Val d’Agri, l’area estrattiva riduce la biodiversità

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Il centro Cova. Foto dal sito del ministero dell'Interno
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Primo studio sugli impatti. Presenti specie protette

֎Uno studio coordinato dall’Università di Bologna insieme a Ispra e Arpab mostra i danni causati alla Natura dal sito industriale lucano. Questo territorio vanta un elevato valore naturalistico e ambientale, caratterizzato da importanti aree protette come il Parco nazionale dell’Appennino Lucano-Val d’Agri, Zone di protezione speciale e Siti di importanza comunitaria, un’antica economia rurale radicata nell’agricoltura, una produzione casearia rinomata e una vocazione turistica. Le dichiarazioni del prof. Roberto Cazzolla Gatti dell’Alma Mater, coordinatore delle ricerche֎

Le attività antropiche possono avere impatti ambientali notevoli sugli ecosistemi ed è necessario sviluppare strategie di monitoraggio per la conservazione della biodiversità. Uno studio appena pubblicato (Cassola, Francesca Maura et al. Assessing the effects of anthropogenic pressures on biodiversity: a multi‑taxonomic approach in Basilicata, Italy. Environmental Science and Pollution Research) coordinato dall’Università di Bologna e in collaborazione con Ispra e Arpa Basilicata ha indagato le conseguenze delle attività antropiche in Val d’Agri (Basilicata, Italia) impiegando un’analisi multi-tassonomica per studiare le dinamiche spaziali e le risposte delle specie a queste pressioni.

«Studiando 151 specie diverse di piccoli mammiferi, rettili, uccelli, coleotteri e licheni — ha dichiarato il prof. Roberto Cazzolla Gatti dell’Alma Mater, coordinatore delle ricerche — abbiamo stabilito una base di riferimento preziosa per analizzare la biodiversità locale e abbiamo analizzato la relazione tra impatti antropici (aree industriali, strade, agricoltura, silvicoltura, ecc.), copertura vegetale e diversità delle specie. I nostri risultati hanno rivelato una relazione negativa tra biodiversità e vicinanza alle aree industriali della Val d’Agri, evidenziando il pesante danno alla natura causato dalle attività condotte nella zona industriale di Viggiano».

Nella Val d’Agri è presente un caso molto interessante della complessa interazione tra sviluppo economico e impatto ambientale. Questo territorio vanta un elevato valore naturalistico e ambientale, caratterizzato da importanti aree protette come il Parco nazionale dell’Appennino Lucano-Val d’Agri, Zone di protezione speciale e Siti di importanza comunitaria, un’antica economia rurale radicata nell’agricoltura, una produzione casearia rinomata e una vocazione turistica. Tuttavia, nel corso dei decenni, le pratiche agricole intensive e l’allevamento del bestiame hanno portato a notevoli trasformazioni del suo territorio. Questi cambiamenti hanno aperto la strada a sostanziali progressi nelle pratiche agricole, in particolare nell’alta valle, dove prevalgono i sistemi di coltivazione intensiva. Inoltre, nel 1970, la regione Basilicata ha concesso a Eni Spa. l’esplorazione, la perforazione e l’estrazione di petrolio. Questa concessione ha portato all’installazione di un centro di estrazione di idrocarburi e petrolio noto come Centro Petrolifero Val d’Agri (Cova), riconosciuto come il più grande centro di estrazione onshore in Europa. Il Cova è costituito da 24 pozzi attualmente operativi e ha dato luogo a uno specifico sviluppo industriale che ha portato alla realizzazione del distretto industriale di Villa d’Agri, che si estende su 180.000 m2.

«Mentre gli impatti delle attività antropiche sulla biodiversità sono ben documentati a livello europeo e globale, il contesto ambientale specifico della Val d’Agri ha ricevuto poca attenzione scientifica sino ad ora, in particolare per quanto riguarda il modo in cui queste pressioni influenzano la biodiversità a livello funzionale», scrivono la dott.ssa Cassola e i suoi colleghi nello studio.

