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Come si respira ad Arezzo

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Come si respira ad Arezzo

La diagnosi dell’Arpat relativa alla qualità dell’aria ad Arezzo per l’anno 2008 mette in evidenza una situazione con luci ed ombre poiché se da un lato si assiste ad una riduzione del numero di superamenti del materiale particolato PM10 e dei livelli annuali di benzene, nelle zone urbane interessate da elevati flussi veicolari, persiste ancora un elevato rischio di superare i valori limite dei livelli di concentrazione di biossido di azoto, che saranno in vigore nel 2010.
La tendenza per il biossido di azoto è sfavorevole in quanto negli ultimi quattro anni l’indicatore annuale di questo parametro presenta mediamente un incremento dei livelli di concentrazione.
L’Arpat è giunta a questa conclusione sulla base dei risultati ottenuti dalle rilevazioni fornite dalle tre stazioni di misura situate nella città di Arezzo in: piazza della Repubblica (stazione da traffico), via Fiorentina (stazione da traffico) ed Acropoli (stazione di fondo urbano).
Le stazioni hanno fornito nel 2008 ottimi rendimenti annuali, oscillando tra il 96 % ed il 100 % (la legge li fissa al 90%). I risultati sono pertanto attendibili e affidabili sia per l’aspetto quantitativo (efficienza annuale), sia per l’aspetto rappresentativo del contesto rilevato (distribuzione omogenea dei dati validi in tutto l’anno).
Entro l’anno 2009, la rete di monitoraggio di Arezzo sarà rimodernata con la sostituzione dell’analizzatore di PM10 installato in P.zza della Repubblica con un nuovo strumento bicanale che effettua la misura sia del PM10 (frazione inalabile), sia del materiale particolato PM2,5 (frazione respirabile), mediante un principio di misura conforme a quello di riferimento definito dall’attuale normativa vigente.
Nelle suddette stazioni di monitoraggio il monossido di carbonio è a livelli significativamente inferiori al valore limite.
Per l’indicatore della media annuale di biossido di azoto, il valore limite di 40 µg/m3, che entrerà in vigore nel 2010, è già rispettato nelle stazioni di Acropoli (24 µg/m3) e di via Fiorentina (37 µg/m3), mentre una situazione di difformità è stata riscontrata in piazza della Repubblica.
È in corso un’evoluzione della normativa che disciplina la qualità dell’aria con la Direttiva 2008/50/CE sul riordino in materia di qualità dell’aria, che relativamente al PM10 supera la fase 2 prevista dal DM 60/02 ed introduce nell’allegato XIV, nuovi valori obiettivo e valori limite per il PM2,5 (valore limite media annuale a regime il 1° gennaio 2015 = 25 µg/m3). La Direttiva in oggetto, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il giorno 11 giugno 2008, non è stata ancora recepita dallo Stato italiano. Il PM10

Per l’indicatore relativo alla media annuale di PM10, in relazione ai valori limite definiti dalla fase 1 della legislazione italiana (per effetto della Direttiva 2008/50/CE),


i valori sono inferiori al valore limite annuale (40 µg/m3). L’altro indicatore del PM10 riguardante il numero di giorni in cui si verifica il superamento del valore limite della media giornaliera (50 µg/m3), registra nell’anno 2008 un calo rispetto all’anno precedente.
Nella stazione di P.zza Repubblica (superamenti VL della media giornaliera: 17 giorni nell’anno 2008, 23 nell’anno 2007 e 20 nel 2006); nella stazione in Via Fiorentina (superamenti VL della media giornaliera: 44 giorni nell’anno 2008, 55 nell’anno 2007 e 44 nel 2006). Rispetto al numero di superamenti all’anno consentiti dalla normativa (35/anno), la stazione di P.zza della Repubblica (17 superamenti) è conforme mentre quella di Via Fiorentina è difforme in quanto registra 44 casi distribuiti nei mesi di gennaio, febbraio, novembre e dicembre 2008. Il benzene

Per quanto riguarda il benzene, rilevato mediante campagne di misura discontinue con l’impiego di campionatori passivi, il valore più elevato per l’indicatore della media annuale è registrato dalla stazione di monitoraggio in Piazza della Repubblica il quale si assesta su livelli inferiori al 24 % del valore limite di 5 µg/m3 che entrerà in vigore nel 2010; nelle restanti stazioni si registrano valori significativamente inferiori.
Gli andamenti annuali dell’ultimo triennio di questo agente inquinante forniscono evoluzioni in decrescita, che in relazione all’anno precedente si realizza con diminuzioni in alcuni casi significative fino al 37 % (stazione di fondo di Acropoli).
La stazione rurale di fondo di Casa Stabbi, ubicata nell’alpe di Catenaia nel Comune di Chitignano, è finalizzata a monitorare i livelli di fondo regionali nel quale le attività antropiche hanno influenze trascurabili sulla matrice ambientale aria. I livelli di concentrazione degli ossidi di azoto totali, del biossido di azoto, e del PM10 sono significativamente inferiori ai valori limite.

