Action Plan

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Lo strumento del Piano d’Azione (Action Plan) nasce nei Paesi anglosassoni (in special modo in Gran Bretagna) e permette di elaborare strategie mirate di conservazione della natura che siano adeguate alle realtà territoriali e socio-economiche. Il Piano d’Azione è poi divenuto strumento adottato in molti Paesi dell’UE e dalla stessa Commissione europea.
Quest’ultima ha tracciato le sue linee strategiche di conservazione della biodiversità sul territorio dei Paesi membri e su quello dei Paesi candidati, elaborando il Bap (Biodiversity Action Plan) per molti settori socio-economici portanti per l’UE (ad es.: pesca, agricoltura, infrastrutture).
Da poco l’Italia ricorre ai Piani d’Azione, che utilizza soprattutto per la conservazione di specie animali e vegetali, meno per la conservazione ed il miglioramento dello status di habitat naturali e seminaturali. In questo senso diventa importantissima l’opportunità data dalla Misura 1.6 – Linea d’intervento 2) del Complemento di Programmazione del Por Puglia 2000-2006 per sperimentare nuove forme di programmazione e gestione territoriale mirate e concrete, oltreché condivise a livello locale. (F.D.T.)

Il «senso delle cose» e il «senso comune»

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Potremmo dire, ma senza arrivare a condannare niente e nessuno, che già nell’immediato sarebbero, dunque, possibili notevolissime quote di risparmio elettrico. Possiamo frenare i consumi elettrici, senza mettere a rischio il nostro benessere, solo proponendoci l’obiettivo di incidere (oltreché sulle endemiche e significative perdite per inefficienze varie, di produzione e distribuzione, già note e documentate) soprattutto sull’attuale «spreco» di risorse.
Sono veramente troppe le risorse naturali non rinnovabili «sperperate» dalle non governate «esigenze» energivore delle «esasperanti e paludose» competizioni sui mercati globali dei consumi (dagli eccessi del «condizionamento climatico» e dell’estremo uso della «illuminazione artificiale» degli esercizi commerciali, fino a quelli, troppo spesso ingiustificati, delle catene del freddo per la conservazione di prodotti alimentari), mentre potremmo, invece, liberare le «virtuose sinergie» delle «risorse» umane per dare risposte a «bisogni» veri, alla «positività sociale» delle «buone relazioni» interpersonali e collettive e alla «positività operosa» delle «collaborazioni trasparenti».
«Va bene», potrebbe dire qualcuno, con cinica e illuminata intuizione, «ma sarebbe necessario tutto un ?altro mondo? che non c’è!». Una intuizione, questa, che in realtà, è solo tutto ciò che è capace di suggerire l’attuale, imperante, paralizzante e disastroso «senso comune»!
Non è il caso, qui, di fermarci a discutere sul «pensiero unico» della improponibile «crescita infinita» dei consumi, sulle filosofie avvilenti e distruttive del «nulla che si può fare» per il progresso umano o sui «curati insabbiamenti delle nostre libertà» sentenziati e praticati, con mistificanti argomentazioni, da interessati profeti e abili costruttori di effimeri consumi.
Non possiamo, però, non evidenziare che proprio nelle argomentazioni del «senso comune» si annida il problema di fondo della nostra «civiltà moderna». Infatti, quando si fa intendere di voler perseguire il «progresso umano» non possiamo, poi, accettare che, nel concreto delle decisioni, tutto si riduca a progettare solo lo «sviluppo» delle attività economiche, energia compresa. Non si può ricondurre ogni discussione ai temi della tecnologia e dei mercati finanziari e ogni intervento, su servizi e consumi, al sovradimensionamento dell’esistente solo perché questo sarebbe il «comune sentire». Così le nostre società non avanzano, ma tendono, solo, alla conservazione museale dell’esistente.
Si prospettano imminenti limiti nella tenuta dell’equilibrio fra domanda e offerta di risorse naturali, ma nessuno sembra preoccuparsi di cercare e valutare possibili alternative all’attuale sistema economico. Sembra che alla nostra società «moderna» (sottratta ad ogni confronto costruttivo con i naturali cambiamenti della realtà che non rientrino in una convenienza di mercato) non sia rimasto altro che il «destino» di coltivare gli infertili contesti del progressismo tecnologico fine a se stesso, degli scontri di civiltà, delle presunte superiorità sociali e culturali, del vantato ampio possesso di «verità» materializzate e assolute, delle assunzioni unilaterali di responsabilità globali, delle visioni «autoreferenziali» contrabbandate come principi «naturali» del «bene» e del «male»… Tutto un contesto, costruito sul «senso comune» e sulla sua retorica, che (se non collasserà prima, nel nulla di un mondo disumanizzato) potrà solo offrire, un ammaliante tramonto alla dignità umana e il perfido «vantaggio» di non angosciarci con i dubbi e il peso delle mancate


scelte e di confortarci con quelle «chiare e poche cose» che rimuovono i problemi e ci sollevano dalle responsabilità delle nostre inettitudini.

Aree colpite e vulnerabili alla salinizzazione

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La salinizzazione è un problema di carattere mondiale. Le valutazioni della Fao e dell’Unesco, per il 1999, testimoniano che è un problema che colpisce milioni di ettari di terra nel mondo. Diverse stime condotte dimostrano che una significativa percentuale di salinizzazione è indotta dall’uomo.
Nel 1998, la seconda valutazione ambientale dell’Agenzia europea dell’Ambiente ha segnalato che circa 4 milioni di ettari di suoli europei erano colpiti dal fenomeno della salinizzazione, principalmente nei paesi mediterranei. Quattro anni dopo, nella terza valutazione, il totale di questi suoli ha raggiunto i 16 milioni di ettari. Questa nuova valutazione, tuttavia, include paesi, come la Russia, che non erano stati considerati nel report precedente, di modo che i dati non sono direttamente confrontabili. La stessa fonte indica che nell’area mediterranea il 25% dei terreni irrigati è soggetto a salinizzazione.

Nella Figura 2 la carta mostra le variazioni nella disponibilità idrica in un periodo di 30 anni in Europa. Fonte: European Environment Agency ? Copyright EEA, Copenhagen, 2005

Un altro rapporto Le risorse idriche in Europa: una valutazione basata su indicatori, pubblicato nel 2003, indica che l’intrusione di acqua marina si verifica in diversi paesi europei, specialmente Spagna, Italia, Grecia e Turchia.
Le carte mostrano chiaramente una forte connessione tra disponibilità di acqua, indice di sfruttamento idrico e le aree colpite dal fenomeno della salinizzazione. È chiaro che molte delle aree in cui si è rilevato un intenso processo di litoralizzazione sono le stesse zone in cui, oggi, si assiste alla salinizzazione.

Nella Figura 3 la Carta delle aree affette dal problema dell’intrusione di acque salmastre dovuta a eccessivo sfruttamento delle risorse idriche sotterranee – Fonte: Copyright EEA, Copenhagen, 2003

Per litoralizzazione si intende quel processo, o insieme di dinamiche socio-economiche, che hanno portato molteplici attività antropiche a concentrarsi nelle aree costiere.

Assoluto e relativo

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Prima di indicare l’articolazione di un esogramma, come manifesto dell’impianto oggettivo della formazione nella scuola, approfondiamo il principio teorico enunciato riflettendo sulla distinzione «assoluto-relativo» in educazione.

Discutiamo della conseguenza della ricerca di eticità nelle dinamiche della prassi in cui i soggetti della scuola sono coinvolti: individuazione ed analisi dei coefficienti che presiedono l’agire eticamente equilibrato e non solo pragmaticamente favorevole.
La distinzione tra i due termini apre scenari suggestivi su ciò che è favorevole e al tempo stesso può essere equilibrato; così i termini potranno risultare non contraddittori ma complementari.
Tutto sta nello scoprire il senso di «favore»: cioè «a favore di chi … a favore di che cosa?». L’equilibrio non è dato da scelte «mediane» (in medio stat virtus!); poiché la medietà non è detto che risulti come scelta tra due posizioni equidistanti ed opposte. A prova, ci sono casi in cui la scelta estrema è da ritenere virtuosa eppure non di equilibrio tra due estremi opposti, nel cui caso il rimanere equidistanti significherebbe codardia e viltà (vedi il caso della mancata difesa del debole soccombente).
Il «relativo» dispone a confrontare, soppesare, scegliere, attuare e sopportare le conseguenze delle scelte derivanti. La sua portata meglio si coglie, in ambito educativo, se si accolgono alcuni presupposti:

a. rendere sistemica l’evoluzione. L’evoluzione, di per sé, è trasformazione e cambiamento. Dare accoglimento a questo aspetto nella dinamica scolastica produce la convinzione che le azioni didattiche intraprese non sono declinabili secondo obiettivi standard livellati in modo uniforme a prescindere dalla storia particolareggiata dei soggetti interessati.

b. la modifica relativa conferma l’assoluto. Elemento consustanziale all’evoluzione è la modifica. Essa indica il movimento impresso non secondo la successione di posizioni nel tempo e nello spazio ma secondo la dinamica dello stato mentale nel quale si verificano acquisizioni, varietà di sensazioni, produzione di sentimenti accomunati dalle emozioni. La modifica del sentire si trasferisce all’essere che palesa il cambiamento e la variazione dello stato soggettivo per il quale il modificare è proprio dell’essere.

c. la scuola buona è quella che riconduce il valore assoluto non alla struttura ma al relativo oggettivo. La bontà si apprezza per l’attenzione assoluta all’aspetto evolutivo dei soggetti perché la scuola è degli utenti-fulcro e per ciò stesso è pubblica, necessariamente laica sia che la struttura appartenga alla proprietà dello stato o a quella di un ente privato. È la funzione che rende «civile» il servizio che appartiene ai soggetti e non i soggetti alla struttura. Con uno slogan: la scuola non può dire «i miei alunni», sono questi invece che possono dire «la nostra scuola». La differenza tra privato e pubblico è quindi strumentale, perché la stessa funzione educativa e formativa, appartenendo agli utenti, si qualifica quale atto pubblico. L’essere paritaria la scuola va ben oltre la struttura e la sua appartenenza, confessionale che sia: tutte le scuole sono paritarie, anche se non tutte sono statali, perché statale è la funzione del servizio civile per la promozione dei soggetti affidati.

