La marcia dei migranti dell’Honduras

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Una vergogna per i Paesi ricchi

La Storia a ritroso

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Proponiamo l’accostamento alla ricerca storica seguendo un iter a ritroso, dall’effetto alle cause. I ragazzi e i giovani vivono nella contemporaneità … è indispensabile vivere il presente e camminare insieme alla riscoperta del passato. Non succederebbe mai che discepoli degli ultimi anni non abbiano trovato le ragioni del presente per il quale vivono, credono e per il quale scelgono.

Immaginiamo lo studio della Storia a cominciare dalla storia, dalla istorìa cioè dalla ricerca sul divenire dell’essere che «è» in quanto sarà e si fa futuro … In verità il futuro ha più spinte esistenziali del passato: questo non va dimenticato, per esso va fatta la ricerca, la istorìa che ci spiega il presente. Pensiamo alle ultime classi degli istituti in cui si giunge, alla fine dell’anno scolastico, a lambire appena gli inizi del 900! L’Utopia che è il senso verso cui si muove la storia, come tutte le storie individuali, è nel futuro: un appuntamento inderogabile a cui le nuove generazioni sono sempre chiamate. Ma i nostri testi scolastici sono privi di metastoria: essi catalogano, riesumano morti ma non si spendono più di tanto per la progettazione del futuro.

I mutamenti sociali, veloci e frantumati, alimentano occidente e oriente, il nord e il sud del mondo. La scuola non è al di là di questo crocevia, è nel vivo dell’intersecarsi delle esperienze con l’interpretazione.

Impostando l’insegnamento della storia secondo il metodo a ritroso dall’effetto alla causa abbiamo notato la partecipazione degli alunni viva e vivace: essi hanno avuto l’opportunità di «rileggere» l’attualità nella durata di tutto l’anno scolastico con l’atteggiamento del ricercare per capire, e così aveva un senso il ricordare. La didattica diventa metodologia culturale: lo standard era superabile.

Esemplifichiamo un percorso:

  1. Partiamo dalla conoscenza del sistema elettorale italiano e dal dettato Costituzionale: come non chiedersi il perché della Costituzione «questa»? la sua origine riporta alla conclusione del II conflitto mondiale;
  2. L’indagine richiama il campo delle cause, degli squilibri scatenati, a loro volta effetti provocati dalle cause che ci riportano ad altro precedente campo di crisi e di revocazioni che impegnavano l’Italia e l’Europa fin dalla prima metà del 900;
  3. La ricerca sull’Unità d’Italia, inserita nel contesto generale, fa risalire ai motivi scatenanti.

 

Francesco Sofia

I Numeri chiave del Report Speciale dell’Ipcc: Riscaldamento globale di 1,5°C

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«Con le citazioni di oltre 6.000 riferimenti scientifici e il contributo di migliaia di esperti e di revisioni da parte dei governi di tutto il mondo, questo importante rapporto è una testimonianza della portata e della rilevanza politica dell’Ipcc», ha affermato Hoesung Lee, Presidente dell’Ipcc.
Novantuno autori e revisori provenienti da 40 Paesi hanno redatto il rapporto Ipcc in risposta ad un invito avanzato dalla Convenzione Quadro per i Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, Unfccc) nel 2015 quando fu adottato il Trattato di Parigi.

– 91 autori, di 44 nazionalità e 40 paesi di residenza
– 14 Coordinating Lead Authors (CLAs)

– 60 Lead authors (LAs)

– 17 Review Editors (Res)
– 133 Contributing authors (Cas)

– Oltre 6.000
riferimenti scientifici

Un totale di 42.001 commenti nelle revisioni di esperti e governi
(First Order Draft 12,895; Second Order Draft 25,476; Final Government Draft: 3,630).

Le reazioni di Wwf e Greenpeace

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Chiaro e determinato il mondo ambientalista

La denuncia di Ispra

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Ispra fornirà tutta la collaborazione tecnico scientifica alle autorità per le indagini in corso

Rabdomanzia e radioestesia, tra misticismo e scienza

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A proposito di una polemica

Gaia, our planet, is alive and we are its spermatozoon, a new study suggests

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A Tomsk State University scientist proposes that human beings will reproduce Earth’s biosphere

Confronto a distanza sul comportamento animale

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I noti etologi, Gordon G. jr Gallup e James R. Anderson hanno recentemente pubblicato un interessante articolo sui processi comportamentali intitolato «The “olfactory mirror” and other recent attempts to demonstrate self-recognition in non-primate species» (Behavioral Processes, 2018, 148: 16-19). In generale, mi trovo d’accordo con le loro critiche. Tuttavia, queste sono dovute alla lacuna nella ricerca scientifica creata dalla mancanza di riferimenti bibliografici appropriati e di menzione dei precedenti test ed esperimenti, che sono stati omessi nella ricerca pubblicata dalla dott.ssa Horowitz, del Dog Cognition Lab della Columbia University negli Usa, che i due esperti di comportamento animale criticano (Behavioral Processes, 2017, 143: 17- 24).