Le zone sotto indagine

Nell’anno 2008, si sono concluse le campagne di rilevamento effettuate con l’autolaboratorio in dotazione al Dipartimento Arpat di Arezzo nei comuni di:
Laterina: postazione di P.zza Grèasque (zona Porta Rossa) – Valutazione della qualità dell’aria della zona urbana limitrofa alla zona industriale di Laterina, dal quale sono state effettuate segnalazioni in merito situazioni problematiche connesse ad episodi acuti di inquinamento atmosferico.
La prevalenza degli inquinanti è inferiore ai rispettivi valori limite. Il PM10 registra dati simili a quelli dell’area urbana di Arezzo.
Castiglion Fiorentino: postazione di Corso Italia – Valutazione della qualità dell’aria nel centro storico soggetto a Ztl.
La prevalenza degli inquinanti è inferiore ai rispettivi valori limite. Il PM10 registra dati peggiori a quelli dell’area urbana di Arezzo.
Cortona: postazioni della Fratta (presso ospedale S. Margherita e di Camucia P.zza Sergardi) – Analisi dell’evoluzione dei livelli degli agenti inquinanti in relazione alla precedente campagna effettuata nel periodo 2004-2005, in particolare per la postazione della Fratta, valutazione dei livelli relativi alle situazioni ante e post operam, per osservare l’eventuale contributo del traffico veicolare afferente al nuovo plesso Ospedaliero «Santa Margherita» costruito recentemente presso l’abitato della Fratta.
La prevalenza degli inquinanti è inferiore ai rispettivi valori limite. Il PM10 registra dati, in un caso equivalenti (Fratta), e nell’altro peggiori (Camucia) a quelli dell’area urbana di Arezzo. L’attivazione della nuova struttura ospedaliera, in relazione ai dati registrati nelle campagne di monitoraggio ante e post operam, non ha prodotto in questa prima fase variazione sostanziali. Rispetto alle misure del periodo 2004-2005, la postazione di Camucia presenta un peggioramento per il biossido di azoto ed il materiale particolato PM10.
Per quanto riguarda il benzene, è stata effettuata una campagna di monitoraggio del territorio provinciale mediante campionatori passivi nei territori dei Comuni di Bibbiena (SR71), Cortona (Camucia ? Via Regina Elena, incrocio SR71), Montevarchi (Via del Tiglio, incrocio Ipercoop), e Sansepolcro (SP 43).
Tutte le postazioni di misura registrano valori inferiori al valore limite di 5 µg/m3 che entrerà in vigore nel 2010. Le postazioni di Bibbiena e Camucia presentano i valori più elevati dell’indicatore delle altre postazioni valutate.
Il monitoraggio del PM2,5 (frazione respirabile delle polveri) è stato effettuato mediante campagne di misura con l’autolaboratorio nelle postazioni di Via Fiorentina (postazione adiacente alla stazione di misura fissa) e di San Zeno (zona Industriale strada A) ed ha fornito valori medi di tutto il periodo di osservazione (39 giorni Via Fiorentina, 87 giorni San Zeno) pari a 23 µg/m3 in Via Fiorentina e 16 µg/m3 a San Zeno. Questi valori, puramente indicativi per la limitata copertura temporale del monitoraggio, sono inferiori al valore limite fissato dalla Direttiva 2008/50/CE pari a 25 µg/m3 che sarà in vigore nell’anno 2015.

(Fonte Arpat)

(13 Maggio 2009)

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Particolato

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  1. Che cos’è il particolato atmosferico
  2. Da cosa è prodotto
  3. Come è composto l’aerosol
  4. Gli effetti degli aerosol
IL PARTICOLATO ATMOSFERICO
Si definisce inquinante atmosferico qualunque sostanza, di origine antropica o naturale, presente in atmosfera in concentrazioni tali da avere effetti negativi sull?uomo, le cose o l?ambiente. Gli inquinanti atmosferici possono essere solidi, liquidi o gassosi e comprendono il cosiddetto particolato. Per particolato atmosferico1 (Particulate Matter, PM) si intende un insieme di particelle che hanno caratteristiche fisiche e chimico-fisiche (dimensione, forma, composizione, densità, stato fisico) tali da consentire la loro sospensione in atmosfera per lunghi periodi (ore, giorni o anni) e che conservano le proprie caratteristiche per tempi tali da permettere la partecipazione a processi fisici e/o chimici come entità a sé stanti.

Questa definizione comprende un insieme eterogeneo di particelle, con caratteristiche generalmente molto diverse da particella a particella, la cui composizione può essere differente a seconda dell?ambiente di provenienza (es. città o campagna), del periodo dell?anno (mesi caldi o mesi freddi), delle fonti (traffico autoveicolare, riscaldamento, emissioni industriali o agricole, particelle di suolo erose e trasportate dal vento) e può cambiare nel tempo. Da ciò si deduce che, tra i componenti dell?atmosfera, il particolato è unico nella sua complessità.

Presente anche nell’alta atmosfera

Il particolato è molto concentrato nella bassa atmosfera vicino alla sua sorgente primaria, la superficie terrestre. Tuttavia, neanche l?alta atmosfera è libera da queste particelle, poiché le correnti d?aria ascendenti possono trasportarle fino a grandi altezze. Da un punto di vista meteorologico, queste minuscole particelle possono essere importanti. Infatti, molte agiscono come superficie sulla quale il vapor d?acqua può condensare, un passaggio importante per la formazione di nubi e nebbia. Inoltre, possono assorbire o riflettere la radiazione solare; così, quando avviene un episodio di intenso inquinamento dell?aria o quando le ceneri di un?eruzione vulcanica riempiono il cielo, la quantità di raggi solari che raggiunge la superficie terrestre può venire notevolmente ridotta. La classificazione dimensionale del particolato atmosferico fa riferimento ad un parametro, detto diametro aerodinamico equivalente (dae), definito come il diametro di una particella sferica avente densità unitaria (1 g cm?3) e un comportamento aerodinamico uguale (ad esempio stessa velocità di sedimentazione) a quello della particella considerata, nelle stesse condizioni di temperatura, pressione e umidità relativa. Il concetto di diametro aerodinamico equivalente è utile ai fini della classificazione del particolato in categorie. In tal senso si può ricorrere ai seguenti termini:

PTS (particelle totali sospese): sono le particelle di dimensioni tali da restare in sospensione per un tempo sufficiente ad essere campionate con un sistema di campionamento rispondente a specifiche caratteristiche geometriche in relazione a determinati flussi di prelievo. In pratica sono le particelle con diametro aerodinamico inferiore a 100 µm.

PM10: è la frazione di particolato raccolta da un sistema di campionamento tale per cui le particelle con diametro aerodinamico uguale a 10 µm sono campionate con efficienza del 50%.

PM2,5: è la frazione di particolato raccolta da uno specifico sistema di campionamento tale per cui le particelle con diametro aerodinamico uguale a 2,5 µm sono campionate con efficienza del 50%.

È convenzione suddividere il particolato atmosferico in funzione del diametro aerodinamico nelle seguenti frazioni:

coarse (grossolana): diametro aerodinamico compreso tra 2,5 e 10 µm;

fine (sottile): diametro aerodinamico inferiore a 2,5 µm;

superfine (ultra-sottile): diametro aerodinamico inferiore a 0,1 µm.

Le particelle fini con dae < 1 µm hanno una concentrazione in atmosfera compresa tra 10 e 10.000 pp cm?3 (pp = particelle), mentre quelle che superano 1 µm di diametro hanno un concentrazione minore di 10 pp cm?3. Le particelle con dae < 2,5 µm rappresentano numericamente oltre il 95% delle particelle totali. Le particelle di dimensioni maggiori (in particolare con dae tra 5 e 50 µm), essendo più pesanti, spiegano la maggior parte della massa del particolato in ambiente urbano. Ad esempio, a Milano il rapporto tra PM2,5 e PM10 è in media 60% e nel 2005 è salito a circa 80%.

