֎Unificata la centrale per gli interventi ma personale anziano e mezzi inefficienti. Un aiuto minimo arriva dai nuovi dissalatori mobili. La prevenzione è sempre sconosciuta֎
In Sicilia, ormai, non più emergenza, ma transizione climatica. Non più disorganizzazione, ma rimodulazione delle risorse. Le stagioni non si misurano più in mesi, ma in emergenze. Ogni estate, in particolare, è un ritorno al futuro climatico: secco, rovente, infuocato.
Ogni anno, puntuale, ci si presenta con un copione già scritto: incendi, siccità, agricoltura in ginocchio. La novità, adesso, è nel lessico usato dalle istituzioni per mascherare la ripetizione.
La Sicilia si prepara a vivere l’ennesima estate tra ansia per i roghi, rubinetti asciutti e agricoltori allo stremo.
Dal 24 giugno, la nuova centrale dovrebbe gestire in sinergia il Corpo forestale, la Protezione civile e i Vigili del fuoco. Una sala operativa unica regionale per coordinare la risposta agli incendi boschivi. Un quartier generale con maxischermi, mappe satellitari, segnalazioni in tempo reale, termocamere strategiche e operatori pronti a intervenire. È il cuore pulsante del nuovo piano antincendio della Regione, con base nei locali di Sicilia Digitale, ai piedi di Monte Pellegrino.
Il piano operativo 2025 è una macchina ben oliata: diciassette unità Aib (Antincendio Boschivo) in più, seicentodiciannove punti acqua distribuiti sul territorio, centonovantaquattro torrette di avvistamento, dieci elicotteri e l’appoggio dei canadair quando necessario. Il tutto per un costo di tre milioni di euro.
La Sicilia è pronta alla guerra al fuoco. Accanto ai pannelli touch, alle termocamere che mostrano cosa accade in diretta e alle segnalazioni che arrivano via 1515, ci sono loro: gli operai forestali, i veri protagonisti della manutenzione sul campo. Quelli che devono scavare viali tagliafuoco, bonificare boschi, rimuovere rami secchi e sterpaglie, cioè tutto il materiale perfetto per accendere l’inferno. E lì, il quadro cambia. Perché l’età media del personale, denunciano i sindacati, sfiora quella pensionabile. E, mentre le telecamere termiche proiettano immagini in 4k, i mezzi a disposizione per raggiungere i luoghi degli incendi arrancano come furgoni del dopoguerra.
La manutenzione dei viali parafuoco, la misura più efficace per contenere gli incendi, è partita, come ogni anno, in ritardo. I primi operai forestali, con i soliti contratti da centocinquantuno ore, sono stati chiamati il 15 maggio. Hanno cominciato dalle zone costiere, risalendo verso colline e montagne quando già il caldo iniziava a mordere.
Il Presidente della Regione, Renato Schifani, difende il lavoro fatto: «Abbiamo aumentato le giornate lavorative dei forestali». Chi accusa la Sicilia di essere la regione con più incendi dimentica che ormai
«è diventata Nord Africa», con un clima estremo, caldo torrido e scirocco che «fa propagare ancora di più gli incendi». Vero. Ma proprio per questo, il piano dovrebbe prevedere non solo il contrasto, ma anche la prevenzione.
E invece, ogni estate, si arriva trafelati. Come se fosse una sorpresa che in Sicilia, a luglio, possa prendere fuoco una collina.
Così come, ormai, non è una sorpresa la mancanza di acqua. Nella lotta alla siccità, c’è una buona notizia. Ci sono voluti diciotto container, cento milioni di euro e un bel po’ di retorica emergenziale, ma alla fine i dissalatori mobili sono arrivati. I tre impianti sono finalmente atterrati in Sicilia. Due sono già a Gela e Porto Empedocle, il terzo ha appena raggiunto Trapani. «Una risposta concreta a un’emergenza senza precedenti», ha detto Schifani.
I dissalatori funzionano con la tecnica dell’osmosi inversa: prelevano acqua di mare, la filtrano attraverso una membrana, la correggono con qualche additivo chimico e la trasformano in potabile. In teoria, un miracolo moderno. In pratica, un aiuto minimo. Ogni impianto produrrà novantasei litri al secondo. Tradotto in abitanti: acqua per circa quarantamila persone. Totale? Centotrentamila siciliani. Su quattro milioni e settecentomila residenti. Più i turisti. Più gli agricoltori. Più gli allevatori.
