Per capire la Cop 9 di Milano bisogna tener presenti quali erano gli eventi precedenti che in qualche modo sono stati condizionanti sui risultati acquisiti. Infatti, a Milano non è stato fatto altro che completare il processo di smantellamento e di snaturazione dello spirito e dell’essenza del Protocollo di Kyoto, un processo cominciato con gli accordi di Marrakesh del 2001 (Cop 7), dove, con un compromesso molto al ribasso, diventavano centrali le questioni secondarie del Protocollo e, viceversa, diventavano secondarie le questioni centrali. Il processo poi è proseguito con la Cop 8 di Nuova Delhi e concluso quindi con la Cop 9 di Milano.
Il motivo per cui si era arrivati agli accordi di Marrakesh risiede nel fallimento della Cop 6 di L’Aia del novembre 2000, quando un gruppo di Paesi detti «umbrella group» (Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda) rappresentanti il 50,2% delle emissioni valide per la ratifica e l’entrata in vigore del Protocollo, decisero di abbandonare i negoziati, se fossero proseguiti con le finalità e le strategie con cui erano stati avviati a Kyoto nel 1997, perché il Protocollo di Kyoto appariva troppo costoso per le loro economie nazionali ed economicamente destabilizzante nella competitività dei mercati internazionali.
Per salvare il Protocollo da un fallimento che si profilava clamoroso, fu organizzata una Cop 6 bis a Bonn nel luglio del 2001 al fine di trovare soluzioni percorribili, e la mediazione finale fu quella di far diventare il Protocollo uno strumento economicamente conveniente con un ruolo centrale per gli strumenti sussidiari e accessori del Protocollo. I successivi accordi di Marrakesh del novembre 2001 sancirono, di fatto, questo. Nel frattempo (marzo 2001) gli Usa annunciarono il rigetto del Protocollo ed il loro rifiuto, comunque, a ratificarlo.