Breve nota storica sul danno ambientale

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Pur essendosi manifestato in passato con eventi eclatanti, quali il disastro di Seveso del 1976 (peraltro primo grave caso di danno ambientale riportato nella Direttiva Europea del 2002 in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale) il danno ambientale si è imposto all’attenzione degli Stati membri dell’Unione Europea con sempre maggiore urgenza, non soltanto per l’offesa arrecata all’ambiente e alla pubblica incolumità, ma nei confronti dei singoli e dei loro beni.
Proprio in sede comunitaria si attivò il recepimento del principio «chi inquina paga» in campo ambientale, introducendo così lo strumento della responsabilità civile: le Autorità pubbliche di ciascuno degli Stati Membri devono garantire che gli operatori responsabili di un danno effettuino le opportune misure di riparazione dello stesso.
Vi sono diverse tipologie di danno risarcibile: danno al patrimonio pubblico (attribuito ad Amministrazioni pubbliche) o privato, danno alla salute, danno psicologico, danno morale.
Le fasi della valutazione del danno ambientale sono 4: la valutazione, un’istruttoria tecnica che spieghi e quantifichi il danno; la determinazione, fase in cui si accerta l’entità del danno; la caratterizzazione, in cui si valuta l’entità dell’alterazione, del deterioramento e della distruzione avvenuti; infine, la quantificazione, in cui si definiscono gli elementi tecnici ed economici del risarcimento.

Il Progetto Biodiesel

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Il progetto consiste nella creazione di un ciclo chiuso che, a partire dalla raccolta degli oli alimentari esausti (sia dalle utenze domestiche che da quelle professionali) ed attraverso un processo di trattamento ne consenta il riutilizzo, sotto forma di biodiesel, sui mezzi della Divisione Ambiente di Asm. L’iniziativa nasce quindi come un progetto integrato di mobilità sostenibile e corretta gestione rifiuti.

Si tratta di un progetto che si propone di ottimizzare azioni già in parte attuate, come la raccolta degli oli di cucina esausti, massimizzandola per quantità e capillarità sulle utenze domestiche.

L’iniziativa si va ad aggiungere alle azioni di sviluppo di basse emissioni in corso di attuazione, come l’impiego di veicoli elettrici, di veicoli a metano, ed all’inserimento nelle motorizzazioni della flotta Asm anche di mezzi Euro 5.

Il progetto è fortemente integrato, perché riunisce una serie di operatori sul territorio, ciascuno attivo per singole fasi del ciclo, raccolta, trasporto, raffinazione, trasformazione e utilizzo.

Il Biodiesel

Il biodiesel è un carburante ottenuto generalmente da varie colture oleaginose (colza, girasole, soia) ma anche da oli vegetali esausti raffinati. Esso ha quindi caratteristiche ambientali, essendo un carburante rinnovabile, con ciclo della CO2 chiuso, senza componenti inquinanti quali zolfo o composti aromatici particolarmente nocivi in fase di combustione.

Il biodiesel può essere utilizzato nell’autotrazione, puro o in miscela con gasolio minerale. Le prestazioni motoristiche ed ambientali migliori si ottengono in miscela al 20%-30% con gasolio minerale. Già oggi in Italia il gasolio alla pompa ha il 2% di biodiesel in miscela (5,75% entro il 2010).

Sul territorio è presente una realtà di primaria importanza nella produzione del biodiesel: Alchemia nel proprio stabilimento di Cavanella Po nel 2007 ha prodotto 15.000 tonnellate di biodiesel.

Il Progetto

Il progetto mira a incrementare la raccolta dell’olio alimentare, per eliminare condizioni di inquinamento delle acque, recuperando prodotto riciclabile con condizioni di vantaggio ambientale evidente, a parità di condizioni economiche, con risultati di miglioramento dell’inquinamento atmosferico allo scarico. Si prevede di chiudere il riciclo dell’olio su Asm, cercando di raggiungere l’autosufficienza di alimentazione per i mezzi della Divisione Ambiente.

Già dal 2005 presso l’Ecocentro è disponibile un contenitore per la raccolta degli oli alimentari esausti; dal 2006 sono in distribuzione gratuita pratiche tanichette da 5 litri (la campagna è stata lanciata in occasione dell’apertura dell’ecocentro rinnovato, con un pieghevole a tutte le famiglie). Ad oggi le tanichette distribuite sono circa 1.200.

Nel 2007 la raccolta è stata circa di 15 tonnellate (erano 2 nel 2005, con un aumento quindi del 650% in due anni).

La campagna di sensibilizzazione collegata è mirata ad accrescere la consapevolezza ambientale della popolazione, sui temi dell’inquinamento delle acque, della gestione rifiuti e della mobilità sostenibile. Parallelamente si opererà la distribuzione delle tanichette in alcune occasioni particolari (stand in piazza) e presso l’Ufficio Clienti Ambiente di Asm. Si punta poi a creare altri punti di raccolta olio in città, oltre all’Ecocentro: Asm di via Dante, Multipiano, mercati ecc.,


con un possibile ampliamento futuro ai supermercati ed a sedi istituzionali diverse.

Per una città come Rovigo, tra utenze domestiche e non domestiche, la produzione di oli alimentari è stimata attorno a 200 tonnellate/anno. Si è ragionevolmente stimato che, a regime, possano essere raccolti almeno 60.000 litri/anno da utenze domestiche e 30.000 litri da utenze non domestiche. Da questi 90.000 litri è possibile ottenere 60.000 litri di biodiesel che, nella miscela ottimale al 25%, consentirebbero di soddisfare il fabbisogno di tutti i mezzi diesel della Divisione Ambiente di Asm.

(Fonte Comune di Rovigo)

Le Diossine nell’ambiente

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Il termine Diossina è piuttosto generico, in quanto comprende sostanze chimiche diverse: il composto più tossico è il 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-para-diossina (Tcdd) e funge da riferimento per misurare la tossicità delle altre diossine e di composti quale il Pcbss
Le Diossine hanno tutte una lunga permanenza nell’ambiente e sono un intermedio di molti processi che impiegano il cloro, quali la sintesi e lo smaltimento dei pesticidi, lo sbiancamento della polpa di legno, i processi metallurgici e la produzione del Polivinil Cloruro (Pvc).
L’altra fonte è rappresentata dalle combustioni, in primo luogo quelle derivanti dagli inceneritori per i rifiuti solidi urbani, ma anche dagli incendi e, addirittura, dal semplice bruciare le sterpaglie in giardino.