 

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Lo sfruttamento del suolo

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Accanto al nobile intento della restituzione della terra ai contadini, l’articolo 44 dichiara espressamente la necessità di un razionale «sfruttamento del suolo». La parola «sfruttamento», se applicata a una persona, ha una connotazione tipicamente negativa. Lo sfruttamento della classe operaia è stata la molla dei movimenti anticapitalisti. Anche il razionale sfruttamento delle persone non verrebbe accettato da nessuno. Una parola più accettabile è «valorizzazione», ma allora non era concepibile dare dignità alla natura, infatti dimenticata nell’articolo 9. Il suolo va sfruttato, e non si prende in considerazione che questo possa portare all’avvelenamento delle falde, all’uso sconsiderato di fertilizzanti e pesticidi, con conseguenze catastrofiche per l’ambiente e per la salute umana.

Riflettere e valutare insieme

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Le attese tradite e i complicati interessi in gioco

Dobbiamo riflettere sul fatto che l’offerta di un consumo non riguarda solo la produzione di un bene o di un servizio ma anche gli effetti (ai quali è necessario porre rimedio) generati nei processi di produzione e dal conseguente consumo indotto. Per riportare l’economia nel ruolo di strumento di progresso umano, dobbiamo essere, quindi, liberi di individuare e scegliere consapevolmente e con responsabilità quei modelli socio-economici che possono permettere all’uomo di collaborare con (e non contro, con interventi invasivi) gli equilibri naturali.

Dobbiamo riflettere su quella nostra convinzione che la capacità umana di operare (senza limiti e con strumenti sempre più potenti) sia senza conseguenze e in particolare che non abbia effetti sulla nostra sopravvivenza (e non solo su quella qualità della vita che alcuni si sentono in diritto di negare agli altri).
Siamo in una situazione che dovrebbe essere presa in seria e immediata considerazione, perché prevede non solo un tragico epilogo, ma anche un penoso percorso per arrivarci. Un percorso che potrebbe portare, infatti, a comportamenti umani non prevedibili e indotti da un istinto di autodifesa estrema che, già oggi, è culturalmente armato dai micidiali strumenti dell’individualismo. Un male che, nella sua attuale portata, era forse ignoto perfino all’uomo delle più lontane epoche storiche. Quelle nelle quali aveva, invece, cominciato a comprendere e attuare forme, pur primitive, di società e solidarietà umana.
Dobbiamo renderci conto quanto sia devastante il danno prodotto dall’individualismo che è alla base del successo esclusivo perseguito con la competizione e sostenuto dall’ideologia del mercato libero dei consumi. Occultando la funzione sociale dei beni comuni e imponendo il bene individuale, come fondamento unico che attiva e giustifica le opere dell’uomo, questa ideologia ha interrotto il nostro dialogo con gli equilibri naturali e ha generato divergenze sempre più insanabili e contrasti estremi e mortali: da quelli dovuti all’arroganza di un potere che vuole solo avanzare (abbattendo ogni tipo di ostacolo, quelli umani compresi), fino a quelli indotti dai conflitti globali che vorrebbero follemente riordinare il mondo in nome di un’unica e assoluta verità. Condizioni queste che certamente ricadranno fisicamente e moralmente anche sui nostri Territori (ricchi, invece, di diversità di vocazioni, di condivisioni sociali e mentali), fino a precostituire la riduzione delle sinergie fra le diverse qualità umane e un continuo allarme per le deviazioni imposte agli equilibri vitali (con la conseguente loro instabilità, fino ad arrivare al rischio di collasso del sistema Terra).
Dobbiamo renderci conto che non si possono dare ordini alla Natura, ma che con la Natura è necessario dialogare ed entrare in sintonia per creare sinergie. Che senso ha esaltare un’incontrollata nostra potenza, con la quale sfidare la Natura, e immaginare di poterla, così, sottomettere alle nostre volontà, se non siamo capaci di renderci conto che proprio noi ne saremmo del tutto mortalmente coinvolti? Purtroppo, invece, sono molti quelli che continuano ad affrontare, con arroganza e in modo strabico, questo problema.
Nessuno può negare l’incalcolabile danno (e non solo quello derivante dal cambiamento climatico) al quale viene condannata la Natura dall’imperioso dominio imposto dall’economia del mercato dei consumi: ma poi tutti, per invincibili ostacoli strutturali o per ignoranza o per miopi ma potenti interessi di parte, guardano purtroppo altrove. Solo con le parole dei buoni propositi, siamo pronti a impegnarci in proposte e progetti di contrasto al degrado, che affligge Territori e realtà sociali, per costruire possibili e necessarie sintonie con i processi vitali. In realtà la quasi totalità della popolazione mondiale, è colpita da insopportabili contingenze economiche, è sottomessa a disumane prepotenze e vive in condizioni fisiche e morali anche al limite della sopravvivenza. La quasi totalità della popolazione mondiale, non disponendo di informazioni significative e di occasioni di partecipazione democratica alle scelte, rimane paralizzata di fronte all’impraticabilità di scelte alternative o agli invadenti e arroganti meccanismi dell’avvilente competizione e dello spreco di risorse richiesti per sostenere i consumi superflui. In questa situazione, di assoluto degrado che paralizza le qualità umane, vanno a gonfie vele solo i profitti che per una loro «innocente» vocazione (vantata, ma in realtà deviata e abusiva), dopo aver raggiunto i risultati, anche oltre ogni attesa, sono impiegati per finanziare, anche solo indirettamente, interventi armati per poter continuare liberamente a saccheggiare ciò che rimane.
Di fronte a tanto e micidiale strapotere, non possiamo non renderci conto quanto sia essenziale costruire insieme un’alternativa. Non possiamo non renderci conto quanto sia essenziale una consapevole strategia di intelligente condivisione delle risorse (quelle mentali comprese). Dunque, non opportunità che paralizzano i processi vitali per raggiungere successi ideologici e conquiste individuali (che fanno emergere solitari e sterili vincitori in un mare di procurate miserie), ma sostegno a processi di progresso umano diffuso. È, questo, un impegno faticoso ma che certamente non avrà mai il peso di quell’insopportabile consapevolezza tradita che sentiamo quando ci troviamo incatenati ai meccanismi della sopravvivenza fisica e dell’emarginazione sociale, imposti dalle prepotenze della «industria» finanziaria, tutti supportati da deviate e comunque improbabili interpretazioni scientifiche di imprevedibili (ma forse anche deliberatamente preordinate e paludose) complicazioni economiche.

Il meccanismo Redd+, se non ben regolato produce più danni che benefici

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Secondo un commento apparso oggi sulla rivista «Nature» da parte di esperti della Pennsylvania State University, il meccanismo del Redd+ (Lotta contro la deforestazione nei Paesi in via di sviluppo), di cui si sta discutendo a Cancún, può portare a danni (maggiore deforestazione) invece che a benefici (riduzione della deforestazione), se il meccanismo non viene ben gestito da regole idonee e severe. Questa nota sembra supportare e giustificare le recenti proteste delle varie «rainforest coalitions» sia di governativo istituzionale, sia di tipo ambientalista non-governativo.

Innanzitutto bisogna capire perché avviene la deforestazione. Non si tratta solo di tagliare alberi per ottenere aree agricoli e pascoli, oltre che legname. La deforestazione, infatti, non avviene solo per mezzo di queste azioni dirette molto evidenti, ma avviene anche attraverso azioni indirette e meno evidenti.

L’azione umana nelle foreste tropicali, come in altre foreste, si esplica anche costruendo strade, infrastrutture ed insediamenti industriali o produttivi, che anche se non producono una immediata visibile deforestazione, producono un processo di frammentazione delle foreste, cioè un processo di suddivisione in frammenti disgiunti e progressivamente più piccoli ed isolati degli ecosistemi forestali.