1. Spesso il termine particolato è usato come sinonimo di aerosol; gli aerosol sono una sospensione di materiale solido o liquido (con bassa velocità di deposizione) in un mezzo gassoso (nel nostro caso l?aria). In questo contesto, la differenza tra i due termini riguarda l?acqua, che non viene considerata quando si parla di particolato.

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DA COSA È PRODOTTO
Il particolato (così come gli inquinanti in genere) può essere distinto in due categorie: primaria e secondaria. Il particolato primario è emesso in atmosfera direttamente nella sua forma finale da sorgenti identificabili. Esso sarà dunque molto concentrato nell?aria immediatamente circostante il suo punto di emissione. Al contrario, il particolato secondario è prodotto in atmosfera in seguito a reazioni chimiche tra inquinanti primari. Le sorgenti di aerosol in atmosfera sono comunemente riunite sotto due grandi gruppi:
Sorgenti naturali, sono ad esempio particelle di suolo erose e sollevate o risospese dal vento, spray marini, ceneri vulcaniche, materiale organico derivante da incendi di foreste, pollini, spore, etc;
sorgenti antropiche, sono legate principalmente all?uso di combustibili fossili (produzione di energia, riscaldamento, mezzi di trasporto, etc.), ad attività industriali (raffinerie, processi chimici, operazioni minerarie, etc.) e allo smaltimento di rifiuti (inceneritori).

Si ritiene che le particelle grossolane siano introdotte nell?ambiente soprattutto a causa di fenomeni naturali, mentre quelle più fini derivino per lo più dalle attività antropiche. A livello globale, le masse di particolato prodotte per cause naturali sono preponderanti rispetto a quelle prodotte dalle attività umane. Tuttavia le sorgenti antropiche sono in grado di immettere in atmosfera una maggior quantità di particelle contenenti sostanze tossicologicamente rilevanti per la salute e per l?ambiente. Un?altra caratteristica tipica delle sorgenti antropiche è la tendenza alla concentrazione spaziale, che rende alcune zone maggiormente a rischio rispetto ad altre; ne sono un tipico esempio i centri urbani e industriali.

Molti studi provano infatti che la concentrazione tipica di particelle antropogeniche presente in un?atmosfera urbana può rappresentare un serio rischio per la salute dell?uomo (Sesana et al.; Raes et al., 1999). Alla luce di queste evidenze assumono rilevanza considerevole il monitoraggio e la caratterizzazione di tali zone e la quantificazione del contributo dato da ciascuna sorgente, al fine di individuare provvedimenti specifici di controllo e mitigazione o di politica ambientale per uno sviluppo sostenibile.
Una volta che le particelle di aerosol hanno raggiunto l?atmosfera vanno incontro ad un?evoluzione a opera di diversi meccanismi, quali condensazione, evaporazione, coagulazione e attivazione; inoltre, le specie chimiche che compongono gli aerosol possono essere coinvolte in vari tipi di reazioni chimiche. Alla fine, le particelle di aerosol potranno essere definitivamente rimosse per deposizione secca o umida.
La condensazione è un processo in cui composti chimici semivolatili passano dallo stato gassoso ad uno (liquido o solido) a maggiore densità; ciò avviene quando l?equilibrio termodinamico della specie chimica tra fase gassosa e fase particolata si sposta verso quest?ultima, a causa della variazione delle condizioni esterne. Il processo inverso alla condensazione è l?evaporazione. Le principali specie gassose inorganiche che sono coinvolte sia nei processi di formazione che di crescita delle particelle di aerosol per condensazione sono NH3, HNO3, H2SO4 e HCl.
La coagulazione si verifica per collisione tra due particelle che si muovono per agitazione termica, con formazione di particelle di maggiori dimensioni; in seguito a ciò si ha globalmente una perdita del numero di particelle, anche se la concentrazione in massa dell?aerosol atmosferico rimane invariata.
L?attivazione delle particelle di aerosol a formare goccioline d?acqua (di nebbia o di nubi) si ha quando, in condizioni di sovrasaturazione del vapor acqueo (RH > 100%), le particelle crescono rapidamente per condensazione su di esse del vapor acqueo. Oltre al vapor acqueo, alcuni gas solubili (es. HNO3) possono condensare durante il processo di attivazione, aumentando il contenuto di soluti in fase acquosa e diminuendo il valore critico di sovrasaturazione.
L?aerosol viene rimosso dall?atmosfera per deposizione secca o umida. La deposizione secca è il trasferimento diretto alla superficie terrestre e procede senza l?intervento delle precipitazioni.
La deposizione umida, al contrario, comprende tutti i processi che comportano il trasferimento alla superficie terrestre in forma acquosa (come pioggia, neve o nebbia).

È importante notare che sebbene un composto (gassoso o particolato) sia raccolto da una gocciolina d?acqua, non sarà tuttavia rimosso dall?aria se la gocciolina evapora piuttosto che precipitare al suolo. La deposizione secca è il meccanismo predominante di rimozione delle particelle che si trovano vicino al suolo, mentre ad altezze superiori a 100 m prevale lo scavenging operato dalle precipitazioni. Le particelle più grosse (dae > 1 µm) subiscono più frequentemente sedimentazione, mentre le particelle con dae < 1 µm sono rimosse più facilmente per diffusione verso la superficie terrestre, principalmente attraverso un processo di deposizione umida in seguito ad attivazione nelle nuvole e successiva precipitazione.

A differenza dell’aerosol, un composto può essere eliminato dall’atmosfera mediante i processi di deposizione appena descritti, oppure in seguito a reazioni chimiche. In particolare, tra i numerosi fenomeni fisico-chimici un ruolo predominante è rivestito dai processi fotochimici, che in determinate circostanze possono portare alla formazione del cosiddetto smog fotochimico, caratterizzato dall’elevata produzione di inquinanti secondari come O3, HNO3, composti organici derivati (es. PAN), composti in fase particolata (es. nitrati, solfati). Le reazioni fotochimiche innescate dalla luce danno origine ad una molteplicità di sostanze organiche; molte di queste vengono successivamente adsorbite sulla superficie dell’aerosol, influenzando quindi le caratteristiche chimico-fisiche del particolato stesso. La conoscenza della composizione chimica del particolato atmosferico è importante al fine di identificare le diverse fonti che hanno contribuito alla sua formazione e di comprendere i suoi possibili effetti sull?ambiente e sulla salute umana. Diversi studi sulla composizione chimica delle particelle hanno evidenziato una differenza generale tra particelle grossolane (dae > 2,5 µm) e fini (dae < 2,5 µm).