I due etologi hanno discusso il tipo di dati che sarebbero necessari per fornire prove definitive per l’auto-riconoscimento nei cani e in altre specie animali e che lo studio della dott.ssa Horowitz non ha fornito. Questa mancanza di prove potrebbe essere, almeno in parte, dovuta all’assenza di citazione dell’approccio che da me impiegato in uno studio precedente, pubblicato sulla rivista «Ethology, Ecology and Evolution», che ha portato a conclusioni ben diverse (Cazzolla Gatti, R. 2016. Self-consciousness: beyond the looking-glass and what dogs found there. Ethology Ecology & Evolution, 28:232-240).

In questo articolo spiego perché la dott.ssa Horowitz (2017) potrebbe aver ingannato anche l’analisi di Gallup & Anderson (2018) e aver riportato indietro i recenti sviluppi della ricerca etologica sulla cognizione animale.

Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D. Associate Professor Biological Institute, Tomsk State University, Russia

Le Aree protette, l’Ue e la diffusione delle Specie aliene invasive (Ias)

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L’adesione dell’Italia alla Convenzione sulla diversità biologica (Cbd) ha sicuramente stimolato negli anni anche il rafforzamento del sistema di aree protette, con l’istituzione di nuove aree e il potenziamento di quelle già preesistenti. Il numero delle aree protette ha un trend costantemente positivo a partire da metà anni 70 fino alle 871 aree attualmente riconosciute nel vigente Elenco Ufficiale delle Aree protette (Euap, 2010).

Per quanto riguarda la superficie terrestre protetta essa ammonta a oltre 3 milioni di ettari, pari a oltre il 10% della superficie territoriale nazionale, con un trend positivo più marcato a partire da metà degli anni 80. Anche la superficie marina protetta ha avuto un trend positivo e in particolare nel periodo di riferimento 2003-2012 essa si è incrementata di oltre il 14%.

In attuazione delle azioni previste dalla Cbd in ambito di protezione e tutela è di fondamentale importanza la Rete Natura 2000, principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità. Si tratta di una rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell’Unione, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE «Habitat» per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario. La rete Natura 2000 è costituita dai Siti d’importanza comunitaria (Sic), identificati dagli Stati Membri secondo quanto stabilito dalla Direttiva Habitat, che vengono successivamente designati quali Zone speciali di conservazione (Zsc), e comprende anche le Zone di protezione speciale (Zps) istituite ai sensi della Direttiva 2009/147/CE «Uccelli» (che ha sostituito la precedente Direttiva 79/409/CEE) concernente la conservazione degli uccelli selvatici.

Attualmente la Rete Natura 2000 in Italia, al netto delle sovrapposizioni, è costituita da 2.613 siti, per una superficie totale netta di oltre 6.400.000 ettari, di cui oltre 5.800.000 a terra, pari al 19,3% del territorio nazionale.

I trend relativi all’andamento del numero e dell’estensione delle Zps dal 2003 ad oggi evidenziano una forte crescita nel numero e nella superficie sino al 2007, anno in cui si rileva una stabilizzazione. I trend relativi all’andamento di numero ed estensione dei Sic/Zsc dal 2003 ad oggi evidenziano chiaramente, a partire dal 2013, una stabilizzazione del numero e delle superfici delle due categorie nel loro insieme e il crescente andamento del processo di designazione dei Sic come Zsc.

Le politiche ambientali europee prevedono che la tutela della biodiversità non sia confinata solo all’interno delle aree protette, ma debba essere parte di un sistema integrato di gestione del territorio. Perciò è cruciale l’integrazione della misure di conservazione della biodiversità nelle politiche settoriali, soprattutto nell’agricoltura e nel turismo. Gli obiettivi da perseguire sono da un lato quello di mantenere e ampliare la validità ecologico-funzionale e politico-economica della Rete Natura 2000, dall’altro quello di tutelare e gestire correttamente gli ambienti naturali e seminaturali esterni alla Rete Natura 200.

L’Italia ha fatto molti progressi in questi ultimi decenni nell’attuazione delle Direttive Habitat e Uccelli, in linea con quanto richiesto dall’obiettivo 1 della Strategia Europea per la Biodiversità. Le due direttive, che rappresentano i principali pilastri della politica comunitaria e nazionale in tema di conservazione della biodiversità, hanno non solo sancito alcuni principi fondamentali, ma hanno anche contribuito ad indirizzare le scelte e le azioni di conservazione per le specie e gli habitat di Interesse Comunitario.

I reporting periodici che le Direttive impongono agli Stati Membri (ai sensi degli art. 17 Dir. Habitat e art. 12 Dir. Uccelli), riportano informazioni rilevanti sullo stato di conservazione di specie e habitat, sui trend, sulle pressioni e sulle azioni di conservazione.

L’Italia spicca nel panorama europeo per ricchezza di specie e habitat di Interesse Comunitario. Tale ricchezza, accanto alla forte pressione antropica esercitata da una densità di popolazione tra le più alte in Europa, mette in luce la nostra grande responsabilità in termini conservazionistici.

Il decreto attuativo italiano della Direttiva (DPR 357/97) assegna al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare il compito di redigere questi report nazionali, utilizzando i dati di monitoraggio trasmessi da Regioni e Province Autonome. Il Ministero attribuisce a ISPRA un ruolo di coordinamento nella raccolta dati e nell’elaborazione dei report.

