La città sotterranea di Monte Pucci un possibile Parco di Land Art

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Rivive la storia più affascinante del Gargano

֎Oggi Monte Pucci, per molti un «luogo» dell’abbandono, in realtà un sito di elevatissimo grado di naturalità, e come tale si è voluto concepirlo, che riesce a restituirci l’identità di un luogo contemporaneo che svela stratificazioni preistoriche e storiche֎

biscotti pucci 3Monte Pucci è una boscaglia mediterranea aperta a praterie xeriche, pini d’Aleppo (Pinus halepensis), lentischi (Pistacia lentiscus), olivastri (Olea europea var. sylvestris), caprifichi (Ficus carica subsp. caprificus) e secolari ulivi, tra le più rigogliose e suggestive, anche sul piano panoramico, della costa settentrionale del Gargano. Solo per pochi è un «luogo» di ricordi e memorie, di tante grotte che fino agli anni Sessanta del Novecento erano stalle per capre, pecore e bovini; per pochi altri, memorie di antichi cimiteri in grotte che celavano tesori (monete d’oro). Per gli anziani di molti decenni addietro, Monte Pucci era la «montagna del tesoro». Fu segnalata per la prima volta alla comunità scientifica negli ultimi anni dell’Ottocento, da un maestro di Vico del Gargano, Giuseppe del Viscio, il primo che intuisce la sua natura di cimitero paleocristiano.

Caprifichi olivastri e lentischi offrono ombra a una serie di grotte che abbiamo imparato a decifrare come ipogei sepolcrali, con segni indelebili di architetture tombali scolpite al loro interno:

27 grotte disseminate su una superficie di circa 5 ettari, che preservano oltre 900 loculi. Un grande «cimitero» di cui nei dintorni non vi è traccia di abitato. È il mistero della Necropoli di Monte Pucci!

Tutti gli ipogei sono strutturati con un dromo di accesso, sul quale si sviluppa la porta d’ingresso che si apre su camere disseminate di loculi in ogni parte, a testimoniare i prolungati usi e riusi di questa secolare necropoli. Se non c’è la sua città visibile, è la necropoli che emerge come una città sotterranea dei morti, caratterizzata da spazi, strutture e significati che evocano una città viva. Attraverso i suoi corredi funerari, questa necropoli ci permette di immaginare una città che racconta molto sulla storia del Gargano, spaziando in un intervallo temporale straordinariamente ampio che va dal II al VII secolo d.C.

Un luogo pregevole

Oggi Monte Pucci, per molti un «luogo» dell’abbandono, in realtà un sito di elevatissimo grado di naturalità, e come tale si è voluto concepirlo, che riesce a restituirci l’identità di un luogo contemporaneo che svela stratificazioni preistoriche e storiche. Con due interventi progettuali finalizzati al recupero e alla sua valorizzazione, il primo avviato nel 2011, e il secondo nel 2015, Monte Pucci si configura oggi come «Ecomuseo naturalistico-archeologico» che vuole celebrare l’intreccio millenario tra Natura e l’Uomo, nella sua dimensione di una rupe mediterranea elevata a montagna sepolcrale (Monte Porcio).

biscotti pucciLa prima campagna di scavi ha portato alla luce una ricca collezione di reperti di grande valore documentale e artistico: oggetti di ornamento personale, vasi di vetro colorato di alta qualità, ceramiche semplici, oltre a lucerne. Infine un reperto di assoluto pregio: un anello d’oro di epoca romana, presumibilmente del primo secolo dopo Cristo, impreziosito da una gemma che reca una fine incisione: una immagine riconducibile all’eroe greco Diomede che stringe in una mano il Palladio, quel simulacro ligneo (immagine sacra di Pallade Atena) che sarà venerato a Troia per il suo potere di proteggere la città.