Sull’altare della produzione immoliamo la qualità della vita

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Dalla Cina al Guatemala storie simili di sfruttamento e degrado della dignità umana

I primi due giorni

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Lunedì 28

Si è aperta a Montreal lunedì alle 10 locali (ore 16 in Italia) la undicesima sessione della Conferenza delle Parti. Dopo la cerimonia di apertura ed un minuto di silenzio per onorare la memoria del Segretario Generale Unfccc: la sig.ra Waller-Hunter deceduta il 14 ottobre scorso è stato eletto per acclamazione come presidente della Cop-11, ma anche della Cop/Mop-1, il Ministro dell’Ambiente canadese Stephane Dion.

Poi ci sono state richieste da parte di alcuni paesi per porre l’attenzione su alcune priorità quali il trasferimento di tecnologie dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo, il problema dell’adattamento ai cambiamenti del clima e il problema di adeguate risorse finanziarie che invece mancano. L’Unione Europea ha invece richiesto la massima disponibilità senza pregiudizi (open mind) per concordare quello che sarà, a partire dal 2012, il dopo Kyoto.

Anche la Cop/Mop-1 del Protocollo di Kyoto è stata avviata in tarda mattinata con la richiesta della UE di formalizzare e ratificare in sede Cop/Mop gli accordi di Marrakesh e per procedere verso la regolamentazione di tutto il settore riguardante le verifiche, i controlli e le sanzioni per gli inadempienti. Infine sono stati avviati i lavori degli organi di supporto tecnico della Unfccc: e cioè il Sbsta e lo Sbi.

Martedì 29

Prosegue il lavoro degli organi tecnici della Unfccc sulla parte amministrativa e finanziaria del Protocollo di Kyoto e sui problemi di coordinamento delle ricerche scientifiche e delle osservazioni sperimentali internazionali sui cambiamenti climatici.

È stato presentato anche il rapporto Ipcc sul sequestro del carbonio ed il suo confinamento geologico, una delle possibili soluzioni per ridurre le emissioni di anidride carbonica che, contrariamente all’entusiasmo di molti paesi che si stanno impegnando in questo settore, Ipcc considera come soluzione integrativa del tutto temporanea e transitoria, con molti problemi da risolvere nel contesto delle contabilizzazioni richieste dal protocollo di Kyoto e certamente non di lungo periodo.

Critiche sono state espresse da molti delegati, oltre che sulla insufficienza dei fondi disponibili, soprattutto sul funzionamento e sulla vera efficacia del Gef, il fondo speciale della World Bank istituito per il clima, la biodiversità, l’ozono stratosferico e gli oceani.

Infine, è stato conferito agli Usa il primo premio per la giornata odierna (Fossil of the Day Award)che viene sarcasticamente assegnato dagli ambientalisti alle delegazioni governative che si distinguono in senso negativo nei negoziati sul clima.

Acqua, capirla per proteggerla

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Per tutti da sempre è stata fonte di vita. Per Talete da Mileto l’acqua era il principio e il fondamento (arkhé) di tutte le cose perché ogni cosa si genera e vive nell’umido. Sempre più spesso si sente parlare, attraverso i media, dell’importanza dell’acqua, di considerarla come un patrimonio dell’umanità, di preservarla. Viene da chiedersi come mai questa sostanza d’uso comune sia così importante.
L’acqua è, come tutti ben sanno, composta di due atomi d’idrogeno e uno d’ossigeno. I più però, non conosceranno le reali caratteristiche di questa fantastica molecola che seppur estremamente stabile e non particolarmente reattiva, possiede delle caratteristiche molto insolite che la rendono indispensabile dal punto di vista biologico. Una di queste è la capacità di creare dei legami deboli, con altre molecole d’acqua che prendono il nome di legami idrogeno, oppure dei ponti idrogeno con molecole che presentano una parziale carica positiva o una parziale carica negativa. La forte tendenza delle molecole d’acqua a stare insieme, inoltre, dà luogo a quella che viene chiamata «natura coesiva dell’acqua» e ciò porta a proprietà particolari come:
– Alta tensione superficiale: una forza che permette la formazione delle gocce o fenomeni di capillarità senza i quali, per esempio, la linfa non potrebbe salire lungo il tronco degli alberi o il sangue non potrebbe risalire dalla periferia del nostro corpo verso il cuore;
– Alto calore specifico;
– Alto calore di vaporizzazione;
– Alto potere solvatante: essendo, in pratica, un dipolo elettrico riesce a scindere vari tipi di legami chimici che intercorrono nelle sostanze permettendo agli organismi, quindi, di ridurre sostanze più complesse in sostanze più semplici.
Queste sono solo alcune tra le tante caratteristiche di quest’incredibile sostanza.
L’acqua è l’elemento vitale per la sopravvivenza del nostro pianeta e la corretta gestione delle risorse idriche è la sfida principale del nuovo millennio.
Appaiono quindi assurdi alcuni eventi di natura prettamente umana come, ad esempio, solo nel 2005 circa tre miliardi e mezzo di persone (circa la metà della popolazione mondiale) abbiano dovuto affrontare gravi carenze d’acqua. Di questi 2,4 miliardi di persone (più di un terzo della popolazione mondiale) non hanno a disposizione ne acqua potabile ne impianti fognari adeguati andando quindi incontro all’insorgere di gravi epidemie dovute, appunto, alle scarsissime condizioni igieniche. Ma si sa bene, l’uomo è al di sopra delle leggi naturali.