Già con l’ultimo report trasmesso alla Commissione dall’Italia nel 2013 per entrambe le Direttive, ma ancor più con il futuro report, da consegnare nel 2019, l’impostazione definita in ambito comunitario ha subito una svolta importante ponendo tra gli obiettivi l’analisi, sempre più dettagliata, dell’evoluzione nel tempo dello stato di conservazione delle popolazioni delle specie e degli habitat, attraverso confronti fra cicli successivi di rendicontazione. L’ottica è quella di supportare più efficacemente le scelte gestionali e di identificare le misure di conservazione più adeguate.

Nell’ultimo report italiano per la direttiva Habitat (relativo al periodo 2007-2012) è stato rendicontato lo status di 113 specie vegetali, 225 specie animali e 132 habitat; purtroppo è emerso uno stato di conservazione sfavorevole, e prospettive future negative, per circa il 50% delle schede di valutazione delle specie e per il 67% delle schede degli habitat (Ispra Rapporti 194/2014). Anche l’avifauna italiana considerata nell’ultimo reporting (relativo al periodo 2007-2012) presenta numeri importanti, con 306 popolazioni di 277 specie rendicontate (Ispra Rapporti 2019/2015), che mostrano però anch’esse percentuali troppo elevate di status e trend sfavorevoli.

Tali risultati, emersi dai report nazionali, non rispondono solo ad un impegno derivante dalla normativa europea, ma costituiscono uno strumento che deve essere utilizzato per meglio indirizzare l’impegno nella conservazione delle specie di fauna e flora e degli habitat minacciati, rari ed endemici presenti nel nostro Paese.

Un’efficace sorveglianza di specie e habitat da tutelare a livello Comunitario e l’efficienza della relativa rendicontazione e conservazione, richiedono un grande sforzo di coordinamento tra enti nazionali e locali competenti e mondo della ricerca, oltre che ingenti risorse ed impegno per i monitoraggi.

Per questo nel 2016 l’Italia si è dotata di manuali per il monitoraggio ai sensi della Direttiva Habitat (Ispra MLG 140/2016; 141/2016, 142/2016) con l’obiettivo di creare una base metodologica comune, di rispondere in maniera sempre più efficace alle richieste in ambito europeo e di migliorare la comparabilità dei risultati nel tempo.

Altri progressi sono stati compiuti a livello europeo e nazionale sul tema specie esotiche, o aliene, ovvero quelle specie trasportate dall’uomo, in maniera volontaria o accidentale, al di fuori della loro area di origine. La Cbd già individua le specie aliene come una delle principali minacce alla conservazione della biodiversità e indirizza le Parti a prevenirne l’introduzione e mitigarne gli impatti. Inoltre, a livello europeo è stata significativa l’entrata in vigore del Regolamento Ue 1143/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio sull’introduzione e diffusione delle Specie Aliene Invasive (Ias) e l’adozione nel 2016 della lista di Ias di Rilevanza Unionale. A livello italiano la normativa si è adeguata a tale regolamento con un Decreto Legislativo, entrato in vigore nel febbraio 2018; tale decreto pone le basi nella politica nazionale sul tema del contrasto alle Ias ed individua i soggetti competenti nelle azioni di prevenzione, controllo, eradicazione, monitoraggio e sorveglianza previste dal regolamento.

(Fonte Ispra)

Le Strategie europea e nazionale per la Biodiversità

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Per l’Unione europea e l’Italia i dati sono più confortanti, anche se molta strada resta da fare.

Il principale strumento Ue è la Strategia dell’Unione Europea per la Biodiversità, i cui target sono a loro volta in linea con gli Obiettivi di Aichi per la Biodiversità e i dati sono monitorati dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (Eea). L’Italia ha adottato nel 2010 la propria Strategia Nazionale per la Biodiversità (2011-2020), documento di riferimento rispetto agli impegni ratificati nell’ambito della Cbd.

La Strategia nazionale per la Biodiversità (Snb) si pone come strumento di integrazione delle esigenze della biodiversità nelle politiche nazionali di settore, riconoscendo la necessità di mantenerne e rafforzarne la conservazione e l’uso sostenibile per il suo valore intrinseco e in quanto elemento essenziale per il benessere umano, rispondendo appieno alla sfida 2011-2020 per la biodiversità.

La Strategia è stata articolata intorno a tre tematiche cardine: Biodiversità e servizi ecosistemici; Biodiversità e cambiamenti climatici; Biodiversità e politiche economiche, cui corrispondono altrettanti Obiettivi Strategici. In ragione della trasversalità del tema biodiversità, nonché dell’opportunità e necessità della sua integrazione all’interno delle politiche di settore, il conseguimento degli Obiettivi Strategici viene affrontato nell’ambito di 15 aree di lavoro.

In attuazione della Strategia il ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha istituito nel 2011 gli organismi di funzionamento della Strategia (Comitato paritetico per la biodiversità, Osservatorio Nazionale sulla Biodiversità, Tavolo di consultazione).

(Fonte Ispra)

Il Protocollo di Nagoya

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Non è solo il più recente accordo complementare alla Cbd, ma fornisce un quadro giuridico trasparente per l’effettiva attuazione di uno dei tre obiettivi della Convenzione: la giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche (Cbd, Art. 1).