Le Isole Tremiti sono le ultime terre pugliesi che ancora oggi raccontano la leggenda di Diomede, il mitico eroe greco che, dopo la caduta di Troia, girovagando per il Mediterraneo trovò «pace» sull’Adriatico fondando queste isole e molte altre città. Secondo la leggenda, le isole emersero dalle acque a seguito dei sassi che Diomede aveva portato da Troia. Nascono così le «Isole Diomedee», leggenda enfatizzata anche dagli epiteti dei nomi scientifici di flore e faune endemiche di queste isole: un uccello, la berta maggiore (Calonectris diomedea), un fiordaliso dai bei fiori viola (Centaurea diomedea), un aglio (Allium diomedeum) e un limonio (Limonium diomedeum).

Le guide turistiche delle Isole Diomedee accompagnano i villeggianti nelle notti senza luna per far loro ascoltare il canto lamentoso della berta maggiore, un grande uccello marino simile a un gabbiano, riconoscibile proprio per il suo caratteristico richiamo che ricorda il pianto di un neonato. Le stesse guide vi narreranno nei dettagli la leggenda in cui è coinvolta Afrodite: la dea dell’amore profondamente commossa dalla sua morte, trasformò i suoi compagni in uccelli affinché vegliassero sulla tomba dell’eroe greco. Si dice che quegli uccelli «piangano» Diomede. Sebbene la tomba non sia mai stata trovata, gli isolani la identificano in una piccola grotta sull’Isola di San Nicola.

Le affascinanti leggende

Le affascinanti e ricche leggende sull’approdo di Diomede alle Tremiti e, più in generale sulle coste pugliesi, rimangono purtroppo prive di evidenze scientifiche.

La necropoli di Monte Pucci è così l’unico luogo della Puglia che ci restituisce un prezioso indizio, costituito proprio da quel piccolo anello d’oro con l’immagine di Diomede:

la prima attestazione iconografica dell’eroe omerico notoriamente legato all’area garganica, ai Dauni e a tutto il bacino dell’Adriatico. È stato trovato sulla mano di una giovane donna in una tomba dell’ipogeo sepolcrale, il n. 24, il primo che s’incontra visitando la necropoli di Monte Pucci. L’anello costituisce sicuramente il più importante reperto delle recenti indagini archeologiche, ferme agli anni Sessanta del Novecento, condotte sulla Necropoli di Monte Pucci. Non può essere attestato come segno di culto, è però inconfutabile che testimonia almeno una memoria collettiva legata a questo mitico eroe che si protrae nel tempo. A distanza di oltre tre millenni della guerra di Troia, sul Gargano c’è ancora una donna che per ragioni culturali usa un anello con Diomede, probabilmente un riuso nella tarda antichità (VI/VII sec. d.C.) di una gemma di epoca Giulio-Claudia (14-68 d.C.).

Rappresentazioni di Diomede, con o senza il Palladio, non sono rare, numerose sono infatti i reperti di figure emersi da tombe etrusche o di epoca romana (dipinte o intagliate) ma quella riaffiorata dalle viscere del promontorio garganico è la prima in assoluto che ci fornisce un riscontro iconografico del possibile approdo del leggendario guerriero greco almeno sulle spiagge della Puglia garganica.