Eppure, il governo regionale ha deciso di puntarci forte: novanta milioni di euro arrivano da Roma, altri dieci dal bilancio regionale. Aggiungendo i costi di funzionamento (alti, perché questi impianti consumano tantissima energia) il quadro si complica. La soluzione, insomma, è sì «mobile», ma anche costosa, energivora e poco strutturale. Funziona bene sulle isole minori, come dimostrano le Eolie o Pantelleria, dove il dissalatore ha sostituito le navi cisterna. Ma su scala regionale, con bacini agricoli da irrigare e metropoli assetate, è come voler riempire una diga con un annaffiatoio.
La Sicilia ha sete. E non da oggi. Gli invasi, secondo il bollettino ufficiale della Regione del 2 giugno, sono riempiti per meno della metà: trecentosettanta milioni di metri cubi su novecentocinquanta disponibili. E le zone più colpite sono sempre le stesse: Palermo, Trapani, Agrigento. Dove la siccità è diventata una condizione permanente e le autobotti (come già suggerito dall’Autorità di Bacino) tornano a essere un’opzione per irrigare i campi.
Nel frattempo rimane sullo sfondo un piano da duecentocinquanta milioni di euro per nuove fonti idriche, acquedotti da restaurare, tubature da rattoppare. Un investimento importante, sicuramente. Ma i cui effetti si vedranno tra qualche anno. Sempre che i cantieri non evaporino, come spesso accade, nel caldo afoso delle promesse. Per ora, dunque, la Sicilia si affida al mare. Letteralmente. Con una scommessa ad alto costo e a bassa portata, buona per qualche comune ma irrilevante per l’isola nel suo insieme.
Irrilevante, soprattutto, per gli agricoltori. E qui veniamo al terzo elemento: la terra. La chiamano «terra promessa», ma ormai promette sempre meno. Tra siccità cronica, dighe fantasma e politiche agricole fuori tempo massimo, l’agricoltura siciliana arranca. E non da oggi. La crisi è strutturale, anche se le piogge d’inizio anno hanno regalato qualche attimo di respiro. A fronte di un fabbisogno idrico agricolo quotidiano di settecentomila metri cubi, gran parte della rete di distribuzione è obsoleta, con novecento chilometri di canali e condotte che si perdono più dell’acqua che trasportano.
Il presidente di Confagricoltura Sicilia, fa il punto: «Su venticinque dighe regionali, oltre ventuno non sono collaudate». Alcune hanno le paratie spalancate da quarant’anni. In caso di pioggia, non raccolgono: allagano. E, mentre gli agricoltori guardano il cielo e sperano in una perturbazione, la Regione stanzia bonus a singhiozzo (come quello per il foraggio) spesso tardivi e insufficienti.
Eppure, la Sicilia non è una terra qualunque. È la prima regione italiana per superficie dedicata alle arance, con oltre cinquantaseimila ettari, e vanta il record nazionale di agricoltura biologica: 28,8 per cento della superficie agricola (obiettivo UE già superato). L’export agroalimentare cresce, +5,8 per cento nel 2022. Ma, dietro i dati scintillanti, c’è il crollo: tra il 2010 e il 2020, il numero di aziende agricole è diminuito del 34,5 per cento. Solo il 7,5 per cento è informatizzato. Il valore aggiunto per unità di lavoro è meno di un terzo rispetto alla media nazionale.
La verità è che servirebbe un grande piano per l’agricoltura siciliana. Non solo soldi, ma visione. Messa in sicurezza delle dighe, reti idriche nuove, condotte intelligenti, incentivi per digitalizzare le aziende. La terra, come l’acqua, non aspetta. E, se la politica continua a rispondere alle emergenze con soluzioni tampone, i prossimi raccolti saranno più facili da contare che da raccogliere.
Alla fine, ogni estate in Sicilia è un test. Non solo per la natura, sempre più estrema, ma per la pazienza dei siciliani. È un’esercitazione collettiva tra incendi prevedibili, siccità annunciata e agricoltura in ginocchio. Una corsa a ostacoli tra dissalatori da sbloccare, dighe da collaudare, viali parafuoco da ripulire e agrumi che nessuno raccoglie, perché non conviene più.
Le risposte istituzionali ci sono. Ma sono spesso tardive, parziali o gonfiate da una retorica dell’emergenza che serve più a riempire conferenze stampa che cisterne. Intanto, la terra si svuota, l’acqua si disperde e il fuoco aspetta il prossimo soffio di scirocco per fare il suo ingresso in scena.
Francesco Sannicandro