Questo obiettivo è di particolare importanza per i Paesi in via di sviluppo, in quanto essi detengono la maggior parte della diversità biologica mondiale ma, in generale, non ottengono una quota equa dei benefici economici derivanti dall’uso delle loro risorse per lo sviluppo di prodotti derivante dalla diversità genetica, quali varietà coltivate ad alto rendimento, prodotti farmaceutici e cosmetici.

Un tale sistema riduce l’incentivo per i paesi biologicamente più ricchi, ma economicamente più poveri del mondo a conservare e utilizzare in modo sostenibile le loro risorse per il beneficio di tutti. La condivisione dei benefici deve essere basata su condizioni reciprocamente concordate nel Protocollo di Nagoya (2014).

Le risorse genetiche vegetali, animali, microbiche, terrestri e marine e l’uso delle biotecnologie sono oggi alla base di molte attività di ricerca di base e applicata e sono fondamentali per lo sviluppo di nuovi prodotti in svariati settori. Considerevole è la richiesta di accesso a risorse genetiche che proviene dal mondo della ricerca accademica, di laboratorio, dalle industrie biotecnologiche, farmaceutiche e cosmetiche o dall’agricoltura.

Nel 2010 la Conferenza delle Parti della Cbd ha approvato il Global Strategic Plan, la strategia mondiale per la tutela della biodiversità per il periodo 2011-2020. Il piano prevede 20 obiettivi, suddivisi in 56 indicatori, nel complesso noti come Aichi Biodiversity Targets, i quali stabiliscono il quadro di riferimento per la definizione di target nazionali o regionali e per promuovere gli obiettivi fondamentali della Cbd.

Purtroppo, l’ultima edizione del Global Biodiversity Outlook dell’Onu ci dice che, quando mancano meno di tre anni alla scadenza del decennio d’impegno, gran parte degli sforzi internazionali per raggiungere gli Obiettivi di Aichi per la Biodiversità stanno fallendo miseramente e che se non si cambia passo gran parte delle nazioni non riusciranno a raggiungere gli obiettivi.

Dei 56 indicatori, solo 5 sono sulla buona strada per il 2020; 33 segnalano qualche progresso, ma a un tasso insoddisfacente per raggiungere l’obiettivo previsto, 10 non mostrano alcun progresso, mentre 5 mostrano addirittura un peggioramento e 3 non sono stati valutati. Un raggio di luce è il cammino verso l’obiettivo di raggiungere il 17% di protezione rispetto alla superficie terrestre totale, che sarà presumibilmente raggiunto. Ma alcuni scienziati sostengono che almeno metà della superficie terrestre dovrebbe essere riservata alla natura.

In base alle attuali tendenze, le pressioni sulla biodiversità continueranno ad aumentare almeno fino al 2020 e lo stato della biodiversità continuerà a diminuire. Tutto questo, nonostante il fatto che le risposte della società alla perdita di biodiversità stiano aumentando significativamente e che, sulla base di piani e impegni nazionali, si prevede che continueranno ad aumentare per il resto di questo decennio. Questo ritardo può essere in parte dovuto al ritardo temporale tra l’assunzione di azioni positive e risultati positivi percepibili. Ma potrebbe anche essere dovuto al fatto che le risposte sono insufficienti in relazione alle pressioni, tali da non poter superare gli impatti crescenti dei fattori che causano la perdita di biodiversità.

Ciascuno degli Obiettivi di Aichi per la Biodiversità non può essere affrontato isolatamente, poiché alcuni obiettivi dipendono fortemente da altri obiettivi raggiunti. Le azioni verso determinati obiettivi avranno un’influenza particolarmente forte sulla realizzazione del resto. In particolare, vi sono obiettivi relativi alla risoluzione delle cause alla base della perdita di biodiversità (in genere gli obiettivi nell’ambito dell’obiettivo strategico A), lo sviluppo di quadri nazionali per l’attuazione degli obiettivi di biodiversità Aichi (obiettivo 17) e la mobilitazione delle risorse finanziarie (obiettivo 20).

Proseguire gli sforzi avviati per gli Obiettivi di Aichi per la Biodiversità contribuirebbe in modo significativo a raggiungere anche gli Obiettivi SDGs (Sustainable Development Goals) per lo Sviluppo Sostenibile, come ridurre la fame e la povertà, migliorare la salute umana e assicurare un approvvigionamento sostenibile di energia, cibo e acqua pulita. Aver incorporato la biodiversità negli obiettivi di sviluppo sostenibile ha offerto l’opportunità di portare la biodiversità nella corrente principale del processo decisionale.

Esistono percorsi plausibili per raggiungere la visione del 2050 per la fine della perdita di biodiversità, in concomitanza con i principali obiettivi di sviluppo umano, limitando il riscaldamento climatico a due gradi Celsius e combattendo la desertificazione e il degrado del suolo. Tuttavia, il raggiungimento di questi obiettivi congiunti richiede cambiamenti radicali nella società, incluso un uso molto più efficiente del territorio e del suolo, dell’acqua, dell’energia e delle risorse naturali, ripensando le nostre abitudini di consumo e in particolare i sistemi alimentari dominanti.

(Fonte Ispra)

Cos’è la biodiversità e quanta ne abbiamo in Italia e nel mondo?