biscotti pucci 2Già dagli anni Sessanta del Novecento, le fonti letterarie facevano riferimento a 26 ipogei, ma si è sempre parlato di un ipogeo «nascosto», identificato come la «Grotta delle Cento Colonne». L’indagine archeologica del 2016 ha portato alla luce questo nuovo ipogeo. L’indizio era una piccola buca di 50 cm di diametro dalla quale affiorava una piccola pianta di Caprifico (Ficus carica subsp. caprificus), una presenza che poteva indicare l’esistenza di una cavità, come confermeranno poi le indagini con georadar. Coi primi colpi di piccone, la buca si apriva alla maestosità di una nuova grotta sepolcrale che lasciava intravedere ampie camere con colonne e archi. L’interno si presentava però completamente invaso da un deposito di percolamento da erosione in superficie, con uno spessore variabile da 1mt a 1,50 mt e distribuito in tutti gli ambienti della estesa grotta (altezza media di 1,6 m e complessivamente circa 300 mc). Dopo giorni e giorni di faticose asportazioni del materiale di colata, l’ipogeo si mostrava con una sorprendente architettura interna, intagliata in due lunghe gallerie lungo le quali si disponevano numerose tombe a baldacchino e a fossa semplice, che ne documentano i successivi riusi. La «Grotta delle Cento Colonne» si presentava come il più imponente ipogeo, quasi una «cattedrale» sotterranea, della necropoli di Monte Pucci: oltre 90 tombe, tutte devastate da una colata di fango violenta, rapida e massiccia (indicativa di un’intensa pioggia), che ha reso il sito inagibile e ha portato al suo abbandono. Le tombe, sulla base delle datazioni al radiocarbonio delle ossa, testimoniano che la necropoli è stata utilizzata fino al VI secolo dopo Cristo.

Un sentiero attraversa tutta l’area della necropoli ed è alquanto contemplativo per i suoi scorci panoramici che diventano elemento di continue distrazioni: la Piana di Calenella che si apre al mare Adriatico in una cornice di lussureggianti pinete a pino d’Aleppo (Pineta Marzini) e che pone costantemente il misterioso interrogativo sulla scelta di questo ameno sito come luogo di sepoltura. Una risposta viene dalla geologia: le rocce della necropoli si trovano solo in alcuni punti del Gargano, calcareniti, calcari molto fini, e poco cementati, facili pertanto da lavorare.

È ancora più affascinante vedere, nei pomeriggi, gli ipogei illuminarsi completamente dalla luce solare che vi entra perpendicolarmente, facendo emergere misteri e la potenza del sacro che si intreccia intimamente con le esperienze quotidiane della comunità che ha utilizzato la necropoli, stratificata anche socialmente. A semplici loculi, gli ipogei infatti uniscono tombe a «baldacchino», di pregio anche architettonico pur nella loro grossolana fattura.

Un ecomuseo vegetale

Tra un ipogeo e l’altro si vive la reale dimensione di un ecomosaico vegetale che non doveva essere molto diverso da quando la necropoli era usata. I suoi elementi sono i tasselli oggi di un mosaico ambientale riconosciuto come Sito d’interesse comunitario (Sic) del quale fa parte, appunto l’area della necropoli. Con il Sic (Rete Natura 2000, Direttiva Habitat, 1993) si vuole salvaguardare la pineta, la prateria, i contesti di macchia rupestre, flore di pregio (Stipa austroitalica), una farfalla (Melanargia arge), oltre a nuovi altri habitat e singolarità floristiche (Hyparrhenia sinaica) rare (Allium tenuiflorum, Prospero autumnale, Cleistogenes serotina, Veronica persica) della Flora Garganica che gli studi in corso stanno facendo emergere. L’area della necropoli, conserva ancora la struttura di coltivazioni di ulivi (oggi patriarchi), seminativi, e di insediamenti pastorali che si aggiungono alla natura di una grande rupe che si sporge sul mare, scelta anche dagli uccelli migratori per raggiungere il Promontorio del Gargano.

Il sito è stato sempre frequentato da raccoglitori di capperi, oltre che di asparagi selvatici. I tavolati rocciosi, dove sono stati ricavati gli ipogei, assumono un ruolo fondamentale per la presenza del cappero (Capparis spinosa): le condizioni ambientali su questi tavolati sono così estreme (alte temperature, mancanza d’acqua, ecc.) che non favoriscono alcuna competizione con altre specie.