Molteplici fattori riducono in maniera catastrofica le poche riserve d’acqua a nostra disposizione: l’incessante inquinamento da eccesso di sostanze organiche biodegradabili, prodotte dagli insediamenti urbani; quello da nutrienti, fertilizzanti e fitosanitari prodotti dall’industria agricolo-zootecnica ed infine quello da metalli pesanti e da sostanze organiche alogenate, prodotti dall’industria chimica. Tali riserve dovrebbero invece esser protette ed amministrate coscientemente sino all’ultima goccia.

Ma la cupidigia umana, si sa, non conosce confini; una delle ultime frontiere dell’industria «acquifera» consiste nel rubare letteralmente iceberg da cui prelevare acqua più pura possibile da imbottigliare e vendere a costi elevatissimi. Ma si può realmente dare un costo alla vita?
Oggi come oggi la necessità di


porre un freno a questa catastrofica situazione ha portato i governi a varare una serie di normative tese non più semplicemente al monitoraggio dell’inquinamento delle acque ma soprattutto al mantenimento della capacità delle fonti idriche di autodepurarsi (ne è un esempio la direttiva 2000/60/CE secondo cui, nei 15 anni successivi il suo varo, tutti gli stati membri della comunità dovranno fornire dati precisi circa lo stato relativo le proprie fonti idriche superficiali in modo da poterne mantenere la qualità). Si sta quindi cercando di passare da un semplice controllo quantitativo (di tipo semplicemente utilitaristico) ad un controllo di tipo quali-quantitativo che sulla base dei dati raccolti potrà permettere di varare leggi sempre più concrete, tese alla tutela di un patrimonio che appartiene a tutte le forme di vita.

In Europa i gas serra riprendono a salire

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L’aumento della produzione di elettricità nel 2003 innalza le emissioni di gas ad effetto serra nell’Unione europea dopo la flessione registrata nel 2002

Nel Cuneese «Ogni cosa ha il suo posto»

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Il Consorzio Ecologico Cuneese ha presentato la campagna di sensibilizzazione dedicata alle aree ecologiche. «Lo scorso anno nei centri oggetto della campagna sono stati raccolti da gennaio a ottobre complessivamente poco più di 5.000 tonnellate; quest’anno, nello stesso periodo, abbiamo raccolto quasi 6.000 tonnellate»

Clima – Il freddo di dicembre per colpa del Nao

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Da più di un decennio non assistiamo ad un inverno freddo come lo era nei decenni passati (per esempio prima del 1995), una constatazione che può apparire particolarmente anomala. Significativi, nel mese di dicembre gli scostamenti rispetto alla climatologia 1961-’90. Il bollettino meteo prodotto dal Servizio Meteorologico dell’A.M., prodotto dal giugno 2005, è disponibile sul sito internet

Greenpeace contro «Il Giornale»

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In un articolo Mario Cervi parla degli attivisti come «ecoterroristi» e i dirigenti minacciano querela

Kyoto dal Basso

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Kyoto dal Basso è un comitato di iniziativa, espressione dell’associazionismo ecologista più impegnato sulle tematiche energetiche. È nato l’11 luglio 2001, all’indomani della firma del «Protocollo di Torino», che ha sancito la volontà da parte delle Amministrazioni Regionali e Provinciali firmatarie ad affiancare il governo centrale nello sforzo di onorare l’impegno assunto dall’Italia sottoscrivendo nel 1998 il «Protocollo di Kyoto».
Il Comitato si propone, attraverso una campagna pluriennale di informazione e sensibilizzazione, di sostenere grazie al sostegno della Regione Piemonte, lo sviluppo di un vero e proprio «paradigma alternativo» in campo energetico, promuovendo comportamenti mirati alla riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera.

Il Spf (Sun Protection Factor)…

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…di un prodotto antisolare viene stabilito misurando il tempo di esposizione solare necessario a far comparire l’eritema sia su una porzione ricoperta dalla sostanza in esame e sia su una non protetta.
Il rapporto tra i due tempi è il Spf: ad esempio, un Spf 10 significa che quel prodotto antisolare moltiplica per dieci il tempo di esposizione al sole senza che vi sia comparsa di eritema.
Esistono tre metodi per determinare il Spf: quello americano, quello europeo e quello australiano, per cui i valori dei prodotti antisolari commercializzati nei diversi Paesi non sempre sono comparabili.
I valori di Spf espressi secondo lo standard americano sono, a parità di capacità di protezione, più alti rispetto a quelli espressi con la metodica europea; ad esempio, a valori compresi tra 2 e 13 in Europa possono corrispondere negli Usa valori di Spf compresi tra 4 e 26.
Il Spf è riferito soltanto alla capacità del prodotto antisolare di bloccare i raggi UVB, ma non fornisce indicazioni circa gli UVA.
Attualmente, pur mancando raccomandazioni ufficiali, si effettuano test basati sulla valutazione del fenomeno della immediata pigmentazione; il Spf per gli UVA corrisponde ad un numero (di solito fino a 30), oppure da 1 a 4 stelle, con il metodo inglese di Boots.

Isola Budelli – La Federparchi plaude a Matteoli

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«Ogni scelta che risponda con coerenza all’interesse nazionale ? afferma il presidente Matteo Fusilli ? sarà sostenuta con forza da Federparchi. Per questo esprimo la mia piena condivisione alle parole con le quali il ministro Matteoli ha garantito che lo Stato opererà, come nel caso dell’Isola di Budelli, ogni volta che se ne presenterà la necessità»

Come si vive bene in Isalanda. Italia solo ventesima

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Dalla tabella stilata anche quest’anno dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) in base a ricchezza, aspettative di vita e livelli scolastici, in cima alla classifica i Paesi del nord del mondo. I meno vivibili, invece, sono i Paesi dell’africa sub-Sahariana, messi in ginocchio dall’epidemia di Aids