Il processo di frammentazione a sua volta taglia le relazioni non solo fra gli ecosistemi forestali, ma anche fra gli ecosistemi animali e vegetali che sono in equilibrio con il sistema forestale, producendo alla fine la scomparsa delle specie vegetali ed animali più vulnerabili o più sensibili. I frammenti di foresta diventano così più deboli ed anche meno resilienti alle variazioni del clima che intanto stanno avvenendo. La foresta indebolita e mono resiliente muore lentamente ma inesorabilmente. È la deforestazione indiretta, ma non meno importante.

Di conseguenza la lotta alla deforestazione non va combattuta solo piantando alberi per ripristinare la foresta, cioè agendo sul fronte del disboscamento incontrollato o dell’esportazione illegale di legname, ma anche e soprattutto deframmentando e riconnettendo la foresta con operazioni di ripristino e restauro ecologico per ricostruire l’integrità complessiva del sistema forestale. Il ripristino ecologico consente, infatti, ad animali e piante di migrare in risposta anche ai cambiamenti climatici, oltre che agli ecosistemi di ripristinare le loro strutture e le loro funzioni.

Il Redd+ va quindi programmato in un quadro più ampio e complesso di sostenibilità ambientale e socio-economica dei Paesi in via di sviluppo, e non pensato per proteggere questo o quel pezzo di foresta a seconda del valore economico o della convenienza che si ricava dal Redd+. In questo quadro, sarà necessario riconnettere anche gli attuali parchi, che molti Paesi in via di sviluppo hanno istituito, entro una rete più ampia. complessa ed articolata di aree protette.

Insomma, detta in parole povere, questa nota apparsa su «Nature», sembra essere una esortazione a non sottovalutare la giusta protesta dei vari gruppi ambientalisti e delle popolazioni indigene, né tanto meno sottovalutare le eventuali posizioni pregiudiziali assunte nel negoziato di Cancún dalla «Coalition for Rainforest Nations». (V. F.)

Qui di seguito il comunicato della Pennsylvania State University.

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Rainforest conservation needs a new direction to address climate change

Conservation and international aid groups may be on the wrong course to address the havoc wreaked by climate change on tropical rainforests, according to a commentary appearing in the journal Nature on 2 December 2010.

“Most of the world’s terrestrial biodiversity is contained in tropical rainforests, and climate change is looming ever larger as one of the major threats to these ecosystems, but how humans deal with climate change may be even more important,” said Penn State University professor of biology Eric Post, one of the letter’s authors. Post explained that rising temperatures and altered precipitation are important concerns; however, how humans respond to these altered conditions may be exacerbating an already bad situation.

Post’s co-author, University of Montana ecologist Jedediah Brodie, formerly a Smith Conservation fellow at Penn State, commented that many tropical trees are reasonably resistant to temperature increases and even drought, but if the warming up and drying out of forests causes people to set more fires, trees could be completely unprepared. “If climate change leads to people starting more fires or doing more logging, those activities could be much more harmful to tropical biodiversity than just the simple rise in temperature,” Brodie said.

The authors also explained that warming and drying conditions in parts of South America and Southeast Asia make it much easier for people to use fires to clear forests for agriculture. Unfortunately, small fires sometimes burn out of control, inadvertently destroying large areas. In addition, some tropical forests remain unlogged simply because they are inaccessible. For instance, intense rainy seasons wash out roads or make dirt tracks seasonally unusable. “The problem is that reduced precipitation could make it easier for people to access these areas,” Post explained. “That increased access could lead to more logging, hunting, and burning — a potentially destructive cycle.”

In their Nature commentary, Post and Brodie argue that preventing deforestation and controlling fires are critical steps for reducing climate-change impacts on tropical biodiversity, but these steps must be deployed strategically. This caution also applies to popular new projects based on the REDD (Reduced Emissions from Deforestation and Forest Degradation) protocols. REDD projects are intended to set aside patches of forest to protect the carbon stored in the trees, but the placement of REDD projects is not coordinated at regional or international scales.

“The REDD concept has a huge potential that would be realized much better through some strategic planning,” said Brodie. “Rather than using REDD to protect more-or-less random patches of forest, we could use it to link existing national parks into larger protected areas, or to span gradients in elevation or moisture.” Brodie explained that preserving forest corridors along such gradients is critical to allowing tropical species to migrate or shift their ranges in response to the changing climatic conditions.

In their commentary, the authors also suggest that REDD projects or new national parks are especially important for particular areas. “One example is the Southeastern Amazon, where forests are threatened both by rapid deforestation and a drying climate,” Brodie said. “Other areas that need REDD projects or parks are Southeast Asia’s central Borneo region, the mountains along the Thailand-Myanmar border, and the Annamite Mountains in Vietnam and Laos.”

The authors also said that while small, isolated national parks may offer some protection from climate change, large, connected landscapes would give different species the opportunity to migrate to new areas as environmental conditions change.

Costi e progetti di una nuova società elettrica solo per l’energia alternativa

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Come viene costruita la bolletta?
In seguito all’emanazione del decreto Bersani (D.lgs n.79/99) sono stati individuati gli elementi che compongono il prezzo dell’energia elettrica: Costi di generazione (il cui beneficiario è il Fornitore), Costi di dispacciamento (beneficiario Terna Spa), Costi di trasporto (Distributore locale), Oneri generali di sistema (Oneri sostenuti nell’interesse del sistema elettrico), Imposte erariali e addizionali (Stato), Iva sulle voci precedenti.
La liberalizzazione incide su di una sola componente, concedendo infatti ad ogni impresa idonea la possibilità di scegliersi il proprio fornitore si contratta il prezzo della componente relativa alla sola generazione (il prodotto energia). Le altre componenti tariffarie sono stabilite in via amministrativa e sono uguali, a parità di prelievi di consumi elettrici, a prescindere dal fornitore.
La fornitura di energia (costi di generazione) incide per il 65% circa sulla bolletta elettrica e su questa porzione va applicato lo sconto proposto dalla nostra offerta.
Il restante 35% comprende le altre voci sopra citate e verranno accreditate nella bolletta alle stesse condizioni economiche del fornitore precedente garantendovi lo stesso livello e qualità di servizio.
Il cliente riceverà una sola bolletta da parte di LifeGate Energy. La nostra bolletta viene emessa mensilmente e sul nostro contratto si potrà scegliere la modalità di invio che si preferisce (posta ordinaria o posta elettronica).

È possibile fare un raffronto di costi con la situazione attuale?
Sì certo, non è semplicissimo ma si può fare. Bisogna trovare nel dettaglio costi in bolletta il costo al quale si acquista l’energia. Per i clienti del mercato vincolato, questo prezzo è la componente CCA, determinata dall’Autorità su base trimestrale. Per i clienti del mercato libero questo valore viene «contrattato» con il fornitore. Una volta che si è trovato il prezzo al quale si acquista l’energia, è un prezzo per kWh, lo si confronta con il prezzo da noi indicato sottratto dello sconto indicato nell’offerta.

Come si può quantificare il risparmio?
Sì. È sufficiente applicare lo sconto indicato nell’offerta alla voce in bolletta relativo al consumo di energia (nella bolletta Enel «costi di generazione», nelle altre bollette è sufficiente vedere qual è l’importo più alto nel dettaglio dei costi. Come detto precedentemente, la componente energia incide per il 65% sull’importo totale della bolletta.

Ci sono costi variabili che possono lievitare in futuro?
L’unico costo variabile è quello dell’energia, in quanto tutti gli altri sono costi fissi determinati dall’Autorità. E fin quando non ci libereremo dalla produzione di energia effettuata con combustibili fossili, il prezzo dell’energia continuerà a lievitare, seguendo il rialzo costante del prezzo dei combustibili. Tutti gli altri costi vengono aggiornati dall’Autority sulla base di scelte politiche/economiche.

In che modo avviene il conteggio e quale parte va all’attuale gestore?
Il conteggio viene effettuato dal contatore, di proprietà del distributore che poi trasmette i dati al fornitore. Nessuna parte va all’attuale gestore. Enel non è come Telecom alla quale si continua comunque a pagare il canone anche se si utilizzano i servizi di un altro fornitore. Enel non è più


proprietaria della rete di trasmissione ora di proprietà di Terna Spa, quindi ad Enel non si paga nulla.

Quali sono esattamente le fonti utilizzate?
Idroelettrico, mini-idro, fotovoltaico.

Dove si trovano le centrali?
Trentino, Lazio, Lombardia.

Sono previsti altri investimenti per aumentare la potenza erogata?
Sì certo. Sono in costruzione 20 centrali mini-idro ed un parco fotovoltaico.

È prevista una forma di «collaborazione» con l’utente tipo campagne di installazione di pannelli solari?
Sì. Abbiamo una divisione LifeGate Engineering che si occupa di questo servizio; dal project management al supporto finanziario, tecnico e burocratico.

L’eolico è una fonte presa in considerazione? e quali sono i partner?
Abbiamo un progetto di un parco eolico nel Sud Italia bloccato da lungaggini burocratiche.

Come si integra l’energia erogata con la rete nazionale?
L’energia rinnovabile ha precedenza di entrata sulla rete. Quindi più ne viene venduta, più aumenterà la percentuale di energia pulita che transita sulla rete di trasporto nazionale.

