Chiude in Gran Bretagna l’ultima centrale a carbone

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La centrale elettrica di Ratcliffe-on-Soar è una centrale elettrica a carbone dismessa di proprietà e gestita da Uniper a Ratcliffe-on-Soar nel Nottinghamshire, in Inghilterra.  Foto dal sito Uniper
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֎È la centrale elettrica di Ratcliffe-on-Soar, dopo 56 anni di servizio. L’idea del gigante energetico tedesco Uniper, che gestisce l’impianto, è di rimpiazzarla con un hub di ricerca e tecnologia energetica, tutto a emissioni zero. Una buona parte dei 170 dipendenti (più 120 contractor) rimarrà per il processo di smantellamento dei prossimi due anni e poi di definitiva demolizione entro la fine del decennio֎

La centrale elettrica di Ratcliffe-on-Soar, l’ultima centrale elettrica a carbone del Regno Unito, dopo 56 anni di servizio e fino a due milioni di case illuminate e riscaldate insieme, ha chiuso definitivamente battenti e fornaci a mille gradi.
«È un momento storico», sostiene Daniel Therkelsen dell’associazione ambientalista Coal Action Network. Soprattutto perché il Regno Unito, plumbea patria delle rivoluzioni industriali, è il primo Paese del G7 a rinunciare alle centrali energetiche a carbone, a 142 anni dalla prima. E ora ha l’ambizioso obiettivo di produrre energia completamente pulita entro il 2030, atomo incluso. Mentre altri Paesi arrancano: la Germania, dopo l’affrettato addio al nucleare, non ce la farà a fare lo stesso fino al 2038. Gli Stati Uniti, nonostante prima dell’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca producessero metà di energia dal carbone, sono ancora fermi al 16%, come ricorda il «Times». Mentre l’Italia entro il 2025 dovrebbe chiudere almeno le centrali a carbone della terraferma, ma non quelle in Sardegna.
«Questo era il mio meraviglioso posto di lavoro», commenta Brendan Scoular, chimico a Ratcliffe-On-Soar, «provo felicità e tristezza insieme». La famiglia Newcombe, invece, è esemplare per raccontare la parabola di questa «power station». Il supervisor Aran ci ha lavorato negli ultimi 17 anni e qui ha conosciuto pure sua moglie Leigh-Anne. Ma nella stessa centrale anche suo padre Jon ha trascorso quasi tutta la sua vita nella squadra di meccanici, dopo un tirocinio nel 1982: «Sarà un giorno mesto», ha detto alla Bbc.
Mentre qualcuno sussurra che oggi qui potrebbe affacciarsi anche il re ambientalista Carlo III, nelle casette e nei paesini intorno Ratcliffe-On-Soar, si respira sollievo ma anche tanta nostalgia. Qualcuno ricorda le macchie nere e puzzolenti che improvvisamente apparivano sui panni stesi in giardino o sulle automobili. «Questa centrale l’abbiamo vista nascere e morire», confessa un signore anziano, Peter Heywood, «è un peccato vedere le torri andare, oramai facevano parte della nostra famiglia». C’è persino chi ha lanciato una petizione online, per farne rimanere in piedi almeno una.
Perché la Ratcliffe-On-Soar è paradossalmente anche un’attrazione. Ci sono fotografi, come il celebre Christopher Furlong, che hanno amato questi sinuosi cilindroni. Ma anche migliaia di comuni mortali che hanno percorso l’autostrada M1 solo per fotografare queste torri, come i monumenti di Stonehenge, in una bizzarra ammirazione che intreccia futurismo e brutalismo britannico. Del resto, per la scena iniziale del suo capolavoro Blade Runner, Ridley Scott si ispirò a un altro mostruoso impianto, la Wilton Chemical Plant poco fuori Middlesborough. E un’altra vecchia centrale, come la Battersea Power Station dei Pink Floyd a Londra, oggi è stata riconvertita in un complesso di negozi alla moda, appartamenti di lusso e scintillanti uffici di multinazionali come Apple.
Mentre ancora non è chiaro il futuro della Ratcliffe-On-Soar. L’idea del gigante energetico tedesco Uniper, che gestisce l’impianto, è di rimpiazzarla con un hub di ricerca e tecnologia energetica, tutto a emissioni zero. Una buona parte dei 170 dipendenti (più 120 contractor) rimarrà per il processo di smantellamento dei prossimi due anni e poi di definitiva demolizione entro la fine del decennio. Altri lavoratori sono andati via volontariamente con sostanziose buonuscite o resteranno per nuovi corsi di formazione. Mentre altri operai, come Jon Newcombe, sono andati nel paradiso della pensione. Anche i sindacati come il Tuc (Trades Union Congress) lodano la transizione che «potrebbe essere un modello» per il futuro. Dentro la centrale, intanto, spuntano striscioni blu con la scritta Thank you!
Si chiude così un’era fuligginosa, iniziata con la prima centrale elettrica a carbone nel 1882, inaugurata nella centralissima Holborn a Londra nientemeno che dal papà delle lampadine, Thomas Edison, per accendere i lampioni della capitale.
Un secolo fa, l’energia elettrica del Regno Unito era prodotta al 90% da carbone, e fino al 2010 era al 39%. Poi i governi conservatori di David Cameron decisero di accelerare la exit strategy dal coal, mentre l’esecutivo del neo primo ministro Sir Keir Starmer punta a zero emissioni entro il 2050 e ha annunciato un finanziamento statale da 8 miliardi di sterline per il nuovo maxi fondo per l’energia verde, Gb Energy, che punta ad attrarre enormi investimenti «green» dai privati.
Tutto ciò è stato possibile con straordinari investimenti in energia eolica e solare, nonostante le resistenze dei residenti locali, e ora Starmer ha ulteriormente «liberalizzato» la costruzione di pale eoliche offshore. Ma anche grazie a progressive tasse sul carbone che hanno reso inconvenienti le coal power stations. E quindi basta fumo di Londra, «città in una nuvola» secondo Charles Dickens in Martin Chuzzlewit. E basta con l’attrazione fatale di Monet per la ex bruma di questo Paese, per cui il pittore francese, «senza di essa, Londra non sarebbe così bella. È la nebbia che le regala questa maestosità». Ora invece, «Here comes the sun» dei Beatles, un messaggio di speranza che illumina il mondo.
Il sole cantato dai Beatles diventa il simbolo di una rinascita, l’esemplificazione perfetta di un’umanità che si affaccia al presente con speranza e fiducia nel domani.

 

Francesco Sannicandro