Spendere in modo mirato

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Il governo incoraggia il turismo ad opera di gruppi organizzati perché se ne possono più agevolmente monitorare gli spostamenti e, comunque, risultano più vantaggiosi dal punto di vista economico. A questo proposito, due sono gli aspetti da considerare. Uno è il rischio che l’afflusso di valuta pregiata richiami altri immigrati, quando già vi sono 1,5 milioni di cinesi in più rispetto ai tibetani. L’altro è la sperequazione a danno di questi ultimi, dato che le compagnie aeree e gran parte degli alberghi sono di proprietà cinese. Inoltre le principali agenzie turistiche locali operano di concerto con le autorità cui, peraltro, è destinata larga parte delle spese di soggiorno, come quelle per i permessi e i mezzi di trasporto.
Tuttavia il turismo resta il mezzo più immediato per far conoscere al resto del mondo le condizioni di vita e le istanze del popolo tibetano. Lo stesso Dalai Lama si è espresso in questo senso, auspicando che i viaggiatori possano rendersi conto di quel che sta dietro la facciata e, al ritorno, farsi portavoce della causa tibetana. Non a caso la testimonianza dei turisti che riuscirono a percepire i segnali della repressione in atto alla fine degli anni 80 fu determinante per la nascita dei movimenti di sostegno in occidente.
Va da sé che qui, più ancora che per altre mete, valgono tutti i principi del turismo responsabile ed è essenziale attenersi a precise norme di comportamento. Se si opta per un viaggio organizzato vanno privilegiate le agenzie che si avvalgono di collaboratori locali. Dal 2003 è operativo un progetto per l’invio in Tibet di cento guide turistiche cinesi l’anno, durante il semestre corrispondente all’alta stagione. Secondo l’associazione Italia-Tibet non ve ne sarebbe alcuna necessità e si tratterebbe di una manovra dettata da ben altri intenti. Gran parte delle guide locali ha perduto il lavoro e, tra loro, molti sono stati espulsi perché sospettati di attività separatiste, soprattutto dopo essersi recati in India per apprendere la lingua inglese. Dal luglio 2002, l’Ufficio del Turismo ha predisposto controlli rigorosi e pretende che le guide tibetane dichiarino per iscritto di rinunciare ai viaggi all’estero.
Infine,per sostenere in modo fattivo la libertà di culto sarebbe opportuno elargire offerte direttamente ai monaci e visitare i monasteri minori, in quanto le tasse di entrata in quelli più grandi sono amministrate dal cosiddetto «Comitato di gestione democratico» che fa capo all’autorità cinese. Per analoghi motivi è preferibile usufruire dei servizi d’accoglienza a carattere familiare e degli esercizi commerciali gestiti da tibetani.

I «bollini rossi»

Molti dei tesori artistici del Tibet sono andati distrutti durante l’occupazione, altri sono stati trafugati ed alcuni alimentano il vivace mercato clandestino. Tuttavia parecchi oggetti sono contraffatti: quindi, siccome per un profano è arduo riconoscere l’età di un manufatto, è buona norma astenersi dall’acquistare oggetti d’antiquariato.
Lo stesso principio vale per prodotti ricavati da animali selvaggi, soprattutto se a rischio d’estinzione,come le pellicce di leopardo, i corni di antilope e i balsami o le pelli di


tigre. Anzi, nel caso se ne notasse una qualche forma di commercio, sarebbe bene scattare fotografie e, al ritorno, informarne le associazioni di tutela. Particolare attenzione va prestata anche ad alimenti spacciati come esotici, sia per evitare di rendersi complici d’un massacro insensato sia per tutelare la propria incolumità. Già in passato si sono verificati numerosi casi di peste in seguito alla lavorazione di pelli di marmotta. L’ultima notizia in ordine di tempo, recentissima, riguarda il decesso di due tibetani che hanno contratto il morbo cibandosi delle carni del roditore.
Infine non si deve scordare che si sta viaggiando in un paese occupato, ove i diritti umani si reggono su equilibri precari. I movimenti dei turisti sono controllati non soltanto con i metodi ufficiali, ma anche per mezzo d’informatori cinesi in abiti civili o, addirittura, camuffati da monaci. Dunque: mai intavolare discussioni su argomenti sensibili e, casomai si ottenessero informazioni di carattere politico, salvaguardare l’anonimato delle proprie fonti. Ai turisti è consentito detenere pubblicazioni e souvenir ispirati al Dalai Lama o riportanti la bandiera nazionale tibetana, purché in singola copia. In caso contrario possono essere fermati, multati ed eventualmente espulsi. Invece, se l’accusa di propaganda riguarda un tibetano, le conseguenze sono detenzione e torture.
Comunque, se pur con le dovute cautele, è possibile fare in modo che una semplice vacanza si trasformi in un modesto ma efficace contributo alla causa tibetana. Se non altro perché, a tutt’oggi, ancora troppi tra coloro che non si sono mai mossi dall’altopiano ignorano l’interesse che la comunità internazionale nutre nei loro confronti. Essi subiscono passivamente le conseguenze del cosiddetto «Piano di modernizzazione», vittime della sudditanza psicologica maturata nei decenni in cui i cinesi ne hanno sminuito la cultura, la religione e la lingua.
All’estremo opposto si trovano alcuni esuli, soprattutto giovani intellettuali nati all’estero, i quali ritengono che i mezzi della protesta non violenta siano assolutamente inadeguati rispetto agli obiettivi da perseguire.
Il governo tibetano in esilio si colloca tra i due estremi. Da un lato invita gli attivisti a mantenere un basso profilo, con l’auspicio che un’atmosfera più rilassata possa favorire il dialogo con Pechino. Dall’altro continua pervicacemente a tener viva la questione tibetana, supportato da gruppi stranieri che operano nei più svariati paesi, formando una rete che copre il mondo intero. Ne sarà emblema, il prossimo 3 luglio, il World Tibet Day che, dal ’97, ricorre nel giorno in cui si celebra il compleanno del Dalai Lama.

I punti fondamentali dell’Ar4-Wgi

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Dall’inizio della Rivoluzione Industriale il forzante radiativo dovuto alle emissioni antropogeniche dei gas ad effetto serra e degli aerosol è molto più grande del forzante radiativo dovuto alla variabilità solare.

Il riscaldamento del clima terrestre globale è inequivocabile, come comprovato da una serie di osservazioni:
aumento della temperatura globale atmosferica ed oceanica,
scioglimento esteso di neve e ghiacci (continentali e marini),
innalzamento del livello globale medio dei mari.