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La biodiversità è «la ricchezza della vita sulla Terra, in tutte le sue forme e in tutte le sue interazioni». La Convenzione sulla Diversità Biologica distingue tre livelli in cui i milioni di piante, animali e microrganismi si organizzano: il livello dei geni, che danno vita alla diversità e all’eredità di ciascuna specie; il livello delle specie che sono parte di un ecosistema, quali farfalle, salamandre, salmoni, pioppi, querce, petunie; il livello degli ecosistemi, intesi come entità reali del mondo naturale (foreste pluviali, steppe, barriere coralline, fiumi, ghiacciai, ecc.).

Secondo un modo più «filosofico», la biodiversità rappresenta la conoscenza appresa dalle specie, nel corso di un processo evolutivo di milioni di anni, su come sopravvivere alle condizioni ambientali estremamente variabili. Alcuni studiosi dicono che con il declino dell’integrità biologica della Terra l’umanità si sta «bruciando la Biblioteca della Vita».

In tutto il pianeta, i biologi hanno descritto 1.371.500 specie animali. Tuttavia, diversi studi riportano che il vero numero di animali viventi sul pianeta possa variare da 2 a 11 milioni. È possibile, come dimostrano le più recenti scoperte, che ci siano ancora Mammiferi sfuggiti all’osservazione degli zoologi. I Funghi descritti sono circa 100.000, ma il loro numero potrebbe essere compreso tra 600.000 e 10 milioni. Le piante descritte sono 307.700. È possibile che il loro numero complessivo possa salire intorno a 450.000 specie man mano che i botanici ne scoprono di nuove. Solo l’1% dei batteri è stato inventariato. Il pianeta Terra, insomma, almeno per le forme viventi è per molti versi ancora uno sconosciuto.

L’Italia è tra i Paesi europei più ricchi di biodiversità in Europa in virtù essenzialmente di una favorevole posizione geografica e di una grande varietà geomorfologica, microclimatica e vegetazionale. La fauna italiana è stimata in oltre 58.000 specie, di cui circa 55.000 di Invertebrati e 1.812 di Protozoi, che insieme rappresentano circa il 98% della ricchezza di specie totale, nonché 1.258 specie di Vertebrati (2%). Il phylum più ricco è quello degli Artropodi (insetti e ragni per intenderci, con oltre 46.000 specie).

Dati di maggior dettaglio relativi ai Vertebrati, esclusi i pesci ossei marini e gli uccelli non nidificanti (svernanti e migratori), evidenziano anche tassi significativi di endemismo (specie di piante e di animali esclusivi di limitati territori), particolarmente per gli anfibi (31,8%) e i pesci ossei di acqua dolce (18,3%). Anche la flora italiana presenta una grande ricchezza: la flora delle Briofite (muschi ed epatiche) e dei Licheni è tra le più ricche d’Europa, mentre la flora delle piante vascolari comprende 6.711 specie, ovvero 144 Pteridofite, 39 Gimnosperme e 6.528 Angiosperme, con un contingente di specie endemiche che ammonta a oltre il 15%.

(Fonte Ispra)

Il ruolo dell’agricoltura

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L’analisi dei principali settori produttivi indica che i fattori legati all’agricoltura incidono per il 70 percento negli scenari di perdita di biodiversità terrestre. Affrontare le tendenze e gli scenari nei sistemi alimentari globali è quindi cruciale nel determinare se i piani strategici per la biodiversità 2011-2020 e post 2020 potranno avere successo. Le soluzioni per raggiungere sistemi agro-alimentari sostenibili includono aumenti «sostenibili» di produttività, attraverso il «restauro» dei servizi ecosistemici nelle aree agricole, la riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari e il cambiamento dei nostri modelli di acquisto e consumo di cibo, fibre, cosmetici e altri prodotti non alimentari di origine agricola.

L’Ispra, che partecipa con tre rappresentanti alle attività dell’Osservatorio Nazionale sulla Biodiversità e ne assicura la Segreteria, ha in particolare curato la messa a punto di una serie preliminare di indicatori della Strategia nazionale per la biodiversità, che il Comitato paritetico per la biodiversità ha approvato nel 2013 e che è costituito, nella sua prima fase, da 13 indicatori di stato e 30 indicatori di valutazione.

(Fonte Ispra)

La situazione italiana

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Anche la ricchezza della biodiversità italiana è seriamente minacciata e rischia di essere irrimediabilmente perduta, a causa della distruzione degli habitat e della loro frammentazione e degrado, l’invasione di specie aliene invasive, le attività agricole, gli incendi, il bracconaggio, i cambiamenti climatici. Dai dati dell’Annuario dei dati ambientali ISPRA emerge che (per quanto riguarda il grado di minaccia delle 672 specie di Vertebrati valutate nella recente «Lista Rossa Iucn dei vertebrati italiani», 576 terrestri e 96 marine) 6 sono estinte nel territorio nazionale in tempi recenti: due pesci, lo storione comune e quello ladano; tre uccelli: la gru, la quaglia tridattila, il gobbo rugginoso; e un mammifero, il pipistrello rinolofo di Blasius.

Le specie minacciate di estinzione sono 161 (138 terrestri e 23 marine), pari al 28% delle specie valutate. Considerando che per il 12% delle specie i dati disponibili non sono sufficienti a valutare il rischio di estinzione e assumendo che il 28% di queste sia minacciato, si stima che complessivamente circa il 31% dei Vertebrati italiani sia minacciato. Il 50% circa delle specie di Vertebrati italiani non è a rischio di estinzione imminente.