Attualmente qual è la potenza disponibile?
Il 19% dell’energia prodotta in Italia proviene da fonti rinnovabili, quindi 60 TWh sono disponibili e commercializzabili.

I benefici dell’idrogeno

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L’Italia, avendo ratificato il protocollo di Kyoto, ha un obbligo vincolante di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra pari al 6,5% rispetto ai livelli del 1990 come media del periodo 2008-2012 e, qualora risulti inadempiente, come è fortemente probabile, dovrà sostenere notevoli costi dovuti alle sanzioni. Considerando queste e gli effetti negativi sulla salute dei cittadini, i cui costi si ripercuotono sul sistema sanitario è, ormai, conveniente anche dal punto di vista economico nonché eticamente preferibile implementare un nuovo modello di sviluppo energetico basato su tecnologie innovative e poco inquinanti al fine di ridurre l’utilizzo del petrolio.

L’accordo viene sottoscritto mentre il prezzo del greggio ha superato i 111 dollari al barile. Anche se è difficile prevedere l’andamento dei prossimi mesi, è probabile che tale prezzo non tornerà indietro e che ci potranno essere solo delle fluttuazioni al ribasso di breve periodo che difficilmente scenderanno al di sotto dei 70-80$/bbl.

Negli ultimi anni la crescita senza freni del prezzo del petrolio ha causato preoccupanti riflessi sui mercati internazionali che fanno comprendere l’impossibilità di continuare a organizzare una economia sulla base del petrolio abbondante e a basso prezzo. A fronte di questa situazione, dei problemi legati all’effetto serra ed alla scarsa adeguatezza del sistema di generazione elettrica, manifestatasi drammaticamente negli ultimi anni, appare evidente la necessità di un ripensamento della politica energetica nazionale.

La crisi climatica in atto è più rapida del previsto ed esistono dei possibili sviluppi allarmanti in termini di eventi meteorologici estremi con conseguenti impatti economici di grande rilievo. Il rapporto commissionato dal governo inglese al Prof. Nicholas Stern (ex executive director della Banca Mondiale) evidenzia svantaggi di molto superiori ai vantaggi possibili; secondo l’economista inglese il danno economico può arrivare fino al 20% del PIL mondiale.

L’inquinamento causato dai combustibili di origine petrolifera (benzene, altri idrocarburi policiclici aromatici, polveri sottili, monossido di carbonio, ecc.) costituisce un notevole danno alla salute dei cittadini che si ripercuote sul sistema sanitario. Le tecnologie pulite innovative sono sempre più mature per passare ad un nuovo modello di sviluppo economico basato sulla valorizzazione energetica delle risorse locali.

La continua maggiore richiesta di petrolio è, inoltre, origine di tensioni internazionali di tipo geopolitico che spesso sfociano in disastrose guerre. Lo scenario descritto impone un cambiamento rapido nell’uso del petrolio, del carbone e del gas naturale.

Il gas naturale è sicuramente meno dannoso degli altri combustibili fossili e, quindi, può essere considerato un combustibile di transizione. Attualmente esiste l’opportunità di introdurre nuove tecnologie più appropriate e pulite, ma occorre agire subito perché l’introduzione di una nuova tecnologia comporta tempi di sviluppo che vanno dai 10 ai 20 anni.

L’idrogeno ha una duplice funzione: quella di accumulatore, poiché le fonti rinnovabili di origine solare sono discontinue, e di vettore per il settore dei trasporti e per raggiungere aree in cui non c’è sufficiente disponibilità di energie rinnovabili. In particolare, l’idrogeno può rivestire un ruolo importante, da subito, nel settore dei trasporti. In


Italia, tale settore è basato per oltre il 96% sul consumo di prodotti petroliferi.

I veicoli a cui si dovrebbe arrivare sono basati sul modello idrogeno + fuel cell + motore elettrico, che consentirebbe di utilizzare autovetture pulite, silenziose e totalmente carbon free.

(Fonte ministero dell’Ambiente)

Inrim, un centro di eccellenza in ambito metrologico

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L’Inrim (Istituto nazionale di ricerca metrologico) è il centro d’eccellenza nazionale per lo studio sulla metrologia, cioè la scienza delle misure. Nasce alcuni anni fa dalla fusione delle competenze tra Istituto nazionale «Galileo Ferraris» (celebre per l’altrettanto famoso segnale orario della Rai), e l’Istituto Colonnetti, entrambi con sede a Torino. È un ente pubblico di ricerca, afferente al Miur, e si occupa di scienza delle misure e dei materiali, e sviluppa tecnologie e dispositivi innovativi.

Molti i settori in cui opera: realizza i campioni primari delle unità di misura fondamentali e derivate del Sistema internazionale dell’Unità di misura, e ne assicura il mantenimento; partecipa ai confronti internazionali, permette in Italia riferibilità di ogni misura al Sistema internazionale di Misura, e rappresenta l’Italia negli organismi metrologici internazionali.

Inoltre, supporta l’innovazione tecnologica e industriale italiana ed europea, partecipando a progetti i ricerca dell’Ue (è partner del progetto della rete satellitare Galileo nel settore metrologia del tempo), collabora all’accreditamento dei laboratori italiani di taratura, e fornisce servizi di certificazione tecnica e di consulenza.

Inrim è impegnato in diverse attività e settori della ricerca, quali le costanti fondamentali della fisica, i campioni primari del futuro, i materiali innovativi e le nona tecnologie, le tecnologie quantistiche, metrologia applicata alla chimica e quella che è stata battezzata «la visione artificiale».

La Divisione Elettromagnetismo svolge attività scientifica e tecnica in un ampio spettro di tematiche, dalla realizzazione e disseminazione dei campioni nazionali delle grandezze elettriche e magnetiche, alla ricerca avanzata sulla metrologia elettromagnetica, sulla fisica della materia condensata, sulla scienza dei materiali, e applicazioni in campo di ingegneria elettrica ed elettronica. In particolare, riferisce i campioni elettrici alle costanti naturali per mezzo dell’Effetto Josephson e dell’Effetto Hall quantistico, effettua misure di precisione delle grandezze elettriche e magnetiche dal regime continuo alle onde millimetriche, realizza nano-strutture e nano-dispositivi per diverse applicazioni, utilizzando il nuovo laboratorio «Nanofacility Piemonte», sviluppa modelli matematici di campi elettromagnetici per il progetto di dispositivi innovativi e conduce ricerche su temi di frontiera nel settore del magnetismo.

La Divisione Meccanica, che sviluppa conoscenze, tecnologia e competenze nel campo della meccanica, della nano-metrologia e nel settore aerospaziale. È responsabile della realizzazione, mantenimento e disseminazione dei campioni nazionali delle unità del Sistema internazionale di massa, densità, viscosità, forza, durezza, vibrazioni, accelerazione di gravità, pressione, flusso, velocità dell’aria, lunghezza, area, volume ed angolo.

La Divisione Ottica, che conduce attività di ricerca basata sulle tecniche dell’ottica classica e quantistica per sviluppare campioni di misura per tempo e frequenza, fotometria e radiometria; inoltre vengono studiate e sviluppate tecnologie di ottica quantistica. Le ricerche riguardano campioni atomici di frequenza, sulla sintesi di frequenza, la generazione della scala di tempo italiana. La Divisione ha attivato con l’Agenzia spaziale europea (Esa) e con le industrie spaziali europee un accordo di cooperazione per lo sviluppo della rete satellitare di navigazione «Galileo».

Infine, la Divisione Termodinamica spazia dalle indagini sulle proprietà termodinamiche, acustiche e chimiche delle sostanze e dei materiali alla determinazione delle costanti fisiche; dall’innovazione tecnologica nel campo della termometria ed igrometria, allo sviluppo di metodologie e dispositivi per applicazioni nei settori della salute e dell’ambiente. (S. Lo C.)

Le correnti migratorie preunitarie

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Si sa poco, specie per il Settecento, degli emigranti meridionali. È dunque interessante tentare di aprire uno spiraglio su questa realtà demografica ma soprattutto umana, per avere, in particolare, un’idea della mobilità della popolazione rurale, dei salariati, dei contadini pugliesi e delle loro condizioni di vita.