Nelle ultime decine di anni il riscaldamento globale ed l’innalzamento globale del livello dei mari mostrano una tendenza ad accelerare.

L’aumento della temperatura media globale dalla metà del XX secolo è «molto probabilmente» (che nell’Ipcc significa avere una probabilità tra il 90 ed il 95%) dovuto all’aumento della concentrazione atmosferica globale dei gas ad effetto serra di origine antropogenica.

Le proiezioni dei cambiamenti climatici per il XXI secolo confermano a grandi linee quelle mostrate nel Tar, ne aumentano l’attendibilità a causa del miglioramento dei modelli usati, ed infine permettono una valutazione migliore dei cambiamenti climatici a scala regionale.

Il Mediterraneo emerge come una delle aree più sensibili ai possibili cambiamenti climatici futuri:
riscaldamento molto maggiore della media globale (specialmente in estate), aumento delle onde di calore, marcata diminuzione di precipitazione.

(Fonte Focal Point dell’Ipcc per l’Italia)

Clima – Accordo per Piano di azione di adattamento a cambiamenti

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Clini: «Le emissioni stanno aumentando e nei prossimi 30-40 anni dovremo ancora fare i conti con variazioni climatiche più intense e frequenti. È necessario quindi non pensare solo alla riduzione delle emissioni, ma concentrarsi sulle strategie di adattamento per proteggere la popolazione»

L’energia cosmica oscura

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Secondo le teorie cosmologiche attuali, esiste nel cosmo un’energia oscura che pervade lo spazio. L’energia oscura può essere paragonata ad una forza antigravitazionale, che respinge gli oggetti anziché attrarli, come fa invece la forza gravitazionale. Questa energia oscura serve a spiegare le ultime osservazioni astronomiche che mostrano l’universo in espansione accelerata.

Come si è arrivati all’ipotesi dell’esistenza dell’energia oscura?

Già negli anni 20 del secolo scorso gli astronomi avevano scoperto che lo spazio si espandeva, con ogni galassia che veniva trascinata lontano dalle altre, dopo un’esplosione cosmica denominata Big Bang avvenuta circa 15 miliardi di anni fa. In un universo fatto solo di materia questa espansione dovrebbe rallentare, poiché la materia di cui sono fatte le galassie continua ad attrarre quella del resto del cosmo. I modelli cosmologici «classici» prevedono tutti che col passare del tempo l’espansione delle galassie diminuisca.

Le osservazioni del moto delle galassie dentro i gruppi e gli ammassi di galassie avevano mostrato inoltre che oltre alle stelle e al gas di cui è composta una galassia (materia osservabile e perciò «luminosa»), doveva esistere una materia oscura, non direttamente osservabile, che aumenta la forza di gravità dell’universo. Questa materia oscura dovrebbe essere circa cinque volte più abbondante della materia luminosa. Anche la materia oscura dovrebbe contribuire alla forza di gravità di tutto il cosmo, rallentando la sua espansione con il passare del tempo.

Noi possiamo però osservare il passato dell’universo studiando galassie sempre più lontane da noi. Infatti la radiazione elettromagnetica (luce, raggi infrarossi, onde radio) che ci arriva da una galassia lontana ha impiegato molto tempo per arrivare a noi, viaggiando a 300.000 km/s, e noi la vediamo oggi come era quando questa radiazione è stata prodotta. Osservando ad esempio la grande galassia di Andromeda, distante circa 3 anni luce, noi la vediamo come era tre anni fa, mentre osservando una galassia distante un milione di anni luce possiamo vedere la sua immagine di circa un milione di anni fa. Dunque osservando galassie sempre più lontane possiamo risalire indietro nel tempo cosmico, studiando l’universo com’era in passato.

Alla fine degli anni 90 le osservazioni di stelle che esplodono (supernovae) e di luminosità nota in galassie lontanissime aveva mostrato invece che l’universo nel passato si era espanso più lentamente di adesso. Quindi l’universo si sta espandendo con una velocità che cresce con la sua età, ovvero accelerando. Per questa scoperta due anni fa la città di Padova ha dato il premio «Padova, città delle stelle» ai ricercatori Saul Perlmutter (Usa) e Brian Schmidt (Australia), i cui studi hanno permesso di rivoluzionare la visione classica dell’espansione dell’universo.

Per spiegare queste osservazioni occorre dunque postulare una forza che a grande scala si comporti in maniera opposta alla forza di gravità, respingendo la materia e perciò facendola accelerare. I cosmologi ritengono che la materia luminosa (stelle, gas e neutrini) costituisca oggi solo il 5 % della massa totale dell’universo, essendo la materia oscura il 25%, e l’energia oscura addirittura il 70% di tutto il


cosmo.

Gli astrofisici e i fisici teorici cercano di comprendere quale sia la natura dell’energia cosmica oscura. Già Albert Einstein aveva proposto, prima che si scoprisse l’espansione dell’universo, la presenza di un fattore correttivo nelle equazioni che descrivevano il cosmo, chiamato costante cosmica e indicato con la lettera greca Lambda. Questa costante cosmica repulsiva avrebbe bilanciato la forza di gravità rendendo l’universo stabile e statico. La costante cosmica venne abbandonata successivamente, a favore di modelli di espansione decelerata dell’universo. Quando Edwin Hubble scoprì l’espansione dell’universo, Einstein eliminò la costante cosmica dalle sue equazioni, definendola «il mio più grande errore». Oggi invece la costante cosmica potrebbe rappresentare l’energia oscura appena scoperta e non essendo legata alla materia potrebbe essere chiamata «l’energia del vuoto».

In alternativa l’energia cosmica oscura viene descritta come un’interazione tra le particelle e i campi di forza e viene chiamata «quintessenza». Essa differisce dalla costante cosmica in quanto non è costante ma varia nello spazio e nel tempo.
Il Prof. Weinberg parlerà dell’energia cosmica oscura nella sua conferenza pubblica il 24 maggio a Padova presso il Palazzo della Ragione.