(Fonte Ispra)

Caccia e commercio illegale

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Un’indagine condotta in 16 Paesi, dall’America meridionale all’Indonesia, afferma che il 25% delle 625 specie di primati oggi conosciute è in pericolo di estinzione, soprattutto a causa della caccia e del commercio illegale. Centinaia di leopardi delle nevi vengono uccisi ogni anno nelle montagne dell’Asia centrale, minacciando questo solitario e inafferrabile felino, di cui sono rimasti circa 5mila esemplari.

Il bucero dall’elmo, un corpo di oltre un metro e apertura alare di oltre due metri, che si trova principalmente in Indonesia, Borneo e Thailandia, ha un solido becco rosso che è venduto come «avorio rosso» sul mercato nero, a prezzi molte volte maggiore dell’avorio di elefante.

Dal 2011 il bracconaggio del bucero è cresciuto nutrire la domanda cinese per l’avorio da intaglio, anche se il commercio è illegale, fino a farlo diventare una specie a rischio di estinzione. Intanto la caccia, nonostante i divieti imposti da leggi nazionali e internazionali, continua ad essere una grave minaccia per centinaia di specie di mammiferi (dagli scimpanzé agli ippopotami ai pipistrelli) la cui carne entra nel menu di consumatori locali e turisti senza scrupolo.

La situazione non è migliore (e forse anche meno conosciuta) per i pesci, la cui principale minaccia è la cattura eccessiva causata dalla pesca industriale.

(Fonte Ispra)

Caratteristiche tecniche di BoxXland

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La struttura portante interna è costituita da profilati in acciaio zincato mentre il tamponamento interno è realizzato con pannelli sandwich termoisolanti.

All’interno del container sono posizionati n. 2 rack di coltivazione, ovvero 2 linee per la produzione fuori suolo su 4 piani sovrapposti (16 bancali) per un totale di 62,40 m2 di area coltivabile.
Alla base di ogni rack è installato un serbatoio che serve come buffer idrico per i cicli di irrigazione di ogni colonna di coltivazione e da intermediario all’impianto di fertirrigazione.
La coltivazione della Vertical Farm è completamente gestita, a livello di luce, da un impianto di illuminazione artificiale integrale con lampade a Led che vengono fissate sotto ogni bancale.
L’impianto di climatizzazione è composto da pompe di circolazione, valvole miscelatrici ed aerotermi dimensionati per ottimizzare temperatura, umidità e concentrazione di CO2 all’interno della Vertical farm per tutto il ciclo di coltivazione, per 365 giorni l’anno, in un ambiente isolato, coibentato, attraverso forzatura e raffrescamento dell’aria.
L’impianto di fertirrigazione, completamente computerizzato, provvede a controllare e integrare le soluzioni da mandare in circolo ad ogni ciclo nutritivo.
Il costo del container da 40” è di 95.000 € +Iva.

Greenpeace: la vera sfida è un’agricoltura resiliente ai cambiamenti climatici

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Commentando lo studio scientifico sul mais Ogm reso noto oggi, Greenpeace sottolinea come le colture Ogm, considerate una panacea per la produzione di cibo, costituiscano in realtà un freno per l’innovazione ecologica in agricoltura. Sottopongono l’agricoltura al controllo e ai brevetti di poche aziende agrochimiche e a rischi imprevedibili, a danno della biodiversità e del nostro made in Italy.

«La maggioranza delle colture Ogm ha come caratteristica principale la resistenza agli erbicidi o a determinati parassiti, ma la vera sfida per l’agricoltura del futuro è la capacità di adattarsi a un clima che cambia, svincolandosi dall’uso di sostanze pericolose», dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.

«Mentre mancano colture Ogm “resilienti” ai cambiamenti climatici, esistono tecniche di selezione molto più all’avanguardia ed efficaci come la Mas (Marker Assisted Selection, Selezione Assistita da Marcatori), che sfrutta la conoscenza del Dna per identificare le caratteristiche migliori delle diverse varietà, per effettuare gli incroci più convenienti, senza le problematiche degli Ogm. La Mas sta già avendo brillanti risultati come varietà di frumento resistenti alla siccità e varietà di riso resistenti alle inondazioni, già coltivate dagli agricoltori», prosegue Ferrario.

Bisogna investire fondi (pubblici e privati) per una ricerca che serva a sviluppare pratiche e soluzioni sostenibili e l’agroecologia sta già dimostrando il suo potenziale, come riconosciuto anche dai 400 scienziati di fama mondiale, membri dell’International Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for Development (IAASTD), finanziata dall’Onu.

La protezione delle colture deve avvenire con un approccio a più livelli: aumentando l’eterogeneità e la diversità dei paesaggi agricoli, tutelando gli habitat degli impollinatori e favorendo i naturali meccanismi di lotta biologica agli infestanti.