Connesso ad altre fonti, l’utilizzo precipuo dei registri parrocchiali ed in particolare di quelli di matrimonio, permette di evidenziare alcune peculiarità delle correnti migratorie preunitarie.
Le tre suddivisioni amministrative della Puglia tra fine Seicento e primo Ottocento (Capitanata al nord, Terra di Bari al centro e Terra d’Otranto al sud) corrispondevano, in sostanza, a fondamentali distinzioni economiche, sociali e culturali. Quasi tre «storie» contraddistinguevano le tre province. A rendersene conto erano, già nel Settecento, quanti avevano tentato una prima descrizione del Regno di Napoli. Anche le descrizioni lasciate dai viaggiatori di quei tempi aiutano a individuare elementi che, secondo sensibilità diverse, caratterizzavano, in un modo o nell’altro, aree economicamente, oltre che amministrativamente, tra loro differenti. Ma sarebbe riduttiva un’analisi dell’andamento demografico e della mobilità che le consideri distinte al punto da ritenerle quasi mondi a sé e separati.
Dall’esame dei paesi di provenienza degli sposi, desumibili dagli atti di matrimonio, è evidenziabile, per larga parte del Settecento, un diverso comportamento del bracciantato agricolo passando da una provincia all’altra. Delle tre province pugliesi quelle che sembrano legate più strettamente fra loro sono la Capitanata e la Terra di Bari. La prima come zona di immigrazione, la seconda come zona di espansione migratoria bracciantile. In Terra d’Otranto, pur presente una piccola aliquota percentuale di emigrazione verso la Capitanata, la corrente immigratoria pare compensarsi con quella emigratoria.
In Capitanata i centri di afflusso erano quelli di forte produzione cerealicola: San Severo, Foggia, Cerignola, Ascoli Satriano, Lucera, ecc.; la massa migrante vi si spostava al tempo dei lavori di semina, di mietitura e trebbiatura.
In Terra di Bari i centri di immigrazione erano, in linea di massima, quelli dell’alta Murgia barese (Spinazzola, Gravina, ecc.) zone a produzione granaria estensiva. La provincia barese riversava il sovrappiù di popolazione attiva sottoccupata nelle province contermini di Capitanata e Basilicata.
In Terra d’Otranto la zona di maggiore immigrazione era il Brindisino per la zappatura delle vigne. Nei paesi in cui era prevalente la coltura dell’ulivo i maggiori flussi di immigrazione, provenienti dalla parte meridionale della provincia, coincidevano con il tempo del raccolto, mentre la parte settentrionale della stessa costituiva una sacca di emigrazione di stagionali (mietitori e trebbiatori) in partenza per la Capitanata e la Calabria. I dati disponibili per il 1820, danno un’idea del fenomeno che avvalora e continua quanto già detto per il trend settecentesco.
La Capitanata, in particolare, si evidenziava come zona di grossa immigrazione, fatto che, peraltro, è documentato ancora all’Unità d’Italia. La Terra d’Otranto registrava una forte mobilità, i salariati partivano e arrivavano continuamente.
È bene ribadire che si trattava di migrazioni interne, infatti, almeno fino ai primi del Novecento, le emigrazioni estere e transoceaniche dalla Puglia, non avevano un peso rilevante rispetto a quelle di breve raggio.

– Immigrazione e «ripopolamento»

 

Giovanna Da Molin, Professore Ordinario di Demografia Storica e Sociale, Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione; Università degli Studi di Bari «Aldo Moro»

Steiner: L’Italia può dettare strategie sul clima

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«Questa Conferenza ha un’importanza enorme in quanto l’Italia fa parte del G8, è un paese industrializzato, ha firmato il Protocollo di Kyoto e la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici: per questo può dare importanti indicazioni sulle strategie da intraprendere». È quanto ha dichiarato il Direttore esecutivo dell’Unep Achim Steiner, intervenendo oggi alla Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici in corso a Roma.
«Il 2007 ha segnato un punto di svolta sui cambiamenti climatici in quanto sono divenuti un argomento di pubblico dominio e non più ristretti alle agenzie o agli esperti del settore. In molti paesi la gente si domanda cosa stanno facendo gli Stati per arginare gli effetti del climate change». Le proiezioni dell’Ipcc si sono dimostrate vere e il prezzo dell’inazione è troppo alto per non essere considerato: «Pensiamo al costo dell’uragano Katrina, 81 miliardi di dollari, oppure ai 6 miliardi di danni provocati in Gran Bretagna in 24 ore dalle precipitazioni».
Il Direttore dell’Unep ha poi annunciato ufficialmente la prossima conferenza delle Nazioni Unite a New York il 24 settembre. In quella sede il Segretario Bank-Ki-Moon vuole lanciare una nuova concertazione fra tutti i governi ? ha dichiarato Steiner – per far sì che l’incontro di Bali per il post-Kyoto sia proficuo e dia i risultati attesi. All’incontro dell’Onu seguirà poi a Washington un meeting organizzato dall’amministrazione Bush fra i paesi più inquinanti del mondo. «C’è da sottolineare un nuovo atteggiamento da parte degli Stati Uniti: per esempio 300 città americane si sono impegnate a ridurre le emissioni di carbonio in misura maggiore rispetto ai limiti di Kyoto. E lo stesso ha deciso di fare anche la California».
Sono tre i settori nei quali l’Unep consiglia di intervenire per ridurre le emissioni: «Aumentare l’efficienza energetica, migliorare il settore dei trasporti e quello dell’energia».

(Fonte Apat)

Alberi di Natale, come mantenerli vivi durante e dopo le feste

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Gli abeti presenti sul mercato natalizio derivano per circa il 90% da coltivazioni vivaistiche che occupano stagionalmente oltre mille aziende agricole specializzate, mentre il restante 10% proviene dalla normale pratica forestale, che prevede interventi colturali di «sfolli», diradamenti o potature indispensabili per lo sviluppo e la sopravvivenza dei boschi. Nel caso dei «cimali», cioè gli abeti senza radici sostenuti dalla classica croce di legno, infatti, bisogna fare attenzione, qualora non provengano da produzioni vivaistiche ad hoc, al fatto che siano il frutto di diradamenti forestali autorizzati. In Italia la coltivazione dell’albero di Natale è concentrata prevalentemente in Toscana (nelle province di Arezzo e Pistoia) e in Veneto.

A questo proposito solo in Toscana circa 800 ettari sono destinati a questa coltivazione, soprattutto nelle zone montane e collinari dove si utilizzano terreni marginali, incolti e pascoli altrimenti destinati all’abbandono e al conseguente degrado idrogeologico. Nonostante ciò, ogni anno, per ragioni economiche, l’Italia importa una notevole quantità di abeti dal nord e dall’est dell’Europa.
È importante controllare la specie di appartenenza nel caso dell’utilizzo della pianta per il rimboschimento, affinché non ci sia mescolanza genetica tra le specie autoctone e quelle provenienti dall’estero. Se la presenza dei tagliandini di certificazione garantisce la salvaguardia dei nostri boschi, la sopravvivenza delle piante acquistate presso i vivai è affidata alle nostre cure.

Infatti, durante le feste vengono appesantite dagli addobbi natalizi e sottoposte allo stress di temperature elevate, terricci inadatti e aria troppo secca dovuta ai riscaldamenti domestici.
È consigliabile, in questo caso, evitare addobbi pesanti per non spezzare i rami e non usare sostanze decorative che intacchino la superficie delle foglie, come la neve artificiale e gli spray coloranti; in più, durante il periodo di permanenza in casa, le radici della pianta devono essere mantenute costantemente umide. Nel caso degli alberi senza radici, è importante riporli in recipienti pieni di acqua tiepida, ad una temperatura di circa 30°, che ne agevolerà l’assorbimento.
È necessario, inoltre, sistemare le piante in un luogo luminoso, fresco, lontano da qualsiasi fonte di calore e al riparo da correnti d’aria.

Terminato il periodo natalizio gli alberi con radici possono essere posizionati all’esterno, sui balconi, o possono essere piantati nei giardini, ricordando che si tratta di piante che possono crescere fino a 15-20 metri e che le loro possibilità di sopravvivenza sono legate, oltre che alle condizioni vegetative della pianta, anche a quelle climatiche che devono essere appropriate alla specie. Gli abeti, ad esempio, hanno bisogno di una determinata altitudine (oltre i 1.000 metri) e di zone fitoclimatiche particolari: piantarli nel giardino di casa o sul terrazzo potrebbe provocare un’inutile sofferenza a queste piante già stressate dal caldo, dagli addobbi e dalla mancanza di luce.

In particolar modo l’abete rosso, che è la specie maggiormente usata come albero di Natale, deve essere utilizzato in modo corretto, quindi non per il rimboschimento, ma come pianta da giardino. È, infatti, un albero spontaneo che cresce solo sull’arco alpino e in alcune


«sole» dell’Appennino tosco-emiliano e piantarlo fuori da queste zone significherebbe creare problemi di inquinamento genetico. Nel caso in cui non si abbia la possibilità di piantare l’albero, si consiglia di donarlo ai centri di raccolta indicati dai vivaisti o dai Comuni che provvederanno al recupero della pianta. Dagli alberi ormai inutilizzabili viene ricavato il legno, mentre le piante in migliori condizioni vegetative vengono trasportate e trapiantate in luoghi idonei al loro attecchimento.

L’ultimo consiglio è quello di utilizzare nel periodo natalizio anche altri tipi di piante sempreverdi caratteristiche degli ambienti naturali dell’Italia centro-meridionale, che più facilmente si adattano al clima cittadino e a quello delle pianure, tra cui gli agrumi, i lecci, i corbezzoli e gli agrifogli.