Un paesaggio sotterraneo

Monte Pucci è un paesaggio «sotterraneo» e nello stesso tempo il substrato di un paesaggio vegetale che grazie ad ulteriori apporti specialistici (fitosociologi) siamo in grado oggi di comprendere come una straordinaria rappresentazione della biodiversità vegetale mediterraneità che in una piccola superficie di circa 5 ettari si esprime con numerose tessere (comunità vegetali) che si compenetrano in uno spazio ristretto tra vallecole, scarpate rocciose e rupi: boschi di pino d’Aleppo, boschi di pino d’Aleppo con ginepro fenicio (Juniperus phoenicea subsp. turbinata), macchie di olivastro e lentisco, microboschi di fico selvatico, macchia a cappero, macchia a cappero e suaeda fruticosa (Suaeda vera), gariga rupestre a santoreggia pugliese (Satureja cuneifolia), pratelli terofitici con radicchiella rosa (Crepis rubra).

Le strutture sepolcrali sono state intagliate su rocce di natura calcarea (calcareniti), esposte al carsismo e pertanto ricche di canalicoli, fessure, spaccature, cavità. La rete di «vuoti», di paesaggio sotterraneo della necropoli costituisce pertanto il substrato ideale di alcune specie arboree nel quale possono facilmente insinuare e far sviluppare i loro apparati radicali bisognosi di buone condizioni di ossigenazione. La crescita voluminosa delle radici ovviamente apre (azione meccanica) nuove fessurazione, o amplifica quelle esistenti, compromettendo la stabilità della roccia calcarea che costituisce la struttura degli ipogei sepolcrali. Specie colonizzatrice emblematica di questi substrati rocciosi è il Caprifico (Ficus carica subsp. caprificus) che è riuscita a raggiungere profondità notevoli, attraversando a volte gli stessi ipogei; identico comportamento si è potuto verificare per il lentisco (Pistacia lentiscus).

Monte Pucci è così anche un’esposizione permanente, naturale e dinamica in cui suggestive strutture sepolcrali sotterranee raccontano di calcareniti intrise di fusti e radici sotterranee

di caprifichi e lentischi, di stratificazione di sedimenti che conservano indizi importanti per ricostruire ed interpretare oggi lo scenario ambientale passato e presente, grazie al contributo dei diversi specialisti che hanno lavorato al progetto.

Lo scavo infatti ha portato alla luce un campionario di reperti che hanno motivato l’avvio di specifiche indagini archeobotaniche (legni, carboni), palinologiche (pollini), botaniche, geologiche (sedimenti e stratificazioni) e storico-agronomiche. Ecco, così che l’ecomuseo naturalistico-archeologico di Monte Pucci si fa «luogo» poiché oggi può esprimere l’idea di unità ambientale che si racconta nella sua dimensione temporale e spaziale. E il racconto non finisce in questo luogo fisico, ma può proseguire raggiungendo la vicina città di Vico del Gargano per vedere da vicino i preziosi reperti che questa sommersa città dei morti celava e che oggi sono degnamente custoditi nel Museo Civico Archeologico di Vico del Gargano (è sicuramente una delle prime volte che i reperti portati alla luce dalle campagne di scavi nella zona restano nel territorio). Il piccolo ma prezioso spazio museale è collocato all’interno di uno storico immobile (ex «Opera Pia Monaco»), già destinato a Biblioteca Comunale. Il Museo Archeologico occupa l’intero piano seminterrato e parte del piano rialzato, nel complesso quattro sale che ospitano i reperti rinvenuti nella Necropoli di Monte Pucci (un’altra sala ospita anche i reperti ritrovati nella Necropoli protostorica di Monte Tabor, sempre nel territorio del Comune di Vico del Gargano).

Il Museo

Il Museo vuole costituire un altro punto d’interesse dell’Ecomuseo naturalistico-archeologico di Monte Pucci, che oggi può aprirsi a un vasto pubblico per la varietà di tematiche e argomentazioni che è in grado di narrare. Una fruizione che può arricchirsi di contenuti consultando un volume pubblicato qualche anno fa (a firma di Nello Biscotti, Luigi La Rocca e Michele Giglio) con fondi del primo progetto di recupero (disponibile nella Biblioteca comunale di Vico del Gargano). Un libro programmato per fare il punto della ricerca storico-archeologica, far conoscere i nuovi dati emersi dalle indagini archeologiche, antropologiche, naturalistiche (botaniche, faunistiche, geologiche).