Etnean and Hyblean volcanism shifted away from the Malta Escarpment by crustal stresses

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Neri M., Rivalta E., Maccaferri F., Acocella V., Cirrincione R. (2018), Etnean and Hyblean
volcanism shifted away from the Malta Escarpment by crustal stresses. Earth and Planetary
Science Letters Volume 486, Pages 15–22

A fraction of the volcanic activity occurs intraplate, challenging our models of melting and magma transfer to the Earth’s surface. A prominent example is Mt. Etna, eastern Sicily, offset from the asthenospheric tear below the Malta Escarpment proposed as its melt source. The nearby Hyblean volcanism, to the south, and the overall northward migration of the eastern Sicilian volcanism are also unexplained. Here we simulate crustal magma pathways beneath eastern Sicily, accounting for regional stresses and decompression due to the increase in the depth of the Malta Escarpment. We find non-vertical magma pathways, with the competition of tectonic and loading stresses controlling the trajectories’ curvature and its change in time, causing the observed migration of volcanism. This suggests that the Hyblean and Etnean volcanism have been fed laterally from a melt pooling region below the Malta Escarpment. The case of eastern Sicily shows how the reconstruction of the evolution of magmatic provinces may require not only an assessment of the paleostresses, but also of the contribution of surface loads and their variations; at times, the latter may even prevail. Accounting for these competing stresses may help shed light on the distribution and wandering of intraplate volcanism.

Umbria – Parcheggio del centro commerciale «Il Deltaplano» a Castelluccio di Norcia

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La polemica del Comitato dei cittadini di Castelluccio di Norcia, con conseguente avvio della raccolta di firme a sostegno della richiesta di uscita dal territorio del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, nasce dal parere contrario dell’Ente Parco alla realizzazione di un parcheggio per auto e camper a servizio del «Deltaplano», la grande struttura alla base del paese di Castelluccio dove saranno delocalizzate tutte le attività commerciali del borgo lesionato dal terremoto.

Il progetto del «centro commerciale», contestato dalle Associazioni ambientaliste per il suo evidente impatto paesaggistico, è stato autorizzato dall’Ente Parco con alcune prescrizioni per la riduzione delle volumetrie e l’eliminazione del parcheggio annesso per auto e camper che avrebbe richiesto sbancamenti ad alto impatto ambientale.
Il parere favorevole al «Deltaplano» senza parcheggio è stato condiviso nel mese di settembre 2017 in una riunione convocata dal Commissario straordinario per il terremoto con la Protezione Civile, l’Ente Parco, i ministeri dell’Ambiente e dei Beni Culturali, la Regione Umbria, il Comune di Norcia, individuando anche una possibile alternativa al parcheggio con l’adeguamento delle strade che circondano il paese di Castelluccio, in particolare la cosiddetta «Strade delle Cavalle».
Una decisione non condivisa da una parte degli abitanti di Castelluccio che storicamente, ancora prima del terremoto, contestano la presenza del Parco e contrastano l’operato dell’Ente per perseguire un modello di sviluppo turistico per il territorio (Pian Grande e Pian Perduto) incompatibile con la salvaguardia del patrimonio naturale e paesaggistico dell’area naturale protetta.
Il Wwf Italia sottolinea che, prima dei tragici eventi del sisma 2016, era già accesa la polemica in merito alla fruizione della piana di Castelluccio, in particolare nel periodo delle fioriture, con la contestazione da parte delle maggiori Associazioni ambientaliste delle ordinanze straordinarie del Comune di Norcia che autorizzavano il parcheggio di migliaia di auto in un’area delimitata del Pian Grande.
Per la soluzione di questo problema Ente Parco e Comune di Norcia avevano condiviso un «Piano per la mobilità sostenibile di Castelluccio», inserito come parte integrante del Piano del Parco, ma mai attuato. Il Piano prevede la realizzazione di parcheggi al di fuori del Pian Grande con un servizio navetta per collegare il paese di Castelluccio.
La realizzazione del «Deltaplano» con annesso parcheggio, richiesto oggi a gran voce da chi persegue propri interessi particolari, cancellerebbe le previsioni del Piano per una autentica mobilità sostenibile, facendo prevalere un modello di sviluppo turistico per Castelluccio ispirato alla logica dei banali «centri commerciali» presenti nelle periferie delle nostre città, ma in questo caso inserito in un contesto ambientale e paesaggistico di elevato valore tutelato dal Parco.
Il Wwf Italia resta critico rispetto all’autorizzazione alla realizzazione del «Deltaplano» per il suo elevato impatto ambientale e paesaggistico, ma soprattutto perché il progetto approvato non garantisce il carattere provvisorio delle strutture, nonostante siano dichiarate come temporanee. Il Wwf Italia resta convinto che, una volta realizzate, le strutture resteranno per sempre a dominare il Pian Grande condizionando la fruizione turistica di questa area del Parco. La realizzazione del parcheggio richiesto da poche decine di operatori economici di Castelluccio è ancora di più insostenibile, non solo per l’elevato impatto ambientale della sua realizzazione con la previsione di ingenti sbancamenti e movimenti terra, ma perché allontanerebbe ogni reale prospettiva di provvisorietà delle strutture del «Deltaplano» e la realizzazione di possibili alternative realmente sostenibili per la fruizione e la mobilità dell’area di Castelluccio, nel cuore del Parco nazionale dei Monti Sibillini.