Le ragioni del «no» a questo nucleare

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Il prezzo del combustibile

Le analisi comparative puntano tutte sul basso prezzo dell’uranio rispetto al petrolio a parità di energia elettrica prodotta. Ma questa è una situazione che solo qualche sciocco potrebbe ritenere immutabile anche solo di qui a qualche anno. Il problema è che il costo dei combustibili (escluso quello reso disponibile da dismissioni militari e gestito da accordi di politica internazionale) è determinato concretamente, al di là di ogni impresentabile ipocrisia, da un cartello di produttori che tende, e riesce bene in questa direzione, a diventare gestore universale di tutti i tipi di combustibili, nucleare compreso.
Il costo dei combustibili è, dunque, sostanzialmente definito più che da un fittizio mercato «libero», da complesse relazioni militari, economico-finanziarie e di politica internazionale: diventa, così, un fattore poco flessibile sul mercato delle materie prime e viene, così, sottratto alle libere negoziazioni delle convenienze da parte dei paesi che, come l’Italia, sono solo consumatori.
Tutti sanno quanto le materie prime (petrolio compreso), oggi in particolare, siano sottoposte alle leggi speculative del mercato e come la differenza dei prezzi (e non il prezzo) fra i diversi tipi di combustibili dipenda dal peso delle diverse richieste (ricordiamo, qui, solo l’emblematico andamento del prezzo del gasolio che, in questi ultimi giorni, ha raggiunto il prezzo della benzina e che in pochi anni si è quasi raddoppiato solo perché è aumentata la domanda).
Così sarà anche per il combustibile nucleare (segnali forti in tal senso sono, oggi, già evidenti), che è destinato ad essere venduto allo stesso identico prezzo, di un qualsiasi altro combustibile, a parità di energia elettrica prodotta, pur se con rischi che, per il nucleare, sono imparagonabili con quelli di tutti gli altri impianti tradizionali di produzione elettrica. Ma forse c’è, ancora di peggio, da raccontare perché vi sono anche insopportabili «costi occulti» da pagare, come quelli legati alle strategie geopolitiche dei paesi produttori o distributori e ai ricatti imprevedibili delle impennate della speculazione.
Tutti costi, questi, che finiscono col pesare, con i loro spesso insopportabili condizionamenti e sottomissioni, sul «senso del vivere» umano delle popolazioni coinvolte nelle avventure del nucleare. In conclusione dobbiamo prendere atto che il costo dell’energia, elettrica in particolare, non lo fa la tecnologia scelta, ma chi vende risorse! Il monopolio dei produttori delle materie prime dell’energia porta fatalmente ad equiparare i prezzi di tutti i combustibili in funzione dell’energia che sono capaci di sviluppare: il minor costo dell’uranio e la diversificazione dei fornitori di combustibili sono fattori di nessun peso nelle relazioni commerciali fra produttori e consumatori non produttori. Una situazione, questa, specifica del nostro paese, che dovrebbe solo evitare inutili e pericolose avventure nucleari e che dovrebbe, invece, impegnarsi nella ottimizzazione delle tecnologie che sfruttano le risorse rinnovabili disponibili, in particolare: sole, vento e forse le correnti marine. Sarà poco, ma è ciò di cui disponiamo gratuitamente, insieme con la grande risorsa del risparmio energetico.

L’autonomia energetica della scelta nucleare

Su questa linea di problemi, per il nucleare, anche da parte dei responsabili politici delle scelte, si arriva a parlare, falsamente, di una nostra autonomia dalle importazioni che se è vera per alcuni paesi europei, non lo è per l’Italia. Noi, infatti, siamo importatori anche dei combustibili nucleari come della gran parte di tutti gli altri combustibili. Ma questa constatazione sembra non essere percepita. Sembra che i responsabili delle scelte non sappiano, o si rifiutino di sapere, che il minerale uranifero non è estraibile a prezzi convenienti sul nostro territorio nazionale e che, soprattutto, non disponiamo della complessa e insostituibile filiera per la produzione dell’uranio arricchito che è l?unico combustibile per i reattori nucleari di terza generazione.

Le conseguenze perverse di una scelta priva di flessibilità produttiva

Nelle analisi ambientali (studio degli impatti) si devono regolarmente prendere in esame quei «meccanismi anomali» che le diverse proposte alternative, di modifica di un territorio, possono eventualmente attivare andando al di là, se non proprio contro, le intenzioni dei progettisti e creando, così, altri e nuovi problemi. Per la scelta nucleare, l’incidenza di questo «meccanismo anomalo» ha una notevole rilevanza.
La rigidità della produzione elettrica da impianto nucleare, infatti, comporta una produzione continua di energia che non può essere modulata secondo le richieste. Dunque con la scelta nucleare sarà, anche, necessario assicurare tassativamente il consumo di energia elettrica che nominalmente viene prodotta dalla rete del nucleare elettrico. Un problema che si risolve (per non correre il rischio di dover fermare una o più centrali, con tutto il relativo complesso e dispendioso problema di doverle, poi, riportare a regime) con l’incentivazione dei consumi elettrici nei momenti di bassa richiesta: ore serali e notturne. Detto in altri termini il risparmio «presunto» del nucleare, anche se fosse reale, rischierebbe così di essere vanificato.
La conclusione è uno spreco incombente di energia elettrica nelle ore serali e notturne (per illuminazione urbana ed extra urbana e per il condizionamento estate-inverno degli ambienti) ed un conseguente inquinamento termico ambientale ingiustificato (dovuto a quel 60% di energia termica che accompagna sempre il rendimento del 40% di tutte le centrali termoelettriche a vapore, quelle nucleari comprese). Questo è ciò che avviene in tutti i paesi che hanno centrali nucleari fino alla terza generazione. Possiamo dunque dire, con motivati argomenti, che tutto questo è almeno una dispendiosa «ginnastica» senza senso che sconfessa, quel quadro, già molto opaco, dei presunti vantaggi del nucleare.