(Fonte Corpo forestale dello Stato)

I meccanismi della contrapposizione

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Sui temi che toccano aspetti esistenziali della condizione umana, c’è sempre il rischio di partire con i migliori propositi, ma di finire, poi, con l’affondare nelle delusioni di risultati mancati e nelle conseguenti demotivazioni. Diventa, così, inesorabile l’emergere della propensione umana, nel tentativo di superare questi disagi del vivere, a ridurre tutto a una paralizzante lettura formale, analitica e approssimativa di quelle «drammatiche contrapposizioni» proposte come ambiguo asse portante della cultura del «vedere» e del «fare» le cose in modo «chiaro e semplice» (bene e male, ma anche amico e nemico, vinti e vincitori, ricchezza e povertà, sviluppo e stagnazione, consenso e dissenso, uguali e diversi… tutta «roba» tagliata a colpi d’ascia e di mannaia, suddivisa grossolanamente e senza qualità anche nella forma, oltreché nella sostanza). Una propensione che, trovando facili scorciatoie da percorrere nelle interpretazioni meccanicistiche di causa/effetto, impedisce di entrare nel merito degli argomenti. Una propensione che convince, anche, sull’immutabilità di eventi che pur interrogano insistentemente le nostre coscienze (perché, in quest’ambito, le mistificazioni delle cose «chiare e semplici» non reggono e le nostre responsabilità s’impongono in tutta la loro tormentosa dimensione).

La contrapposizione (e più in generale tutto ciò che dalle semplificazioni deterministiche ne deriva) sembra presentarsi, con i suoi dati di fatto acriticamente accettati, come un punto cardine, particolarmente nevralgico, nella nostra «civiltà» dei consumi: muove idee, scelte politiche, produzione di ricchezza e perdita di risorse… tutto in nome di «valori», contradditori, indiscriminati e plasmabili a richiesta.

Entrando più nel merito di questa prospettiva, la natura e il ruolo, imposti alla contrapposizione (solidarietà/egoismo in questo caso), potremmo, forse, riconoscerli e definirli come «attributi» artificialmente ricostruiti con l’obiettivo di modificare e condizionare le nostre coordinate di riferimento per l’interpretazione dei fenomeni sociali e culturali. A questa «contrapposizione» verrebbe affidata, così, una particolare funzione paradigmatica, capace di determinare le linee di sviluppo della formazione dei nostri pensieri e di indurci a giudizi e scelte preordinate.

In concreto la natura e il ruolo di questa contrapposizione potrebbero essere reinventati, all’occorrenza, per mettere in linea i processi relazionali umani secondo fini e obiettivi precostituiti: per esempio, per convogliare i modi di pensare su strade facilmente riconoscibili e predefinite (quelle del bipolarismo delle posizioni e delle scelte), per discriminare in tempo reale gli individui attraverso i loro comportamenti (rilevazione più immediata delle sole due direzione possibili di consenso e, insieme, controllo di quei «diversi» imprudentemente fuori dal coro delle contrapposizioni biunivoche), per ricondurre ad un dualismo malleabile ogni interpretazioni e ogni valutazioni di fatti (altrimenti compromettenti e nocivi per la conservazione del potere), per biforcare, in facili e precostituiti opposti antagonismi, i momenti «ingovernabili» di eventuali dissensi (nella cultura, nei rapporti sociali, nei riferimenti a valori etici e morali, nelle espressioni di giudizi politici e storici, nelle scelte economiche…).

Potremmo, allora, chiederci se queste contrapposizioni, proposte come chiave di lettura universale di tutto ciò che avviene, non siano, proprio, un «modello mentale» dicotomico «artificiale» costruito, come strumento per attuare l’adeguamento acritico delle volontà umane a realtà eterodirette, per imporre un controllo sociale, per favorire l’alienazione dalla realtà, per deviare la mente umana dalle sue capacità di riflessione autonoma e alternativa, per impedire quelle scomode espressioni di assunzione di responsabilità e di precauzione che sono di ostacolo alle «ideologie» del «darsi da fare».

Greenpeace dopo Durban

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Durban-11 December 2011– As the climate talks in Durban concluded tonight with a groundbreaking establishment of the Durban Platform to negotiate a new global agreement by 2015, scientists stated that the world continues on a pathway of over 3°C warming with likely extremely severe impacts, the Climate Action Tracker said today.

The agreement in Durban to establish a new body to negotiate a global agreement (Ad Hoc Working Group on the Durban Platform for Enhanced Action) by 2015 represents a major step forward. The Climate Action Tracker scientists stated, however, that the agreement will not immediately affect the emissions outlook for 2020 and has postponed decisions on further emission reductions. They warned that catching up on this postponed action will be increasingly costly.

The Climate Action Tracker estimates that global mean warming would reach about 3.5°C by 2100 with the current reduction proposals on the table. They are definitely insufficient to limit temperature increase to 2°C.
A warming over 3°C could bring the world close to several potential global-scale tipping points, such as:
o Possible dieback of the Amazon rainforest
o Corals reefs being irreversibly replaced by algae and sea grass
o Irreversible loss of the Greenland ice sheets of many centuries to thousands of years
o Risk of release of methane hydrates in ocean floor sediments further adding to the warming
o Permafrost thawing due to fast rising arctic temperatures

A depiction of the types of impacts likely from 1.5°C of warming, through 2°C and 3-4°C has been posted on the Climate Action Tracker website today.

The costs for adaptation and the residual damages from climate change will increase rapidly with warming. Approximate estimates indicate that the most extreme costs will be felt in West Africa and South Asia, with residual damage of 3.5% of regional GDP for 2°C warming and 5-6% for 3°C warming. With a 2°C warming, adaptation costs would be half those associated with a 3°C temperature rise.

The Climate Action Tracker today released an infographic to show the range of impacts that the world risks on a pathway to well over 3°C and beyond.

“What is positive in Durban is that governments have reopened the door to a legally binding global agreement involving the world’s major emitters, a door which many thought had been shut at the Copenhagen Conference in 2009,” said Bill Hare, Director of Climate Analytics. 

“What remains to be done is to take more ambitious actions to reduced emissions, and until this is done we are still headed to over 3oC warming. There are still no new pledges on the table and the process agreed in Durban towards raising the ambition and increasing emission reductions is uncertain it its outcome.”

“There are still options available to close the gap between current globally planned mitigation and what is needed to hold warming below 1.5 or 2°C – if action takes place fast,” said Niklas Höhne, Director Energy and Climate Policy at Ecofys. “Emission reduction options are rapidly diminishing.”

A full briefing paper is available on www.climateactiontracker.org.

CONTACTS IN DURBAN: apologies, but the team are all on planes today, heading to Europe.  Please contact:
Dr. Niklas Höhne +49 (0) 162 101 3420
Or Cindy Baxter +64 21 772 661

The Climate Action Tracker is an independent science-based assessment, which tracks the emission commitments and actions of countries. The website provides an up-to-date assessment of individual national pledges to reduce their greenhouse gas emissions

Climate Analytics
Climate Analytics is a non-profit organization based in Potsdam, Germany. It has been established to synthesize climate science and policy research that is relevant for international climate policy negotiations. It aims to provide scientific, policy and analytical support for Small Island States (SIDS) and the least developed country group (LDCs) negotiators, as well as non-governmental organisations and other stakeholders in the ?post-2012′ negotiations. Furthermore, it assists in building in-house capacity within SIDS and LDCs.
www.climateanalytics.org

About Ecofys – Experts in Energy
Established in 1984 with the vision of achieving “sustainable energy for everyone”, Ecofys has become the leading expert in renewable energy, energy & carbon efficiency, energy systems & markets as well as energy & climate policies. The unique synergy between those areas of expertise is the key to its success. Ecofys creates smart, effective, practical and sustainable solutions for and with public and corporate clients all over the world. With offices in the Netherlands, Germany, the United Kingdom, China and the US, Ecofys employs over 250 experts dedicated to solving energy and climate challenges.
www.ecofys.com

Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK)
The PIK conducts research into global climate change and issues of sustainable development. Set up in 1992, the Institute is regarded as a pioneer in interdisciplinary research and as one of the world’s leading establishments in this field. Scientists, economists and social scientists work together, investigating how the earth is changing as a system, studying the ecological, economic and social consequences of climate change, and assessing which strategies are appropriate for sustainable development.
www.pik-potsdam.de

Vittorie di Pirro

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L’uomo ha le risorse intellettuali per comprendere questa situazione. In effetti ci sono molti pensatori e studiosi che spiegano queste cose sin dai tempi di Malthus (almeno nel concetto di finitezza delle risorse). Ma la visione culturale antropocentrica acceca narcisisticamente la nostra capacità di comprensione. Ci concentriamo su noi stessi e, tutt’al più, ci curiamo dei rapporti intraspecifici. Con questo identifichiamo «classi» contrapposte, che si confrontano e si combattono. Si fanno le rivoluzioni, in vista del riscatto delle classi oppresse, contro gli oppressori. Queste battaglie sono sacrosante, ma sono battaglie. Poi c’è una guerra che dobbiamo giocare uniti, come specie: la lotta per l’esistenza. E dobbiamo renderci conto che la specie è più importante dell’individuo.

