C’è chi va controcorrente

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Tuttavia, dalla Gran Bretagna si leva una voce che pare riecheggiare i tempi andati: l’organizzazione no-profit Health Research Forum ha pubblicato un lavoro dal titolo «Sunlight Robbery» che critica aspramente le campagne governative e delle associazioni di volontariato per la lotta contro il cancro, citando numerose pubblicazioni scientifiche.
L’Autore, Oliver Gillie, dichiara che qualunque beneficio si ricavasse dalla prevenzione dei tumori della pelle, sarebbe ampiamente sopravanzato dai disturbi causati dalla carenza di vitamina D.
In particolare, accusa la campagna «Sun Smart» di raccomandare creme a fattore di protezione 15 o, in alternativa, la permanenza all’ombra, perché ispirata ad un’analoga campagna in Australia, senza tener conto delle notevoli differenze climatiche.
Secondo il dottor Gillie, i Britannici hanno uno scarso tasso ematico di Vitamina D, soprattutto nel corso dei mesi freddi, in quanto per la sua sintesi non sarebbero sufficienti l’esposizione casuale al sole delle mani e del viso.
A tal proposito, fa riferimento a numerosi studi secondo i quali non solo la vitamina D gioca un importante ruolo nell’assorbimento del Calcio ed influenza la crescita cellulare, ma alle sue carenze sarebbe associata una varietà di disturbi come osteoporosi, problemi cardiaci, schizofrenia ed alcune forme di cancro.
Addirittura, asserisce che l’abbronzatura preserverebbe dal rischio di melanoma e che coloro i quali si sono ripetutamente «abbrustoliti» avrebbero minori probabilità di manifestare la sclerosi multipla ed il cancro alla prostata.
Di conseguenza, consiglia di abbronzarsi sino a mezz’ora al giorno ed usare una crema protettiva solo dopo che ci si è esposti al sole da cinque a dieci minuti, ossia il tempo necessario alla sintesi della vitamina.
Quasi superfluo dire come Sara Hiom, la portavoce della campagna di ricerca per il cancro ribadisca che, benché un bel colore dorato sia meno dannoso di una scottatura, l’aumento della pigmentazione è comunque il segnale di un danno a carico del Dna che nel tempo potrebbe degenerare in tumore cutaneo.
Raccomanda quindi una maggior cautela, perché non ci si può permettere di far passare messaggi contrastanti quando, ogni anno, viene diagnosticato un melanoma a più di 7.000 persone e di queste ne muoiono 1.500.
A metà strada rispetto alle due posizioni diametralmente opposte, potrebbe collocarsi quella del dottor Neil Walker dell’associazione di dermatologi della Gran Bretagna il quale, pur raccomandando estrema cautela, ritiene che il rinunciare del tutto al sole sia un po’ draconiano, oltre che non necessario.