Non è cambiato, negli ultimi mesi, il clima d’opinione nei confronti delle riforme proposte dalla maggioranza di governo che mirano a modificare la Costituzione, inserendo l’elezione diretta del presidente del Consiglio e l’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. La prima sostenuta dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. La seconda promossa dalla Lega di Matteo Salvini.
Il principale aspetto che differenzia le opinioni verso l’elezione diretta del Premier è l’orientamento politico e di partito. Infatti, si dicono favorevoli quasi 9 intervistati su 10 fra gli elettori della Lega e oltre 8 fra chi vota per i FdI e FI. Ma il «sentimento» appare positivo (intorno al 70%) anche nella base di Azione e dei partiti riuniti nella lista di scopo «Stati Uniti d’Europa».
Il consenso, inoltre, risulta ampio (58%) nell’elettorato del M5S, mentre è minoritario nel Pd (45%) e, ancor più, fra chi sostiene l’Alleanza Verdi e Sinistra. Questa tendenza, peraltro, è coerente con una linea evidente da anni nella politica italiana (e non solo). La «personalizzazione», che si è affermata per effetto, soprattutto, dei media. In particolare, la televisione, da quando, negli anni Novanta, Silvio Berlusconi, «inventò» il suo «partito personale», Forza Italia. Un modello riprodotto, dopo l’irruzione del digitale, da Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle.
Il tema dell’autonomia differenziata, però, segna distanze più profonde, nel sistema politico. Fra i partiti della maggioranza, largamente favorevoli, e quelli di opposizione, «al contrario» decisamente «contrari». In particolare, il Pd.
C’è un Paese alla ricerca di un «premier», nel quale «riconoscersi». Che dia «un volto riconosciuto» a tutti i cittadini. E c’è un Paese diverso, più delimitato, ma non troppo, che non accetta questa svolta. Al contrario, la considera rischiosa. Perché teme che possa tradurre «l’autorità in senso autoritario».
Questo modello di «unità» contrasta con una domanda di autonomia differenziata estesa, anche se non maggioritaria. Queste due prospettive, per quanto ora appaiano «convergenti», in un futuro non lontano potranno «divergere». Collidere più che coincidere. Fino a generare ulteriori fratture. Con il rischio di delineare non una ma «diverse» Italie… tra loro molto diverse.
Francesco Sannicandro