In cosa consiste questa presa di coscienza? La specie è fatta di individui che, naturalmente, pensano alla propria sopravvivenza e a quella della propria prole. Ma una specie intelligente, che vede il futuro, deve pensare anche al futuro della specie. Per gli altri animali il futuro non esiste. Il passato è passato, il futuro, non essendo ancora arrivato, non c’è. Esiste solo il presente. E quindi ogni individuo pensa a sé o, tutt’al più, ai suoi figli e nipoti. Ma una specie intelligente deve pensare agli individui che ancora non ci sono. Se non ci sono non esistono, eppure sono loro che rappresentano «la specie». Le battaglie si fanno per noi, la guerra si fa per loro.
Con una buona tattica si vincono le battaglie, ma è proverbiale la valenza tattica di Pirro, che vinse tutte le battaglie ma poi perse la guerra. Era un buon tattico ma un pessimo stratega. E rappresenta benissimo quel che stiamo facendo oggi.

Alcuni casi di interazione

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I mari di Taranto costituiscono un’area mediterranea di grande interesse scientifico, anche da questo punto di vista, in quanto soggetta a numerose pressioni antropiche (grande industria siderurgica, traffici navali, scarichi civili e industriali, cantieristica, mitilicoltura) che ne hanno modificato profondamente la struttura delle comunità bentoniche (Matarrese et al., 2004; Mastrototaro et al., 2008) ed in cui sono state segnalate numerose specie esotiche (Mastrototaro et al., 2004).
La presenza di alcune specie bentoniche autotoctone, un tempo dominanti, è attualmente piuttosto ridotta mentre risultano diffuse le specie più tolleranti sia native che esotiche, queste ultime insediate sia con popolazioni effimere (come ad esempio il mollusco asiatico Musculista senhousia) che con popolazioni stabili (come ad esempio l’anellide polichete, provenienti dal Mar Rosso, Branchiomma luctuosum). Attualmente sembrerebbe che la diversità biologica dei mari di Taranto, intesa unicamente come numero di specie presenti, sia addirittura aumentata. Ma il ruolo della biodiversità nell’ecosistema non si esprime soltanto in termini di numero di specie ma anche come rapporto di abbondanza tra le specie presenti.
Un sistema ambientale con un certo numero di specie in cui una o soltanto alcune sono fortemente dominanti rispetto a tutte le altre che si presentano rare è meno diversificato di un altro sistema ambientale che pur con un numero minore di specie queste risultano presenti con abbondanze comparabili. Comunque, non tutte le specie esotiche presenti nei mari di Taranto sono tropicali e quindi se per queste si è creata una sinergia tra trasporto umano e cambiamento climatico per quelle non tropicali il cambiamento del clima sembra non aver giocato alcun ruolo.
Un tipico esempio di effetto combinato di modificazioni antropiche e cambiamento climatico sugli organismi e sulle comunità è fornito dall’alga tropicale Caulerpa racemosa nativa del Golfo del Messico ma che si sta diffondendo in tutto il Mediterraneo. Quest’alga invasiva, che tollera acque inquinate, si è ben insediata anche nei mari di Taranto ricoprendo parzialmente il popolamento algale autoctono e rimpiazzando la spermatofita (pianta con fiore) endemica Posidonia oceanica che, invece, risente fortemente della torbidità delle acque. Di fatto, in molte aree mediterranee P. oceanica manifesta segni di degrado dovuto soprattutto all’inquinamento delle acque e ad attività di pesca a strascico realizzata, spesso illegalmente, in acque costiere.
In generale, è necessario monitorare gli effetti delle interazioni tra differenti cause per spiegare le variazioni osservate nella struttura delle comunità e nel livello di biodiversità. Morri e Bianchi (2001), riportando alcuni casi studio effettuati nel Mar Ligure, evidenziano la difficoltà di distinguere tra le differenti azioni antropiche, tra cui il cambiamento climatico, le cause delle variazioni della biodiversità.
Per esempio, questi autori hanno riportato come i cambiamenti osservati nel corso degli anni nella composizione della comunità bentonica in alcuni distretti liguri risultavano correlati sia alla variazione di temperatura sia alla variazione di torbidità delle acque nel periodo di osservazione. Così le differenti abbondanze riscontrate in due specie ittiche, una di acque calde (Auxis rochei), l’altra di acque temperate (Sarpa salpa), nel corso di un ventennio, potevano dipendere sia dalla sovrapesca e


dai differenti tipi di attrezzi da pesca utilizzati nella marineria sia dalle variazioni termiche registrate nel periodo di studio (Morri e Bianchi, 2001).
Come prima detto, anche le variazioni dei rapporti di abbondanza tra le specie influenza il livello di diversità biologica di un ecosistema. Nel Mar Ionio, due gamberi che vivono in acque molto profonde, il gambero viola (Aristeus antennatus) e il gambero rosso (Aristaeomorpha foliacea), sono pescati con reti a strascico lungo la costa ionica a partire da una profondità di 300 m fino a quella di circa 800 m. Delle due specie il gambero viola è quella più abbondante e che si distribuisce anche a notevoli profondità (3.300 m è la massima profondità di rinvenimento di questo gambero) (Sardà et al., 2004).
A partire dal 1995 si è assistito ad un incremento delle catture del gambero rosso e intorno al 2000 e fino al 2003 è stata registrata persino un’inversione di tendenza con il gambero rosso più abbondante del gambero viola (Carlucci et al., 2007). Poiché alcune condizioni climatiche, verificatesi a partire dal 1987, hanno influenzato le caratteristiche e la circolazione delle masse d’acqua profonde e intermedie nel bacino ionico rendendole relativamente più salate e più calde (Eastern Mediterranean Transient, Klein et al., 1999), è probabile che tali condizioni, a cui il gambero rosso è meglio adattato, abbiano favorito un aumento della sua biomassa. Comunque, valutando l’entità dell’attività di pesca a strascico, tecnicamente detta «sforzo di pesca», nel periodo 1995-2005, è stato riscontrato che tale entità ha mostrato un trend negativo durante questo decennio. In altri termini, un numero inferiore di barche a strascico hanno operato nel Mar Ionio e quindi, il gambero rosso, che è particolarmente vulnerabile a questo tipo di pesca, ha subito una minore pressione da parte dell’uomo. Quindi, l’aumento registrato nelle catture del gambero rosso potrebbe essere il risultato combinato della variazione termoalina delle acque e dell’attività di pesca.
Alcuni effetti sugli organismi e comunità che si stanno esaminando in relazione al cambiamento climatico, sebbene con dinamiche differenti, possono essere dovuti proprio all’attività di pesca. I predatori di vertice, per esempio gli squali, e le specie di grossa taglia sono drasticamente ridotti da questa attività umana che, pertanto, favorisce l’incremento delle specie più piccole e più opportuniste le quali diventano dominanti nell’ecosistema (Fishing down marine food webs, Pauly et al., 1998). Anche rispetto all’attività di pesca, risulta fondamentale monitorare gli effetti delle interazioni negli ecosistemi. Infatti, la «scomparsa» o la riduzione del predatore può favorire il proliferare della preda, oppure può favorire il proliferare di specie di nuova introduzione. Se queste ultime sono predatori, non è detto che siano in grado di svolgere il medesimo ruolo dei predatori originari e, quindi, struttura e funzioni dell’ecosistema si modificheranno con esiti non facile da prevedere.

Infortuni sul lavoro

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In Italia, ogni giorno, quattro persone muoiono sul lavoro. Nel 2002 le vittime sono state 1.397, gli incidenti sui luoghi di lavoro sono stati quasi un milione. Unico dato confortante: si è registrata una leggera diminuzione rispetto all’anno precedente.
I dati forniti dall’Inail però parlano chiaro: occorre fare di più, soprattutto occorre partire da una vera cultura della prevenzione. Con il concorso “Primi in sicurezza, premio Emilio Rossini” i ragazzi sono chiamati ancora una volta a riflettere e lavorare su un tema importante e decisivo per la societa’. E la sicurezza parte dai banchi di scuola.

