I pericoli per l’acqua, la gestione e il concerto fra amministrazioni

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Ma in tutto questo che pericolo corre l’acqua?

«Nell’aspetto del decreto Bersani che si ritrova poi nel disegno di legge di Linda Lanzillotta sui servizi pubblici locali che sviluppa il concetto di pubblico per quanto riguarda l’acqua, c’è un limite perché non viene definito in maniera chiara che cos’è pubblico, anzi la definizione che viene data apre dubbi considerevoli sulla portata reale del decreto Bersani perché viene definito pubblico ciò che può avere una utilità pubblica e considerano l’acqua un settore di rilevanza economica il cui servizio risponda ad una funzione di utilità pubblica per rispondere ad un bisogno. Ora una cosa di utilità pubblica non è necessariamente una funzione pubblica né tanto meno un servizio di interesse generale è necessariamente pubblico, né un servizio di rilevanza economica è pubblica perché la rilevanza economica risponde a funzioni di economia di mercato ed infine soprattutto il fatto di dire che il servizio idrico risponde ad un bisogno fa sì che questo bisogno non risponde al concetto di diritto».

Che cosa comporta questo?

«Il diritto è qualcosa di responsabilità collettiva con domanda con impegno collettivo pubblico delle autorità pubblica e il servizio è uno strumento messo alla soddisfazione del diritto e non alla soddisfazione del bisogno, ecco questa definizione di pubblico che è ripresa dal disegno Lanzillotta mette un limite severo sulla vera pubblicità che dovrà essere data all’acqua, in fondo, e spero di sbagliarmi, è quasi una mascherata questa del decreto Bersani che dice ?eccezionalmente salvo il servizio idrico?, perché quando si va a vedere nei dettagli cosa significa servizio idrico, si rientra nella categoria dei processi di privatizzazione del bene che è quindi quello dei servizi di rilevanza economica che hanno la funzione di pubblica utilità e che risponde a un bisogno».

Resta quindi una differenza fra il diritto all’accesso all’acqua verso cui va ormai la comunità mondiale e il servizio?

«Assolutamente, nel senso che se si resta nella logica del bisogno si hanno a servizio uno strumento che deve rispondere attraverso un prezzo politico stabilito dalle autorità come tariffa e questo servizio deve rispondere ai meccanismi di mercato, cioè deve rispondere ai costi per produrre il servizio, mentre se è un diritto non si tratta di garantire l’accesso al diritto attraverso un prezzo o una tariffa ma è preso a carico della comunità attraverso il sistema della fiscalità generale».

Il problema resta quindi tutto in piedi…

«Siamo ancora in una fase estremamente delicata rispetto all’acqua e che se il decreto Bersani e il Ddl Lanzillotta non precisano bene questo concetto pubblico dell’acqua, praticamente quest’acqua salvata dalla privatizzazione non è affatto salvata nel senso che si lascerà sempre aperta la porta ad una visione mercantile e privatista della gestione del servizio, tant’è che anche il decreto Lanzillotta, sbagliando enormemente, afferma che l’insieme dell’assetto legislativo e delle normative che devono orientare l’insieme dei servizi pubblici vanno liberalizzati perché è la normativa europea che obbligherebbero gli stati membri ad introdurre i processi di liberalizzazione, il


che è falso perché non è corretto dire questo in quanto la Comunità non obbliga niente perché questi sono servizi di competenza degli stati membri tant’è che anni fa il governo olandese ha interdetto la privatizzazione dei servizi idrici sulla base di giustificazioni giuridiche non messe in discussione».