La sostenibilità del contributo, quantitativamente significativo, del nucleare ai consumi energetici nazionali

Il conflitto, fra l’industria energetica (che trova la sua missione e il suo interesse nella produzione e nei profitti derivanti dalla vendita di energia) e una politica di razionalizzazione dei consumi e di risparmio energetico, presenta il suo punto nodale più critico proprio nella definizione dei programmi di sviluppo dell’offerta di energia elettrica. Chi produce non può coltivare il «perverso proposito» di frenare la produzione, mentre chi consuma non ha interesse a utilizzare e pagare il servizio in quantità superiore alle sue necessità o a rinunciare alle opportunità di risparmio.

Il ruolo della politica è dunque essenziale e non può limitarsi a soddisfare interessi lobbistici contro gli interessi generali. Ma la scelta nucleare costringendo ad una produzione non flessibile di energia elettrica impone un’alterazione dell’equilibrio domanda/offerta. Una situazione che finisce col favorire un uso irrazionale e insostenibile delle risorse.
Non è un caso che il problema della sostenibilità sia tenuto in sordina, quasi come se si volesse rimuoverlo. La sostenibilità è, invece, un problema su cui non solo è necessario riflettere (e, invece, non capita di vederlo neanche richiamato, da quotidiani e riviste, nelle pur ampie paginate sul nucleare, oggi in gran parte ideologicamente schierate per il nucleare o ambiguamente neutrali) ma è anche un problema urgente a cui dare risposte per evitare i danni irreparabili di un intervento arrivato troppo in ritardo.
In un sistema democratico non si possono imporre scelte preordinate, ma ancor più non si può pensare di gestire settorialmente i problemi di tutti, mettendo così in pericoloso isolamento coatto quote significative di intere comunità locali e nazionali private del diritto di partecipare attivamente alle scelte. Una situazione molto critica, questa, se si tiene presente che la scelta nucleare non è una gara olimpica, nella quale «l’importante è partecipare» e che, quindi, un contributo significativo del nucleare al fabbisogno energetico italiano può essere dato solo con l’installazione di alcune decine di centrali.
Una scelta dalla quale, ammesso che sia sostenibile, non è neanche pensabile di poter tenere fuori le consapevolezze e le responsabilità di scelta e controllo dei cittadini. Ma il progetto (anche nella sua irrealizzabilità per le caratteristiche dei nostri territori e per limiti imposti dalle ricadute sociali e ambientali) rischia di rimanere sul «tavolo di comando» pronto solo a diventare esecutivo senza confronto decisionale democratico.
Un tale numero di centrali nucleari, peraltro, è anche economicamente insostenibile se non presenta una precisa destinazione e valorizzazione produttiva di nuove fonti di energia. Non sembra, infatti, che siano previste specifiche condizioni, di utilizzazione dell’energia prodotta capaci di generare quei maggiori profitti, e quindi quelle risorse finanziarie, necessarie per ripagare gli enormi costi diretti ed indiretti di una scelta nucleare. La nuova centrale in costruzione in Svezia, per esempio, ha un suo preciso gruppo di industrie di riferimento che, con la sua totale partecipazione finanziaria alla costruzione e alla gestione dell’impianto, si è assunto l’impegno di impiegare tutta l’energia prodotta, per lo sviluppo di attività produttive.

Problema scorie

Il problema scorie non cambia molto nel mondo. Anche in Usa, con tutti gli ampi spazi di cui dispone questo paese, il problema si presenta ugualmente irrisolto e vi sono, anzi, preoccupanti propositi coercitivi certamente non graditi dalla popolazione, per mettere a tacere la questione scorie, di fatto lasciando, così, il problema, definitivamente insoluto. Il problema delle scorie nucleari è un ben noto problema che non potendo essere confinato nelle aree off-limits delle centrali nucleari, emerge nel pieno delle sue irrealizzabili pretese di soluzione.
Ricordiamo qui che (escludendo il rilascio occasionale di materiale radioattivo per eventuali piccoli o grandi incidenti) per i rilasci di routine (scorie solide e liquide, gas e aerosol) gli impatti riguardano:

– l’irrisolvibile inertizzazione delle scorie solide e liquide e il loro sconfinamento sempre a rischio;
– per i gas e gli aerosol radioattivi (xeno, cripton, iodio…) gli effetti della loro immissione in aria ambiente (dalle ciminiere, dopo i trattamenti) sulla salute della popolazione, sono affidati a quelle valutazioni epidemiologiche che richiamano alla mente i 50 anni di inquinamento da amianto mortalmente passati nel limbo delle malattie professionali non riconosciute;
– gli effetti determinati dallo stressante e continuo malessere per un pericolo sempre incombente;
– il degrado per lunghi tempi del territorio, agricolo o abitato, e delle falde acquifere in caso di incidente, di atto di guerra o terroristico.

A fronte di questi ineludibili problemi la comunità tecnologica e parte di quella scientifica non trova di meglio che sorvolare sul problema proponendo inverosimili e non databili promesse di soluzione. In realtà non sappiamo proprio nulla su come il problema delle scorie dei reattori di terza generazione potrà essere risolto, di una cosa, però, possiamo essere sicuri: il conto delle spese da pagare sarà salatissimo, e si farà finta che il problema sia stato risolto.

La convenienza del nucleare

Sulla convenienza del nucleare hanno parlato in molti: ma i «se», peraltro detti sommessamente, si sprecano e di alcuni ne abbiamo riferito nella parte iniziale di questo articolo. Negli Usa molto concretamente, per assicurare profitti, lo Stato ha dato elevati incentivi e soprattutto ha posto un limite, per legge, ai risarcimenti, permettendo così un rischio di impresa sopportabile, ma a danno dei cittadini.
In Usa il ciclo dell’uranio è completo. La disponibilità in questo Paese di combustibile, autonomamente prodotto, offre qualche vantaggio in più, ma non si può, nonostante tutto, parlare di efficienza economica della relativa produzione elettrica.
In India, invece, c’è grande disponibilità di torio (combustibile del nucleare di quarta generazione) e la ricerca sta portando ad un sistema (per ora ancora sperimentale) con una maggiore efficienza (60 volte superiore) e con scorie in bassa quantità e minore impatto per la sicurezza.

