contenziosi dietro i quali è facile manovrare e fare girare mazzette per accelerare le pratiche.
Mi auguro però che quanto previsto da questo esecutivo non resti solo per le opere del Recovery, ma possa guardare anche agli anni futuri, gli appalti futuri.
La semplificazione di cui abbiamo bisogno è una semplificazione radicale: bisogna intervenire prima, durante e dopo le gare.
L’auspicio dunque è che non ci siano più opere bloccate a causa di ritardi legati a ricorsi al Tar: la realizzazione di un’opera pubblica deve avere la prevalenza sugli interessi legittimi delle imprese.
L’impresa seconda classificata, infatti, se ritiene di aver subito un torto, legittimamente potrà fare ricorso per richiedere il risarcimento sia del danno emergente, costituito in genere dalle spese sostenute per la partecipazione alla procedura di gara, nonché dalla perdita di chance, legata alla impossibilità di far valere nelle future contrattazioni il requisito economico legato all’esecuzione dei lavori, sia del lucro cessante, costituito dall’utile economico derivante dall’esecuzione dell’appalto.
Questo andrà valutato sia nell’an che nel quantum dalla Giustizia Amministrativa, senza che, allo stesso tempo, venga bloccata l’esecuzione di un’opera «pubblica».
Solo così l’Italia procederà in «alta velocità» senza impantanarsi e tutelando, legittimamente, le imprese.

 

Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia

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