Ad oggi, infatti, mancano completamente studi sugli impatti riguardanti la biodiversità di quest’area, rendendo questa ricerca la prima a esplorare sistematicamente la relazione tra attività umane e biodiversità attraverso un approccio multi-tassonomico e basato sui tratti funzionali delle specie.

«Quando si tiene conto della variazione della biodiversità, scegliere gruppi tassonomici singoli o multipli come indicatori non è semplice — sottolinea il prof. Cazzolla Gatti —. I cambiamenti nella diversità di un singolo gruppo tassonomico potrebbero non riflettere quelli di un altro gruppo sottoposto alle stesse pressioni, poiché alcuni effetti antropici possono avere un impatto non solo su una singola specie o gruppo, ma su interi ecosistemi. Per questo motivo, combinando diversi gruppi tassonomici, abbiamo cercato di avere una comprensione più completa delle dinamiche della biodiversità locale sotto pressioni antropiche, poiché considerare più taxa potrebbe aumentare la solidità delle nostre conclusioni».

Inoltre, come scrivono gli autori dello studio, è stata osservata una predominanza di tratti biologici generalisti tra i taxa in tutti i siti dello studio piuttosto che un aumento della specializzazione delle specie con l’aumento della distanza. Ciò potrebbe suggerire un effetto omogeneizzante causato da varie attività antropiche che causano la frammentazione degli ecosistemi e una maggiore mortalità di organismi più specializzati e questo sottolinea l’influenza duratura di queste attività sulla biodiversità della Val d’Agri.

I risultati di questa ricerca, a firma anche dei ricercatori Ispra (le dott.sse Emanuela Carli, Pierangela Angelini, Laura Casella e Francesca Pretto) e Arpab (i dott. Gaetano Caricato e Giuseppe Miraglia), hanno rivelato un impatto significativo delle attività industriali sugli ecosistemi della zona, in particolare, in relazione alla distanza dal centro industriale. «Ad oggi — evidenzia il prof. Cazzolla Gatti — mancano studi che esaminano direttamente gli impatti in siti di sfruttamento specifici, in particolare nel contesto dell’estrazione di combustibili fossili, e questa lacuna è, in parte, dovuta agli elevati costi e alla complessità dell’implementazione di tali ricerche sul campo. Tuttavia, i nostri risultati sono in linea con studi simili condotti in altre regioni del mondo. Ad esempio, altri scienziati hanno segnalato una tendenza a osservare una ridotta ricchezza di specie in prossimità delle aree di estrazione petrolifera ed è comune riscontrare una maggiore prevalenza di specie generaliste in aree disturbate».

Nel complesso, i risultati di questo studio forniscono indicazioni per aumentare gli sforzi di conservazione, evidenziando l’importanza di considerare la prossimità ad aree industriali nelle strategie di gestione della biodiversità. «Infine — concludono Cassola e colleghi — abbiamo identificato nell’area di studio un numero significativo di specie che rientrano in categorie protette a livello nazionale, europeo e/o internazionale. In particolare, molte di queste specie sono endemiche della penisola o dell’Italia meridionale e sono di particolare interesse per la conservazione a causa della loro distribuzione limitata o delle popolazioni in declino. La presenza di queste specie all’interno di categorie protette evidenzia la loro vulnerabilità e la necessità di sforzi di conservazione mirati per garantirne la sopravvivenza. Le iniziative di conservazione dovrebbero dare priorità alla protezione di queste specie e dei loro habitat per mantenere la biodiversità e l’integrità dell’ecosistema nell’area di studio, in particolare in relazione alla mitigazione degli impatti industriali».

 

Articolo originale: Cassola, F.M., Iaria, J., Martini, M., Cazzolla Gatti, R,. Assessing the effects of anthropogenic pressures on biodiversity: a multi-taxonomic approach in Basilicata, Italy. Environ Sci Pollut Res (2025). 

 

R. V. G.