E tutto questo avviene mentre vanno avanti i cambiamenti climatici, i bisogni di acqua di intere popolazioni e del sud…

«Attualmente il problema del non accesso all’acqua è legato alla mancanza di disponibilità unicamente per 150-200 milioni di persone che vivono in zone a forte stress idrico, ed è vero che è un problema in aumento ma tuttavia limitato. Il resto vive in regioni che hanno acqua e il problema del non accesso all’acqua non è tanto la disponibilità, perché l’acqua c’è. Anche nel Salento l’acqua c’è. È un problema di governo degli usi. Concretamente nel Salento sarebbe sufficiente diminuire del 30% gli usi dell’acqua disponibile sia localmente sia attraverso i vari acquedotti degli usi irrigui…».

E qui c’è il problema del prelievo dei pozzi artesiani…

«Arrivano al 70-80 % di tutti i prelievi e fatti in modo sconsiderato, perché qui non c’è un uso ispirato alla sostenibilità… quindi una riduzione del 30% sarebbe sufficiente a coprire i bisogni idropotabili. Questo comporterebbe anche una riduzione degli abusivismi e dell’emungimento delle falde, tra i 150-200mila pozzi abusivi…».

E non è mai stato fatto un censimento reale…

«Non a caso… è possibile che una società come la nostra non riesca a conoscere questi dati?… quando le cose si vogliono si può solo che non si fa perché tutto il sistema è così. Nel Salento l’acqua c’è solo che è sperperata e chiaramente continuando così potrebbe esserci una effettiva carenza in futuro. La ragione, quindi, dice che le responsabilità sono dell’uso che se ne fa e non di una carenza effettiva. E lo stesso si applica per tanti paesi».

Però c’è anche un uso strutturale delle risorse che non viene fatto, come l’acqua dei depuratori che con un lieve processo di affinamento potrebbe essere usato per l’agricoltura, e molti depuratori sono gestiti dall’Acquedotto pugliese…

«L’Acquedotto sta tentando da anni di dare una risposta a tutti i problemi. Molte delle difficoltà sono dovute al fatto che tanti depuratori sono stati costruiti prima dell’introduzione di decreti che li hanno messi fuori norma. C’è un problema di rimessa a norma o avere norme che non siano inadeguate all’obiettivo principale di assicurare la qualità dell’acqua. Poi c’è un problema di connessione dei vari sistemi e di utilizzo dei fanghi… quello che è estremamente importante mi sembra è l’estrema miseria del dibattito cittadino e istituzionale basato sul dialogo, il confronto, i processi decisionali e processi trasparenti. Quello che manca è questa modalità di governo dell’acqua: le infrastrutture, le canalizzazioni, i depuratori, i pozzi… le istituzioni si parlano difficilmente e da poco si comincia a fare un tavolo tecnico di dialogo fra la regione e l’Ato (Ambiti Territoriali Ottimali), tra l’Ato e l’Aqp,


l’Autorità di bacino i Consorzi di bonifica di irrigazione a livello locale e livello provinciale a livello regionale a livello interregionale ecc. La grande difficoltà dell’acqua non è tanto l’acqua ma siamo noi, le società le istituzioni che hanno tempi diversi, prospettive diverse, funzioni diverse che molte volte sono accentuate in dinamiche di conflitto invece che essere in dinamiche di cooperazione. E questo avviene perché essendo l’acqua un bene strettamente legato alla vita e alla salute nessuno vuole prendere responsabilità senza essere coperto dai rischi e dai danni eventuali. Le difficoltà a gestire questi ruoli relazionali sono il grosso problema che ci affligge in molte regioni compresa la Puglia. Il Presidente Vendola sta tentando di promuovere una cultura di dialogo ma ci vorrà tempo. Poi le questioni tecniche sono importanti nella misura in cui si iscrivono in questo spirito né il management è la soluzione. Pensi che l’Acquedotto nella sua storia centenaria ha dimostrato grandi capacità di ingegneria eppure è una struttura che ora ha grossissimi problemi in termini di perdite, che presenta grosse criticità strutturali che dipendono meno dalla tecniche e dal management imprenditoriale ma dalla gestione del governo e dalle relazioni fra le istituzioni e la gente».