Industria e servizi
Nord-ovest 267.921
Nord-est 299.877
Centro 172.451
Sud 110.670
Isole 43.734

Totale 894.653

Agricoltura

Nord-ovest 13.977
Nord-est 21.767
Centro 15.243
Sud 15.975
Isole 6.170

Totale 73.132

(Fonte Inail – anno 2002)

Andate a vedere i bambini quando escono dalle scuole

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(Pubblichiamo la lettera inviata da un nostro Lettore)

Bisogna avere una visione positiva, sugli immigrati. Una società, una umanità ricca e variegata nei colori della pelle, nell’ aspetto fisico, nella cultura, nelle idee, nelle religioni, nelle etnie, sta affermandosi, nonostante tutto, nel nostro paese. Questa civiltà così nuova, nella sua complessità, esprime una ricchezza fondamentale, quella della diversità come valore umano.
Si sta comprendendo, pur con molte resistenze, che l’interscambio di abitudini, di culture, tra persone diverse, perché provenienti da territori diversi del pianeta, arricchisce e non impoverisce il territorio e le persone che li accoglie. Un arricchimento di stimoli, di vedute, di aperture mentali, un allargamento delle prospettive psicologiche e culturali, un arricchimento creativo, bello, veramente positivo.
Basta vedere come all’uscita di scuole che accolgono bambini di tutti i paesi, la mente ed il cuore si allargano, sentendo i suoni vocali di bambini e bambine che parlano lingue diverse, ma che giocano in maniera identica, basta per sentirsi, contenti, più felici ed appagati. Bisognerebbe mantenere la stessa visione, naturalezza, la stessa umanità, la stessa accoglienza, la stessa apertura con la mente e con il cuore anche sugli immigrati adulti, questo ci aiuterebbe a fare scelte politiche e di governo più giuste verso gli altri.
Quelli che ci governano dovrebbero, emanare leggi aperte ai cittadini del mondo, accoglienti, meno restrittive, e più rispettose della dignità della persona. C’è grande bisogno della loro preziosa manodopera, nel paese, nelle nostre aziende, nei nostri servizi, sicuramente dentro un progetto, di legalità di dialogo, e di solidarietà. Se mai cari governanti va combattuta la mafia, gli scafisti, gli sfruttatori di gente bisognosa. I governi dei paesi cosiddetti ricchi e sviluppati, dovrebbero pensare meno al potere e ai soldi e mettere al centro delle loro scelte l’uomo, la dignità della persona, il cittadino del mondo con i suoi bisogni psicofisici, e con i suoi, diritti.
Per aiutarli veramente anche nei loro paesi di origine, l’Occidente i paesi ricchi, devono azzerare il debito, che i paesi poveri hanno nei loro confronti, e facciano aiuti concreti nei loro paesi di origine, portare loro macchine agricole, attrezzature per fare pozzi e per irrigazione, costruire ospedali, scuole, mandare finanziamenti e farmaci, per combattere la fame e nella prevenzione e cura delle malattie infettive. Poi bisogna favorire la diffusione di una cultura di pace, in tutte le parti del mondo, favorire anche le adozioni a distanza, con campagne di sensibilizzazione dei cittadini, aiutarli anche ad investire le tante loro risorse che hanno in materie prime, in attrezzature che favorisca lo sviluppo della loro economia, e a non comperare più armi. E i paesi sviluppati la smettano di vendere loro armi, che servono solo per uccidere, uomini, donne, bambini. Se ci daremo da subito tutti da fare, impegnandosi di più nella società civile, nel volontariato, nelle istituzioni, in ogni luogo, daremo sicuramente un grande contributo, per far fare passi avanti alla civiltà e ai diritti umani.
Ogni tanto prendiamoci un po’ di tempo per


andare a vedere i bambini quando escono dalle scuole che ospitano bambini di tanti colori diversi, fermiamoci a guardarli, e ad osservarli bene, come giocano bene insieme, come si divertono bene insieme, come sognano bene insieme, con quella loro spontaneità, semplicità e naturalezza, e allora capiremo molte cose, ci daranno tutti gli spunti e suggerimenti per prendere coscienza e a trovare soluzioni politiche e governative, più giuste, e ad emanare normative meno restrittive, meno egoistiche, e a governare meglio, i problemi degli immigranti e di tutti i cittadini, i bambini ci possono aiutare anche come fare per costruire una società, in cui si possa vivere serenamente bene tutti insieme, in una società, più equa, più accogliente, più solidale, più rispettosa dell’altro, una società migliore e più giusta per tutti, piena di valori umani veri, che ci faccia sentire ed essere tutti cittadini di questo mondo con gli stessi diritti.

(Francesco, Cenate Sopra, Bergamo)

Inventario nazionale delle foreste

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Gli inventari forestali sono indagini realizzate per conoscere l’entità e la qualità delle risorse forestali di una nazione o di una regione in un certo momento: la superficie forestale e le superfici dei vari tipi di bosco, lo stato di salute, la biomassa e la quantità di carbonio immagazzinato, i ritmi di crescita e le capacità produttive sono tra i principali risultati di ogni indagine inventariale. I dati risultanti costituiscono le statistiche forestali e vengono presentati sotto forma di tabelle e diagrammi.
Il censimento e la classificazione degli alberi e delle foreste di un territorio molto vasto richiedono l’impiego di opportune tecniche e metodi che consentano di realizzare un’indagine su ampia scala nei tempi e con le risorse disponibili. Per tale motivo questo tipo di indagini fa uso di «campioni», piccole porzioni di territorio distribuite secondo un opportuno disegno. L’osservazione dei caratteri della vegetazione forestale in questi campioni consente di ottenere informazioni statisticamente significative per l’intera area di studio.

Il monitoraggio delle risorse naturali – Gli inventari forestali sono importanti strumenti di monitoraggio dello stato dell’ambiente naturale.
La ripetizione periodica dell’indagine inventariale consente di verificare i cambiamenti nel tempo dell’estensione del territorio boscato, dello stato di salute, delle condizioni degli habitat forestali e così via. Le informazioni derivate da inventari ripetuti nel tempo contribuiscono inoltre a monitorare la capacità di captazione del carbonio da parte degli ecosistemi forestali.
L’Italia si è impegnata in sede internazionale a monitorare lo stato delle foreste ai fini di garantirne la conservazione e un utilizzo coerente con i principi della sostenibilità.
Uno degli strumenti più importanti per ottenere le informazioni necessarie a questi scopi è costituito dall’Inventario Forestale Nazionale (Ifn).

Gli inventari nel nostro paese – In Italia il primo inventario forestale nazionale è stato realizzato negli anni ’80 (Ifni85).
Successivamente sono stati realizzati degli inventari parziali che hanno interessato il territorio di alcune regioni. Altri inventari sono in fase di avvio, sempre su base regionale. All’inizio del 2003 hanno avuto inizio i rilievi per il secondo inventario forestale nazionale, l’Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio (Infc), che ha tra i principali obiettivi la valutazione delle riserve di carbonio presenti nella vegetazione e nei suoli forestali.

Il nuovo progetto – Lo studio preliminare concluso nel 1999 dall’Isafa su incarico del Corpo forestale dello Stato definiva le necessità informative, alcune ipotesi progettuali, i costi e i tempi di realizzazione del nuovo Ifn.
Su tale base e alla luce delle nuove esigenze emerse nel frattempo, è stato delineato nel 2002-2003 un nuovo percorso progettuale, organizzativo ed attuativo, volto a fornire, nei tempi previsti dagli accordi internazionali e in particolare dal Protocollo di Kyoto, le informazioni richieste al nostro Paese, nel rispetto dei tempi tecnici necessari ad acquisire una considerevole mole di informazioni sull’intero territorio nazionale.
E’ l’avvio del nuovo Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio (Infc).
Analogamente al primo inventario l’Infc viene realizzato dal personale del Corpo Forestale dello Stato, che coordina e finanzia il progetto; l’Isafa, come responsabile della progettazione, cura gli aspetti tecnico-scientifici, la formazione del personale, l’elaborazione e la presentazione dei risultati.

Lo stato delle informazioni in Italia – Alla fine degli anni ’90 le informazioni disponibili sulla consistenza e lo stato delle foreste in Italia apparivano datate e insufficienti a fornire risposte efficaci alle rinnovate esigenze informative a livello nazionale e internazionale.
Il Corpo forestale dello Stato avviava quindi un’azione finalizzata ad aggiornare e integrare le conoscenze sulle foreste italiane affidando all’Isafa il compito di realizzare uno studio preliminare di fattibilità per il secondo inventario forestale nazionale (Ifn) italiano. I punti qualificanti del nuovo inventario

La definizione di bosco e la classificazione della vegetazione – Nel rispetto degli standard internazionali è stata adottata la definizione di bosco della Fao impiegata per il Forest Resource Assessment (2000).
E’ stato inoltre definito un sistema gerarchico di classificazione della vegetazione coerente con le definizioni Fao e Ue (Corine) che si basa sul criterio della prevalenza di specie.

Il disegno campionario: efficacia nella complessità – Nella procedura a tre fasi scelta per l’Infc le prime due sono necessarie per la stima dell’estensione delle varie categorie e sottocategorie inventariali e per l’osservazione di alcuni caratteri qualitativi, la terza per le misure relative agli attributi stazionali e dei soprassuoli. Lo schema è particolarmente flessibile, poiché permette di modulare il campionamento nelle diverse fasi in funzione delle risorse finanziarie disponibili e delle precisioni di stima desiderate, risultando nel contempo in grado di adattarsi ad un ampio ventaglio di finalità.

La tecnologia – Per l’indagine è fatto largo uso di strumenti ad elevata tecnologia: un sistema informativo geografico, il Sim, per la fase di fotointerpretazione, sistemi di posizionamento satellitare (Gps) per la localizzazione dei punti al suolo, data-logger per l’acquisizione in campo dei dati e un sistema client-server per il trasferimento e l’archiviazione automatica dei dati.

Pluralità delle fonti d’informazione e del tipo di dati raccolti – I dati derivano non soltanto da rilievi al suolo, ma anche da ortofoto digitali, archivi di dati georiferiti e da interviste. Oltre ai dati sulla fitomassa epigea vengono raccolte informazioni sulla biodiversità, le aree forestali protette, la presenza di necromassa, l’accessibilità, l’uso ricreativo, le patologie, la presenza di fenomeni di dissesto, ed altre ancora.

(Fonte Corpo Forestale dello Stato)