In Italia niente di tutto questo e quindi allo stato attuale, se il governo decidesse di voler lasciare la sua «impronta nucleare» con «cose fatte», certamente non punterà sulla ricerca, ma sull’acquisto di brevetti e apparecchiature da società estere (che saranno solo montate da società italiane), acquisterà combustibile a prezzi decisi totalmente dal venditore, tratterà con compiacenti altri paesi per il deposito temporaneo delle sue scorie, almeno per ritardare il problema, rimandando ad altri, le responsabilità inalienabili di averle prodotte. Alla fine i costi risulteranno notevoli e quindi lo Stato assumerà in proprio la costruzione delle centrali (fingendo un project financing, a carico dei «privati»… ma sostanzialmente a carico delle «imprese di Stato», «privatizzate», ancora con disponibilità di finanziamenti statali.
Così anche la gestione degli impianti sarà probabilmente affidata a terzi, ma, per problemi di sicurezza e di relazioni internazionali, l’approvvigionamento del combustibile sarà esternalizzato e sarà a carico dello Stato, cioè non graverà sulle spese di gestione dell’impianto, falsandone i costi. Ancora, si deciderà una nuova autorità, per attribuire ad un ente esterno il controllo, tirando fuori, così, lo Stato, come «decisore», dalle responsabilità dirette delle scelte effettuate, da eventuali contenziosi e da non convenienti perdite di immagine. Alla fine la nostra comunità pagherà tutti i costi, mentre il gestore degli impianti potrà spudoratamente rendicontare il basso costo dell’energia nucleare e fare anche profitti.
Il fatto è che il nucleare, di per sé solo una complicata fonte di energia termica, richiede non solo fondate teorie scientifiche, studi di fattibilità, adeguate tecnologie (tutte cose di supporto alle scelte umane e invece spesso trasformate in «dimostrazioni incontestabili» delle «meraviglie del nucleare», da invocare per l’«imbonimento» degli sprovveduti), ma richiede anche discernimento, intelligenza e assennatezza nelle valutazioni e decisioni che rispondano a obiettivi e finalità di «progresso» umano e non solo di «sviluppo» deciso dall’economia. C’è il rischio, altrimenti di attivare consensi (quanto meno ingenui e carpiti con l?inganno di un’informazione incompleta) verso scelte poco o niente argomentate nel merito delle visioni più profonde del vivere umano. C’è il rischio di far assumere indirettamente, ad intere comunità, le responsabilità di quelle ben note e rovinose conseguenze che, come la storia insegna, non potranno mai trovare giustificazioni e assoluzioni in sentite passioni e in entusiasmi ideologici, qualunque siano le nobili origini e le buone ragioni che possano vantare.

Le versioni originali

Tempo di lettura: 3 minuti

China to Set up Its First North Pole Station in September People’s Daily

The nation’s first scientific research station on the North Pole will be set up in September during the second ever mission to the area by a team including Chinese scientists. The station will be located on Svalbard Island, which belongs to Norway. It will be an integral step for China to improve its understanding about how its climate will be impacted upon by changes on the North Pole.

The team will head to the area on Tuesday, it was revealed Wednesday at a contract-signing ceremony between Amway — the financial supporter of the expedition– and the Polar Research Institute of China. Amway is the world’s largest multilevel marketing organization.

Organized by the State Oceanic Administration, a total of 115 people will take part. About 90 experts from China, 16 from the USA, Canada, Japan and Finland and also several reporters will travel aboard the “Snow Dragon”vessel from Dalian of Northeast China’s Liaoning Province.

“The aim of the research is to understand how the climatic change of the North Pole affects the global climate, especially that in China,” said Doctor Zhang Zhanhai, director of the Polar Research Institute of China. Recent research shows global warming has greatly impacted on the world’s atmosphere, oceans and land masses. The thickness and coverage of the world’s ice packs have been decreasing rapidly. In recent years,the coverage of ice in the Arctic Ocean has decreased by up to 15 per cent, meaning it is less than 1.3 metres thick.

“China is located in the area that is not so rich with natural resources,” said Wei Wenliang, an official with State Oceanic Administration. “Affected by the global climate, every year there are floods, sand storms and rising sea levels around China.” The expedition and station’s foundation will set up a basic observation system to collect first-hand polar research material, Wei said.

During the 74-day-long mission, based on the “Snow Dragon” vessel, experts plan to research the ocean’s chemical composition, biology, geography and climate by using several tools like an underwater robot and a helicopter.

China’s first exploration station on the South Pole was established in 1984 and there have been 19 expeditions to the area. The first mission to the North Pole was in 1999. “Because the area in the South Pole does not belong to any country, it is easy to set up station there. Now it has 40 formal stations,” Zhang explained. As land on the North Pole belongs to eight countries,it is more difficult to undertake exploration within another country’s territory,Zhang said.

by People’s Daily Jintaixi Road #2, Chaoyang District, Beijing, 100733, People’s Republic of China

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China to set up first North Pole station BEIJING (AFP) Jul 10, 2003

China will build its first scientific research station in the North Pole in September, state media reported Thursday. The station,


on Svalbard Island which belongs to Norway, will help China improve its understanding about how its climate is affected by changes on the North Pole, the China Daily said. State media reports earlier this year said the base will be staffed permanently by scientists conducting research related to the Arctic Zone. China has previously had temporary research bases at the Pole, but never a permanent structure.

Organized by the State Oceanic Administration, a total of 115 people will take part in the expedition to construct the station. The experts from China, the United States, Canada, Japan and Finland, along with several journalists, will travel aboard the “Snow Dragon” vessel from Dalian in northeast China’s Liaoning Province.

During the 74-day-long mission, they plan to research the ocean’s chemical composition, biology, geography and climate. “The aim of the research is to understand how the climatic change of the North Pole affects the global climate, especially that in China,” said Zhang Zhanhai, director of the Polar Research Institute of China.

Research shows global warming has greatly affected the atmosphere, oceans and land masses with the thickness and coverage of the world’s ice packs decreasing rapidly. “Affected by the global climate, every year there are floods, sandstorms and rising sea levels around China”, said Wei Wenliang, an official with State Oceanic Administration.

China’s first mission to the North Pole was in 1999.

Agence France-Presse