Esempio di composizione chimica media del PM10 e del PM2,5 a Milano (Liverta, 2002).

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COME È COMPOSTO L’AEROSOL
Le particelle di aerosol atmosferico contengono solfati, nitrati, ammonio, materiali organici, specie crostali, sale marino, ioni idrogeno e acqua. Di queste specie, il solfato, l’ammonio, il carbonio organico e alcuni metalli di transizione predominano nelle particelle fini (vedi figura), che sono legate principalmente a fonti secondarie (reazioni chimiche che convertono i vapori e i gas atmosferici in fase condensata liquida e/o solida). Tuttavia, nella frazione fine esistono anche composti di origine primaria, come il carbonio elementare, alcuni metalli e gli IPA. L’emissione primaria da combustione ad esempio crea particelle che in origine sono submicrometriche. Al contrario, i materiali crostali (Si, Ca, Mg, Al, Fe,…) e le particelle organiche biogeniche (polline, spore, frammenti di piante) fanno parte solitamente della frazione grossolana, che deriva da fonti primarie, ovvero da emissione diretta in atmosfera.

Gli ioni inorganici solubili in acqua costituiscono uno dei maggiori componenti degli aerosol atmosferici. In questa occasione sono stati analizzati alcuni di questi:
anioni (fluoruro, cloruro, nitrato, fosfato e solfato);
cationi (sodio, ammonio, potassio, magnesio e calcio).
Cl?, NO3?, Na+, Mg2+ e Ca2+ predominano nel particolato grossolano. Invece, SO42+ e NH4+ si trovano preferibilmente nel particolato fine (Seinfeld e Pandis; Tørseth et al., 1999).

Ione solfato SO42+
Il principale composto dello zolfo presente in atmosfere contaminate è il biossido di zolfo SO2. Questo gas è emesso per la maggior parte (70% circa) dalle sorgenti antropiche costituite dalla combustione di carbone e petrolio contenti zolfo e dalle industrie. Meno del 10% deriva dalle eruzioni vulcaniche (Seinfeld e Pandis). Durante la combustione quasi tutto lo zolfo viene trasformato in SO2. L’SO2 deriva in misura minore anche da sorgenti naturali, come le emissioni vulcaniche e l?ossidazione atmosferica delle specie dello zolfo ridotte, quali solfuro d?idrogeno (legato ad emissioni biologiche e vulcaniche) e dimetilsolfuro (DMS), che rappresenta il maggiore contributo naturale al flusso globale di zolfo atmosferico. Il dimetilsolfuro è prodotto nelle acque oceaniche da organismi marini bentonici e planctonici e la sua ossidazione è la fonte principale di SO2 per l’atmosfera marina. Una volta che l’SO2 è stato emesso o si è formato nell?atmosfera, può essere convertito a solfato da reazioni in fase omogenea (gassosa) e da reazioni in fase eterogenea (acquosa o di aerosol).

In fase gassosa omogenea l’SO2 può ossidare ad acido solforico H2SO4; la via più importante è rappresentata dalla reazione con il radicale OH·(Kouimtzis, 1995):

SO2 + OH·+ M ? HOSO2 + M(2.1)
HOSO2 + O2 ? HO2 + SO3(2.2)

(M è una specie chimica neutra che agisce come catalizzatore, permettendo alla reazione di avvenire senza essere essa stessa consumata nel processo).
L’acido solforico che si forma passa rapidamente in fase liquida come SO42+, in quanto H2SO4 è altamente igroscopico e assorbe quantità significative d’acqua anche a bassi valori di umidità relativa, formando particelle costituite da soluzioni acquose di acido solforico. In presenza di inquinanti basici a contatto con le goccioline, come ossido di calcio o ammoniaca, l’acido solforico reagisce a formare i corrispondenti sali:
In condizioni di bassa umidità, l’acqua viene persa dalle goccioline e si forma un aerosol solido.
L’ossidazione di SO2 in fase eterogenea può avvenire per reazione su particelle solide costituite da composti organici del carbonio derivate da processi di combustione incompleta (fuliggine), soprattutto in atmosfere inquinate, dove tali particelle presentano elevati valori di concentrazione. Tuttavia si stima che più della metà del solfato atmosferico sia prodotto con reazioni in fase acquosa, mentre la restante parte sembra prodotta dall’ossidazione in fase gassosa di SO2 ad opera di OH.

A conferma dell’importanza delle reazioni in fase acquosa è stato riscontrato che significative quantità di solfato vengono prodotte in nubi e nebbie in ambienti differenti. Durante la formazione della nube, gli aerosol che fungono da nuclei di condensazione vengono attivati e crescono liberamente per diffusione del vapore su di essi. I gas solubili, come l?acido nitrico, l?ammoniaca e il diossido di zolfo, si disciolgono nelle goccioline.
L’acqua della nube serve dunque come sito su cui può avvenire una serie di reazioni in fase acquosa, la più importante delle quali è proprio la trasformazione di SO2 disciolto, S(IV), a solfato, S(VI). Il solfato formato non è volatile e rimane così in fase particolata. Durante l?eventuale evaporazione della nube, alcune specie che si erano dissolte nell’acqua della nube evaporano, mentre altre, come i solfati, rimangono in fase di aerosol. L’ammoniaca spesso accompagna il solfato formato in qualità di catione neutralizzante. Specie quali il nitrato o il cloruro eventualmente presenti nella particella originale possono essere rimpiazzate dal solfato prodotto, che le spinge a tornare in fase gassosa. Il risultato di questi processi in fase acquosa è solitamente una generale crescita della massa e della dimensione del particolato.
I dati disponibili suggeriscono che la reazione più importante durante il processo di formazione di aerosol nelle nubi è l’ossidazione di HSO3? a opera di H2O2. Questa reazione è particolarmente veloce e spesso limitata dalla disponibilità di perossido d’idrogeno. I processi che si realizzano all’interno delle nubi rappresentano la maggior sorgente della massa di solfato e aerosol su scala regionale e globale. È stato calcolato che alle medie latitudini oltre il 65% del solfato troposferico si forma nelle goccioline delle nubi in seguito a reazioni in fase acquosa.
Da molti studi è stato riscontrato che il solfato secondario presenta alte concentrazioni estive; ciò può essere dovuto alle condizioni meteorologiche estive, caratterizzate da temperatura e umidità alte.

