Aragosta

1514
Tempo di lettura: < 1 minuto

L’aragosta (Palinurus elephas), crostaceo decapode facilmente riconoscibile per le lunghissime antenne, si osserva sempre più raramente sui nostri fondali. Per la prelibatezza delle carni, la specie è stata sottoposta ad una pesca eccessiva e sconsiderata che ha decimato le popolazioni mediterranee

L’aragosta è un grosso crostaceo decapode che può raggiungere, in casi eccezionali, la lunghezza di 50 cm ed il peso di 8 kg. Il carapace, costituito da cefalotorace e da addome, è ricoperto da corte spine di forma conica e varia in colorazione dal rosso-brunastro al viola-brunastro.

Nella parte terminale del corpo è presente una coda a forma di ventaglio. A differenza di altri crostacei come i granchi e l’astice, l’aragosta non possiede chele ma, caratteristiche di questa specie sono le due lunghe antenne con funzione sensoriale. E probabilmente proprio grazie alle antenne che le aragoste riescono ad orientarsi sott’acqua, compiendo lunghe migrazioni in fila una dietro l’altra per motivi ancora poco conosciuti.

Come tutti i crostacei, per accrescersi l’aragosta compie la muta, processo durante il quale avviene l’eliminazione del vecchio e stretto esoscheletro, l’exuvia, e la creazione di uno nuovo e più ampio. Di solito si osservano a partire da 20 m di profondità, in anfratti nella roccia da cui sporgono solo le lunghe antenne. Si nutrono di anellidi, echinodermi, altri crostacei e piccoli pesci; a volte consumano anche carcasse di animali morti. Per la prelibatezza delle carni, l’aragosta è stata sottoposta ad una caccia sconsiderata ed è stata inserita nelle liste di animali da proteggere (annesso III della Convenzione di Berna).