Marche – Lago artificiale sul Monte Prata a 1.700 metri di altitudine in un habitat prioritario per l’Europa

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Nel versante marchigiano del Parco nazionale dei Monti Sibillini, nell’area del Monte Prata, nel territorio del Comune di Castelsantangelo sul Nera, in provincia di Macerata, è stato proposto un progetto per un lago artificiale per l’innevamento artificiale, la gestione dei pascoli e per spegnere gli incendi boschivi. Il progetto prevede di costruire a 1.732 metri di altitudine un bacino artificiale che può contenere circa 12mila metri cubi di acqua utilizzando le risorse idriche di una sorgente ed una condotta in parte già esistente, con una spesa stimata di oltre un milione di euro.

Il progetto è stato proposto e promosso dalla Cia Marche e Copagri Marche, con il sostegno del Comune di Castelsantangelo sul Nera e un team di liberi professionisti locali composto da architetti, geometri ed un geologo. La sua realizzazione sarebbe giustificata dopo il terremoto per dare un aiuto alla popolazione, al settore turistico ed tutti gli allevatori del territorio.
Il lago artificiale, secondo i proponenti e progettisti, dovrebbe risolvere il problema della mancanza di acqua per i pascoli, servire per spegnere gli incendi ed aiutare a prolungare la stagione invernale grazie alla realizzazione di un impianto di innevamento artificiale per le piste da sci e di conseguenza rilanciare il settore turistico che gravita intorno alla stazione sciistica di Monte Prata.
Tutte le opere sarebbero ovviamente a basso impatto ambientale, parere non condiviso però dall’Ente Parco che in occasione di alcuni incontri con i soggetti proponenti ha già annunciato il suo parere contrario e l’assenza dei necessari requisiti di compatibilità con le misure di salvaguardia di un ecosistema classificato come prioritario dalla Direttiva «Habitat» dell’Unione Europea.

Il Wwf Italia condivide il parere contrario al progetto espresso dall’Ente Parco, ritenendo l’opera non solo dannosa per l’ambiente ma inutile rispetto alle finalità dichiarate. Oltre all’impatto ambientale insostenibile determinato da sbancamenti, necessità d’impermeabilizzazione di un terreno calcareo altamente permeabile e la distruzione di un’ampia superficie di un habitat la cui conservazione è ritenuta prioritaria ed è oggi garantita da rigorose misure di conservazione del sito Natura 2000, il progetto è inutile per le sue dichiarate finalità.
Il rilancio del settore turistico invernale attraverso la realizzazione di un impianto d’innevamento artificiale per la stazione sciistica del Monte Prata non considera gli effetti del cambiamento climatico in atto ed il conseguente innalzamento altitudinale dello zero termico che non consente la permanenza della neve artificiale sul terreno. L’esperienza fallimentare degli impianti d’innevamento artificiale in altre aree dei Monti Sibillini e la crisi generale del turismo invernale basato sulle stazioni sciistiche continua ad essere ignorato, perseguendo modelli di sviluppo ormai anacronistici ed insostenibili a causa dei cambiamenti climatici in atto.
La gestione degli incendi boschivi nell’area del Parco non richiede ulteriori bacini artificiali, per eventuali interventi dei mezzi aerei, perché la presenza di grandi bacini artificiali come il Lago di Fiastra a nord e il Lago di Gerosa a sud del Parco garantisce già oggi la disponibilità di volumi d’acqua sufficienti per contrastare eventuali incendi boschivi nel territorio del Parco Nazionale.
Infine la disponibilità di acqua per l’allevamento estensivo nell’area del Parco, caratterizzato da un numero ridotto di animali al pascolo, non necessita di un bacino artificiale delle dimensioni previste dal progetto ma può essere garantita attraverso una diversa gestione dei pascoli d’altitudine ed una adeguata gestione delle sorgenti, con la creazione di nuovi punti di abbeveramento e la manutenzione di quelli già esistenti.
Anche in questo caso è evidente la strumentalizzazione del terremoto per proporre un progetto che sottintende un modello di sviluppo non compatibile con la salvaguardia del patrimonio naturale del Parco Nazionale. Questo progetto insostenibile per il suo evidente impatto ambientale, proposto da due autorevoli Associazioni agricole, rafforza la convinzione del Wwf Italia sullo scampato pericolo dell’approvazione della riforma della Legge quadro sulle aree naturali protette (Legge 394/91) che prevedeva la presenza di un rappresentante delle Associazioni agricole nel Consiglio Direttivo dei Parchi Nazionali.
Considerata l’azione avviata negli ultimi mesi da Cia Marche e Copagri Marche per delegittimare l’operato dell’Ente Parco e contrastare il suo parere negativo al progetto, con una campagna stampa e azioni di lobby sulla Regione Marche e il ministero dell’Ambiente per condizionare il nulla osta dell’Ente Parco, non è difficile immaginare quali pressioni avrebbero esercitato le stesse Associazioni con un proprio rappresentante nell’organo di governo del Parco Nazionale.
Il Wwf Italia garantisce, in ogni caso, il suo supporto all’operato dell’Ente Parco per contrastare questo ennesimo attacco al patrimonio naturale dell’area protetta, ed è pronto ad ogni azione legale e al coinvolgimento dell’Unione europea per assicurare il rigoroso rispetto delle misure di conservazione della biodiversità nell’area del Monte Prata.