Ione nitrato NO3?
Il meccanismo principale per la formazione di nitrato in fase particolata è la condensazione dell?acido nitrico. Questa è la principale reazione di formazione di acido nitrico in fase gassosa ed è importante soprattutto durante il giorno, quando si hanno le massime concentrazioni del radicale OH. La reazione di OH·con NO2 è circa 10 volte più veloce di quella con SO2 (Seinfeld e Pandis). Anche altre reazioni portano alla formazione di HNO3:

NO3 + RH·? HNO3 + R(2.10)
N2O5 + H2O ? 2 HNO3 (2.11)

Le reazioni con il radicale nitrato e l’anidride nitrica possono avvenire sia in fase gassosa sia in fase acquosa, grazie all’elevata solubilità dei due composti. La reazione che coinvolge il radicale nitrato, però, si realizza solo di notte, poiché durante il giorno NO3·fotolizza rapidamente. Normalmente, le reazioni più importanti per la produzione di nitrato sono quella tra NO2 e OH·in fase gassosa di giorno e quella di NO3·in fase eterogenea di notte. L?NO3 è convertito a nitrato anche dallo ione cloruro:

NO3·+ Cl? ? NO3?+ Cl·(aq)(2.12)

producendo il radicale cloro. In ambienti con basse concentrazioni di cloruri, NO3 reagisce con HSO3?:

NO3(aq) + HSO3? ? NO3? + H+ + SO3?(2.13)

formando il radicale solfito SO3? e il nitrato. L?acido nitrico (HNO3) formato dall’ossidazione di NO2 in fase gassosa è la principale sorgente di nitrato nelle precipitazioni. Infatti questo acido è molto solubile in acqua e tende quindi a dissolvere nella fase acquosa dell?atmosfera:

HNO3(g) ?? HNO3(aq)(2.14)

In seguito al processo di dissoluzione, HNO3 dissocia rapidamente a ione nitrato, NO3?:

HNO3(aq) ?? NO3? + H+(2.15)

Dato l?alto valore della costante di dissociazione dell?acido nitrico, la concentrazione di NO3? è maggiore di quella di HNO3(aq) in tutte le nubi atmosferiche e si può quindi assumere che l?acido nitrico esiste nelle nubi esclusivamente come nitrato.
Un ulteriore meccanismo per la formazione di acido nitrico in fase eterogenea è dato dalla reazione tra NO2(g) e H2O, catalizzata da superfici di diversa natura (la superficie delle particelle sospese o superfici di edifici etc.), durante la quale si forma anche acido nitroso:

2NO2 + H2O superficie ? HNO2 + HNO3(2.16)

Mentre l’acido nitrico così prodotto rimane in soluzione, l’acido nitroso (HNO2) sarà tendenzialmente rilasciato in fase gassosa, in funzione delle caratteristiche di adsorbimento della superficie e delle condizioni termodinamiche. I nitrati contribuiscono di più alla massa totale di particolato durante i mesi più freddi rispetto a quelli caldi, quando i tassi di ossidazione di SO2 sono ridotti in risposta alle minori concentrazioni di ossidanti come OH·
(Walker et al., 2004). D’estate si verifica anche più facilmente l?evaporazione del nitrato dal particolato sotto forma di NH4NO3.
Lo ione ammonio NH4+
L’ammoniaca (NH3) ha fonti sia naturali sia antropiche: oltre che nei processi di fissazione naturale ad opera dei microrganismi del suolo e di organismi marini, l’NH3 viene prodotta industrialmente ed utilizzata come fertilizzante in agricoltura, viene emessa dagli allevamenti di bestiame e, su scala locale urbana, con i gas di scarico delle automobili catalizzate (Delwiche, 1970). Globalmente, gli animali domestici sono la più importante sorgente di NH3 atmosferica, comprendendo circa il 40% delle emissioni, mentre i fertilizzanti sintetici e le coltivazioni agricole insieme contribuiscono per circa il 23% delle emissioni totali (Bouwman et al., 1997). L’accumulo di azoto reattivo, compresi NH3 e NH4+, nelle riserve ambientali può avere effetti sia benefici sia dannosi sulla biosfera. Infatti, in sistemi naturali nei quali l’azoto è il nutriente limitante, l’azoto reattivo derivante dall’atmosfera può avere effetti positivi sulla produttività, favorendo l’aumento della fotosintesi e l’accumulo di azoto inorganico nel suolo. Tuttavia, quando l’ingresso di azoto eccede le richieste del sistema possono verificarsi stress ambientali, quali l’acidificazione del suolo, il declino delle foreste e l’eutrofizzazione delle superfici d’acqua.
L’ammoniaca ha un ruolo importante nella chimica della troposfera, in quanto è il composto gassoso basico più abbondante e rappresenta il maggior agente neutralizzante nei confronti dei gas acidi. Inoltre presenta un’elevata solubilità in acqua e reagisce con la fase particolata: in tutte le tre fasi, l’ammoniaca risulta quindi il principale agente atmosferico neutralizzante.
Poiché l’NH3 è emessa alla superficie e poi reagisce (secondo le reazioni descritte in seguito), la sua concentrazione diminuisce con la quota. L’NH3 reagisce molto lentamente con il radicale OH:

NH3 + OH·? H2O + NH2(2.17)

Si considera quindi trascurabile la rimozione di NH3 per ossidazione in fase gassosa con OH (Kouimtzis e Samara, 1995). L’ammoniaca reagisce piuttosto con la fase liquida e come base con i gas acidi e le particelle acide di aerosol. L’NH3 presenta un?elevata solubilità in acqua e quando dissolve in soluzione acquosa va incontro ad una reazione acido-base. Per pH < 8 l’ammoniaca è presente nella fase liquida atmosferica completamente come ione ammonio. L’ammoniaca gassosa può subire deposizione umida e secca, oppure può reagire con gli acidi solforico (H2SO4), nitrico (HNO3) e cloridrico (HCl) gassosi per formare solfato di ammonio (NH4)2SO4, bisolfato d’ammonio (NH4HSO4), nitrato d?ammonio (NH4NO3) e cloruro d?ammonio (NH4Cl) in forma di aerosol, contribuendo così alla formazione di particolato inorganico.
Le reazioni possibili tra ammoniaca e acido solforico, oltre a quella già vista (2.4), sono le seguenti:

NH3(g) + H2SO4(g) ?
(NH4)HSO4(s)(2.18)
3NH3(g) + 2H2SO4(g) ?
(NH44)3H(SO4)2(s)(2.19)

In atmosfere molto acide (cioè con rapporto molare NH3/H2SO4 < 0,5) l’acido solforico esiste nella fase aerosol principalmente come H2SO4. Poi, all’aumentare dell’NH3, l’H2SO4 viene convertito ad HSO4(permettendo la formazione dei relativi sali), e infine, se c?è abbondanza di NH3, a SO42? (e relativi sali). Per atmosfere acide
(con rapporto molare NH3/H2SO4 tra 0,5 e 1,5) le particelle esistono principalmente come bisolfato. Se c’è sufficiente ammoniaca da neutralizzare l’acido solforico disponibile, la composizione principale della fase aerosol è (NH4)2SO4
(o una soluzione di NH4+ e SO42?). Per atmosfere acide tutta l’ammoniaca disponibile è presa dalla fase aerosol e solo per rapporti molari NH3/H2SO4 di circa 2 l’ammoniaca può esistere anche in fase gassosa.
Anche altre vie possono portare l?ammoniaca in fase particolata. Tra queste vi sono le reazioni dell?ammoniaca con HNO3 e HCl, che formano molecole condensabili
(NH4NO3 e NH4Cl); queste possono a loro volta dissociare stabilendo un equilibrio:

NH3(g) + HCl(g) ?? NH4Cl(s)(2.20)
NH3(g) + HNO3(g) ?? NH4NO3(2.21)

Il nitrato d’ammonio si forma in aree caratterizzate da alte concentrazioni di ammoniaca e acido nitrico e basse concentrazioni di solfato. La reazione di formazione del nitrato d’ammonio è una via di condensazione dell?acido nitrico, in quanto NH4NO3, in funzione dell’umidità relativa, può esistere in forma solida o in soluzione acquosa di NH4+ e NO3?. Anche la temperatura agisce a questo livello, poiché al suo diminuire si sposta l’equilibrio del sistema a favore di NH4NO3 in fase aerosol. Le concentrazioni che si raggiungono all’equilibrio dipendono sia dalla temperatura che dall’umidità relativa: il nitrato d’ammonio ha un’elevata volatilità e tenderà facilmente a dissociare in acido nitrico ed ammoniaca ad alte temperature e bassa umidità relativa.

Gli ioni cloruro Cl?e sodio Na+
Na+e Cl? nell?aerosol sono presenti in concentrazioni considerevoli in regioni vicine al mare. Il sodio e il cloro reagiscono con alcuni componenti dell’aerosol formando diversi prodotti solidi, inclusi il cloruro di ammonio, il nitrato di sodio, il solfato di sodio e il bisolfato di sodio, mentre HCl(g) è in genere rilasciato in fase gassosa. La presenza di NaCl nell’aerosol urbano può dare luogo a una serie di effetti interessanti, come la reazione di NaCl con HNO3:

NaCl(s) + HNO3(g) ?? NaNO3(s) + HCl(g)(2.22)

Come conseguenza di questa reazione il nitrato è trasferito in fase aerosol e aggiunto alla particella di sale marino, già di per sé piuttosto grande. Nello stesso tempo, l?acido cloridrico è rilasciato in aria, per cui le particelle di aerosol sembrano in deficit di cloruri. A questo deficit possono contribuire anche altre reazioni
(Seinfeld e Pandis):

2NaCl(s) + H2SO4(g) ?? Na2SO4(s) + 2HCl(g)(2.23)
NaCl(s) + H2SO4(g) ?? NaHSO4(s) + HCl(g)(2.24)

Gli altri cationi
I cationi basici come il calcio Ca2+, il potassio K+ e il magnesio Mg2+ sono importanti nutrienti per le piante; gli anioni a essi associati (principalmente ossidi, idrossidi, carbonati o silicati) possono ridurre l’acidità dell’aria e delle precipitazioni e aumentano la saturazione basica del suolo. Quindi, i cationi basici sono importanti nel determinare il carico critico2 di deposizione acida. I cationi basici derivano principalmente dall’erosione meccanica e dalla mobilizzazione operata dal vento di particelle di suolo, dalle eruzioni vulcaniche, dagli incendi forestali, dalle mobilizzazioni biologiche o dalla combustione dei carburanti, della legna o della torba e da processi industriali.
Le maggiori sorgenti antropiche primarie di polveri minerali sono la produzione di energia, le industrie di cemento, di ferro o altre. Di queste, l?industria del cemento è la maggiore sorgente di calcio (Semb et al., 1995). La combustione di biomassa è una delle principali sorgenti di magnesio e potassio, che in tal caso si ritrovano soprattutto nella frazione fine del particolato. Il magnesio, però deriva anche dal sale marino, così come il sodio. Poiché il particolato di origine marina appartiene alla frazione grossolana, quando Na+e Mg2+ derivano da questa sorgente vengono principalmente riscontrati associati a tale frazione. Anche Cl? può derivare dal sale marino, oppure è prodotto dall’HCl emesso dalla combustione di carbone, che reagisce con l’ammoniaca o le particelle fini di suolo dando appunto Cl?(Wang e Shooter, 2002). Esistono grandi variazioni regionali nell’intensità delle emissioni dei cationi basici; per quanto concerne il nostro continente, le emissioni sono particolarmente alte nell’Europa dell’est a causa della combustione del legno e di tecniche di depurazione dei fumi meno efficienti
(Tørseth et al., 1999). Di conseguenza, qui le precipitazioni possono essere alcaline nonostante le alte concentrazioni di diossido di zolfo e solfati in aria.

2Il carico critico è definito come una stima quantitativa dell’esposizione alla deposizione o alla concentrazione a uno o più inquinanti, al di sotto della quale non avvengono significativi effetti dannosi su specifici elementi sensibili dell’ambiente.