Nella pubblicazione, infatti, è descritto, con il corredo di documentazione fotografica storica e attuale, lo stato degli ipogei (con il supporto di planimetrie, dati topografici), le fasi della della prima campagna scavi, le fasi di restauro dei reperti, e la natura degli stessi (oggetti vitrei, lucerne, ceramiche, bronzi). Il libro, inoltre, offre spunti didattici e divulgativi per la comprensione del sito anche nella sua dimensione naturalistica in seguito ad un studio approfondito della geologia (a cura di Michele Morsilli), della flora e dello dinamiche ecologiche (Nello Biscotti), che ha tra l’altro consentito un’accurata attività di «riordino» della vegetazione, che aveva in molti casi resi inaccessibili, oltre a provocare importanti danni strutturali, i complessi ipogei. Il libro è corredato, infine, di due liste che elencano le specie botaniche e faunistiche presenti nell’area della necropoli, elemento di interesse per gli studiosi di natura che si vogliono approcciare alla necropoli.

Infine, un docufilm che ci guida nella città sotterranea di Monte Pucci, seguendo la leggenda di Diomede, per renderci consapevoli e responsabili di un patrimonio che può coniugare insieme natura, storia, economia, turismo di qualità.

Per concludere, la Necropoli di Monte Pucci rappresenta il sito ideale per «scrivere» la storia del Gargano, in particolare della penetrazione del Cristianesimo nel promontorio. Nei vari ipogei, dove si svolgevano riti funerari e religiosi, sono frequenti i segni di croci oltre alla ricca presenza di lucerne ad olio decorate con simboli tipicamente paleocristiani come pesci, palme e pavoni.

Ma la rappresentazione che ci viene restituita dalla necropoli attraversa un lungo periodo storico ben più ampio che va dagli usi pagani, passando per quelli paleocristiani e cristiani dei primi secoli dopo Cristo, fino alla fine dell’Impero Romano e ai primi secoli del Medioevo.

I ricchi corredi funerari (vetreria di anfore, lucerne, collane, pettini), diversissimi, e di valore, potrebbero attestare che proprio dopo la fine di Roma il Gargano, conosce forse il più importante periodo di floridezza economica e culturale della sua storia, per il suo ruolo che aveva nell’Adriatico. Strategica la sua posizione, obbligata tappa di percorsi, traffici marittimi che avevano come capisaldi l’importante Aquileia, la testa di ponte, verso l’Europa centrale e settentrionale.

Monte Pucci è una grande città dei morti, che può farci immaginare la presenza di una comunità abbastanza popolosa che commercia con i popoli del mediterraneo. Insomma tutti segni che ci restituiscono un Promontorio del Gargano ricco economicamente oltre che socialmente e culturalmente, per le sue diversificate attività agricole e la sua posizione nel Mare Adriatico che ne agevola traffici e collegamenti con il resto del Mediterraneo, traffici che segneranno la sua storia economica particolarmente nel XIX secolo.

Alla luce di quanto detto, l’Amministrazione di Vico del Gargano, guidata dall’Avv. Raffaele Sciscio, sta percorrendo un’idea progettuale peculiare e innovativa per le aree archeologiche. L’iniziativa mira a incrementare l’attrattività del sito, trasformandolo in un parco di Land Art contemporanea. L’idea-progetto ha raccolto le sinergie necessarie per renderla immediatamente attuabile. La necropoli potrà così diventare uno spazio di sperimentazione artistica e rigenerazione culturale, dove le installazioni dialogano con la memoria storica e il paesaggio, valorizzandone il fascino e creando un itinerario immersivo tra arte, natura e archeologia.

 

Nello Biscotti