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GLI EFFETTI DEGLI AEROSOL
Gli aerosol influenzano molti processi atmosferici, inclusi la formazione delle nubi, la variazione della visibilità e il trasferimento della radiazione solare, e giocano un ruolo principale nell?acidificazione di nubi, pioggia e nebbia. Vediamo un po? più nel dettaglio alcuni degli effetti del particolato.

Sul clima e sul microclima

L?aerosol assorbe o riflette la radiazione solare in funzione della sua dimensione e composizione chimica e della lunghezza d?onda della radiazione. L’aerosol ha quindi un’influenza diretta sul bilancio radiativo terrestre, a cui è legato il clima, e l?effetto complessivo dipenderà dal quantitativo relativo di energia luminosa riflessa verso lo spazio (backscattering) rispetto a quella assorbita.
Le particelle di aerosol possono inoltre agire indirettamente a favore di un raffreddamento del pianeta quando agiscono come nuclei di condensazione per le nuvole (CCN), aumentando la probabilità di formazione delle nuvole. La riflessione della luce solare da parte delle nuvole, più efficiente di quella degli oceani e delle terre emerse, porta ad un raffreddamento radiativo della superficie della Terra. Le nuvole possono avere però anche un ruolo nei fenomeni d?assorbimento della radiazione infrarossa terrestre, contribuendo positivamente al riscaldamento della Terra.

Il particolato ha effetti anche sul microclima urbano. Infatti, nelle città l’inquinamento dell’aria contribuisce all’effetto «isola di calore» poiché inibisce la perdita di radiazioni a onde lunghe di notte. Oltre a questo, il particolato presente su città di grandi dimensioni può ridurre anche di più del 15% la quantità di radiazione solare che raggiunge la superficie. Questo effetto è più evidente quando il sole è basso sull’orizzonte, poiché il cammino percorso dalla luce attraverso l’aria inquinata aumenta al ridursi dell’altezza del sole. Quindi, a una data quantità di particolato, l’energia solare sarà ridotta in modo più intenso in città presenti ad alte latitudini e durante l’inverno. Rispetto alle aree rurali circostanti, l’umidità relativa nelle città è generalmente più bassa del 2-8%. Ciò è dovuto al fatto che le città sono più calde e che le acque meteoriche scorrono via rapidamente. Nonostante ciò, sulle città le nubi e la nebbia si formano frequentemente. Questo perché le attività umane nelle aree urbane producono grandi quantità di particelle che possono agire come nuclei di condensazione, favorendo appunto la formazione di nubi e nebbie. Infatti, quando i nuclei igroscopici sono molti il vapor d’acqua condensa rapidamente su di essi, in alcuni casi anche in situazioni di sottosaturazione. Come effetto si ha un aumento delle precipitazioni sulle città dovuto proprio al particolato (Lutgens e Tarbuck).

Sulla visibilità

La visibilità è definita come la più grande distanza, in una certa direzione, alla quale viene visto e identificato un oggetto scuro alla luce del giorno, o una fonte di luce non focalizzata nella notte (Kouimtzis e Samara, 1995). La riflessione della radiazione solare ad opera delle particelle di aerosol di dimensioni nell’ordine della lunghezza d’onda del visibile è il fenomeno principalmente responsabile della diminuzione della visibilità atmosferica.

Sugli ecosistemi e sulle superfici

L’aerosol, in seguito a deposizione secca o umida, può contribuire all’acidificazione (associata in particolare ad H2SO4 e HNO3) e all’eutrofizzazione (associata ai sali nitrati) dell’ambiente terrestre e acquatico. L’acidificazione dei suoli può portare al rilascio di elementi tossici come l’alluminio, comportando seri danni alle piante e alle varie forme di vita acquatica. Inoltre si hanno effetti diretti sulla vegetazione in relazione ad un’azione acida e ossidante delle particelle, che porta al danneggiamento dei tessuti vegetali.
Il clima e l’inquinamento atmosferico, interagendo tra loro, degradano il patrimonio artistico, architettonico ed archeologico. Un esempio ben noto è l’effetto di disgregazione dei materiali lapidei, in particolare quelli a componente calcarea, causati dall?acidità delle deposizioni umide (determinata dalle emissioni atmosferiche di biossido di zolfo ed ossidi di azoto, ma anche, in misura minore, dalla presenza di anidride carbonica disciolta). Anche il particolato atmosferico agisce sui materiali lapidei annerendoli. L’erosione dei materiali è dovuta principalmente a pioggia, deposizioni di zolfo, acido nitrico e apporto di acidità. Il più importante agente dell’annerimento, invece, è il particolato. È stato calcolato che l’annerimento pesa 2,5 volte di più dell’erosione sulla pericolosità atmosferica nei confronti del patrimonio culturale (Rapporto sullo Stato dell’Ambiente in Lombardia 2001).

Sulla salute umana

Il particolato atmosferico viene collocato tra i principali fattori di rischio ambientale per la salute. L’esposizione ad inquinamento atmosferico è particolare poiché è estesa a tutta la popolazione, è praticamente inevitabile (soprattutto per i cittadini di grandi aree urbane) e non è riducibile a zero. Le ricerche epidemiologiche sugli effetti del particolato atmosferico sulla salute sono relativamente recenti. La maggior parte degli studi sul particolato effettuati finora mostrano l’esistenza di associazioni statistico-epidemiologiche, ovvero una supposta consequenzialità causale tra l’aumento di inquinamento e l’aumento di patologie.

Le caratteristiche delle particelle che determinano gli effetti che esse avranno sulla salute umana sono il dae e la composizione chimica. Il dae determina la capacità della particella di penetrare e depositarsi all’interno dell’albero respiratorio. Il particolato atmosferico può essere classificato in funzione della sua capacità di penetrazione all’interno dell’apparato respiratorio umano, ottenendo in tal modo anche un’indicazione sul rischio per la salute umana.

In tal senso si distinguono tre frazioni:

frazione inalabile: include tutte le particelle che riescono a entrare dalle narici e dalla bocca;

frazione toracica: comprende le particelle che riescono a passare attraverso la laringe e ad entrare nei polmoni durante l’inalazione, raggiungendo la regione tracheo-bronchiale (inclusa la trachea e le vie cigliate);

frazione respirabile: include le particelle sufficientemente piccole da riuscire a raggiungere la regione alveolare, incluse le vie aeree non cigliate e i sacchi alveolari.

Il PM10 e il PM2,5 sono assimilabili rispettivamente alle frazioni toracica e respirabile.

La dimensione delle particelle risulta quindi importante per gli effetti tossici esercitati sull?organismo, poiché più le particelle penetrano in profondità e maggiore sarà l?effetto tossico esercitato da esse. Inoltre, le particelle ultrafini possono superare la barriera alveolare ed entrare nel circolo sanguigno, concorrendo ad aumentare la viscosità del plasma e favorendo l’insorgere di trombosi, che possono portare a infarti ed ischemie. Le particelle più piccole possiedono un’elevata superficie specifica sulla quale avvengono i processi di adsorbimento e condensazione e presentano un maggior contenuto di inquinanti. Queste, appartenendo alla frazione respirabile, giungono fino agli alveoli, dove si trovano in intimo contatto con il comparto ematico e trasportano così all’interno dell?organismo sostanze tossiche e spesso cancerogene adsorbite sulla loro superficie.
Per quanto riguarda la composizione chimica delle particelle, il rischio è associato in particolare al contenuto di metalli pesanti in tracce (Pb, Cd, As, Zn, Hg…) e di diversi cancerogeni, tra i quali gli IPA. Importante è anche l?acidità delle particelle. L?acidità dell?aerosol atmosferico è associata principalmente alla frazione fine (le particelle più grosse, essendo costituite essenzialmente da materiale crostale, sono alcaline), e dipende dal grado di neutralizzazione di composti acidi quali acido solforico e acido nitrico con ammoniaca. Mentre i gas acidi solubili in acqua (es. HNO3, SO2) vengono rimossi nel tratto respiratorio superiore, i composti acidi delle particelle respirabili giungono fin dentro i polmoni, ed è stato provato che sono responsabili dell’insorgenza di broncocostrizione in asmatici, danneggiamento dei polmoni e indebolimento del sistema immunitario (Kazuaki et al., 1998).

L’inquinamento atmosferico non dà origine a una malattia specifica, ma può contribuire ad una vasta gamma di processi multi-causali. È utile distinguere due tipologie di effetti dovuti a differenti modalità di esposizione agli agenti inquinanti, sebbene concretamente questi tendano a sovrapporsi.
Gli effetti acuti sono quegli effetti che si manifestano in un breve arco di tempo (entro giorni o settimane) a seguito di un’esposizione non prolungata (dell’ordine di giorni o settimane), ma intensa all’inquinamento atmosferico. In caso di aumento dell’inquinamento si verifica un brusco incremento di sintomi respiratori quali tosse, attacchi d’asma, polmonite, aggravamento di bronchiti croniche, disturbi respiratori, aritmia o infarto miocardio (N. Kunzli).
Una pubblicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO Air quality guidelines. World Health Organization, Geneva, 1999) riporta una relazione lineare tra livelli di PM10 medio giornaliero e aumento percentuale dei ricoveri ospedalieri: per ogni 10 µg m?3 di PM10 si stima un aumento percentuale di ricoveri dello 0,84%, concernenti principalmente patologie cardiache e respiratorie; gli anziani risultano la categoria maggiormente colpita. Finora sono state raccolte prove che dimostrano una relazione tra episodi acuti di inquinamento atmosferico da PM10 e aumento della mortalità giornaliera della popolazione. Ad esempio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce una relazione tra mortalità e livelli di PM10 e stima un aumento della mortalità giornaliera pari allo 0,070% per ogni incremento unitario di PM10 (misurato in µg m?3) nello stesso giorno. Le persone anziane o sofferenti di patologie cardiache o respiratorie sono le più esposte a questi rischi.

Si considerano effetti cronici quei danni alla salute umana che sopraggiungono a seguito di un’esposizione prolungata (mesi o anni). Variazioni su scala giornaliera delle concentrazioni atmosferiche di inquinanti non avrebbero influenza diretta su questi effetti a lungo termine; questi, invece, subirebbero una significativa diminuzione nell’arco di anni a seguito di un consistente miglioramento della qualità dell’aria. Ricerche condotte negli Stati Uniti e in Europa mettono in luce che l?esposizione cumulativa all’inquinamento atmosferico riduce lo sviluppo polmonare nei bambini, accelera l’«invecchiamento» delle funzioni polmonari negli adulti, aumenta la comparsa di sintomi respiratori di carattere cronico e può dare luogo anche ad una maggiore incidenza del tasso di tumore ai polmoni negli adulti.
Tutti questi effetti, considerati nella loro globalità, conducono ad una aspettativa di vita più limitata (N. Kunzli). Studi effettuati sulla componente acida dell’aerosol hanno evidenziato come i composti acidi presenti nelle particelle respirabili giungano fino ai polmoni, causando bronco-costrizioni in asmatici, danneggiamento dei polmoni e indebolimento del sistema immunitario, mentre i gas acidi solubili in acqua (es. HNO3, SO2) vengano assorbiti e rimossi dalle pareti umide del tratto respiratorio superiore. Gli effetti degli inquinanti atmosferici sulla salute umana si riscontrano in aumento di patologie respiratorie, diminuzione degli indici di funzionalità polmonare, rischio di tumori e leucemie dovuti principalmente al PM2,5.

Rimarrebbe al PM10 la responsabilità dei sintomi delle alte vie respiratorie, quali la tosse (Min. Ambiente). Gli episodi acuti di inquinamento determinano nella popolazione adulta in buona salute effetti clinici lievi, con una piccola riduzione delle prestazioni polmonari, che il singolo può anche non avvertire, ma che hanno grande rilevanza epidemiologica e grande impatto sulla salute pubblica, determinando l?aumento di numerosità delle classi di popolazione con ridotta funzionalità respiratoria.
Per ragioni di carattere metodologico, è intrinsecamente difficile attribuire questi effetti nocivi sulla salute umana ai singoli inquinanti. Sebbene sia ampiamente provato che l’inquinamento da particolato fine ne sia il maggior responsabile a livello fisiopatologico, il contributo, singolo o combinato, di altri inquinanti (es. NOx, CO) non può non essere tenuto in considerazione. Dagli studi effettuati emerge come non si possa definire una soglia di concentrazione di particolato al di sotto della quale vi sia effetto nullo sulla salute. La WHO precisa che al di sotto dei 20 µg m?3 la relazione PM10-effetti sanitari negativi, può non seguire un andamento lineare, ma non si esclude che vi siano effetti negativi anche al di sotto di tale valore.

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