Intervista a Edo Ronchi, ex ministro dell’Ambiente

402
Tempo di lettura: 5 minuti

Onorevole Ronchi, che sta succedendo alla politica ambientale italiana?

Nel rapporto dell’Ocse, pubblicato nel giugno 2002, che comprende una valutazione delle performance ambientali dell’Italia dal 1994 al 2001, sono contenuti generali e specifici apprezzamenti per i grandi progressi compiuti dal nostro Paese negli anni di governo del centrosinistra nella gestione ambientale, nella tutela dell’aria, delle acque, nella conservazione della natura e nella gestione dei rifiuti, nelle politiche di sviluppo sostenibile e nella cooperazione ambientale internazionale.
Due anni dopo, nell’aprile del 2004, nell’Outlook, sempre dell’Ocse, la valutazione diventa fortemente critica e in certi punti molto negativa.
Non è quindi solo una valutazione nazionale di parte ambientalista quella critica sul pessimo operato del Governo Berlusconi e del ministro Matteoli in campo ambientale, ma trova già riscontri internazionali.

Cosa è successo in particolare?

L’impostazione politica del governo Berlusconi, fondata sulla violazione delle regole e sull’abbassamento della regolazione come chiavi dello sviluppo economico, fondata inoltre sull’euroscetticismo, ha prodotto un quadro pesantemente negativo per le politiche ambientali.
Il ministro Matteoli, dichiaratamente non tecnico e con limitate competenze nel settore, insieme alla scarsità di quadri tecnici di livello nelle materie ambientali del centrodestra, hanno fatto il resto: una banalizzazione delle questioni di fondo (ben sintetizzata dall’idea che sia lo sviluppo in quanto tale che produce miglioramenti ambientali), una perdita di livello di priorità e di capacità di incidenza, una sostanziale paralisi operativa condita da roboanti impegni dichiarati seguiti da scarse o nulle realizzazioni, con riduzione della spesa effettiva e della operatività delle strutture tecniche.

Dopo tante critiche alle domeniche a piedi, non è stato «inventato» nient’altro…

Le domeniche a piedi avevano ed hanno un valore culturale e di stimolo al cambiamento dei comportamenti. Erano anche accompagnate da un decreto sulla mobilità sostenibile che finanziava interventi strutturali, con risorse limitate, ma che c’erano e incentivavano misure utili: i mobility manager, il car sharing e il car pooling, le auto elettriche, le piste ciclabili, i varchi elettronicamente controllati ecc.
Il disimpegno non solo attuato, ma sbandierato, dall’attuale ministro dell’Ambiente, dalle domeniche ecologiche è stato un grave errore ed ha lasciato soli i comuni che, in numero ancora significativo, sono andati avanti, anche se con maggiori difficoltà.

Si è criticato Kyoto, si è detto che bisogna andare oltre. Gli altri lo dicono nel senso che deve essere più restrittivo e noi? intanto inquiniamo di più.

L’attuale Governo, in linea con Bush anche in questo, si è sostanzialmente disimpegnato dal protocollo di Kyoto lasciando crescere oltremisura le emissioni dannose per il clima che sono ormai oltre il 9% in più di quelle del 1990, a fronte di un impegno di riduzione per l’Italia del 6,5%, entro il 2008 ? 2012.
Anche tenendo conto che una parte rilevante di quella riduzione può essere realizzata fuori dell’Italia con i meccanismi flessibili del Protocollo, siamo ormai entrati in una dinamica fuori controllo gravissima. È vero che anche durante i governi del centrosinistra queste emissioni erano cresciute: le misure che furono adottate, numerose, erano come è


ovvio, destinate a produrre effetti entro il 2008, non potevano avere effetti immediati. Anche se va riconosciuto che si poteva fare di più: per esempio la carbon tax introdotta nel 1998 fu poi congelata (e poi abolita dal centrodestra). Ma ci sono delle differenze rilevanti. Cito le principali.
Dal 1997 al 2001 il Pil è cresciuto con una media annua del 2%; dal 2001 al 2003, la crescita si è fermata con un Pil cresciuto all’anno mediamente dello 0,31%.
Il guaio è che l’intensità energetica è peggiorata: la media annua dell’intensità energetica dal 1991 al 2001 è calata dello 0,31%, nel periodo 2001-2003 è, invece, aumentata dello 0,97%, con un notevole peggioramento dell’efficienza energetica.
Se dovessimo sintetizzare la politica energetica del centrodestra potremmo dire «più carbone e meno energie rinnovabili». La variazione media annua dell’impiego del carbone nel periodo 1997-2001 (in periodo di crescita economica) è stata del lieve incremento annuo dell’1,1%; nel periodo 2001-2003 (di stagnazione economica) c’è stato invece un consistente incremento dell’uso del carbone, con un incremento annuo del 5,5% (+8% nel 2003).
Per le fonti rinnovabili nel periodo 1997-2001 abbiamo avuto una crescita media annua del 5,8% e nel periodo 2001-2003 invece un calo medio annuo del 5,3%.

Non andava bene la legge quadro sui rifiuti? perché ora ne siamo sommersi? dove ha sbagliato la sua normativa?

Col Decreto legislativo 22/97, dal 1997 al 2002, la raccolta differenziata in Italia è quasi triplicata; dal 7% a circa il 20%; il recupero degli imballaggi è passato dal 30 al 50%. L’applicazione della riforma ha avuto tre velocità: al Nord con raccolte differenziate intorno al 30%, al Centro intorno al 18% ed al Sud con livelli ancora bassi, sotto il 10%.
L’emergenza rifiuti è concentrata al Sud del paese con ben 4 Regioni (Puglia, Calabria, Campania e Sicilia) governate con ordinanze di emergenza in deroga della normativa e con strutture commissariali.
Le Ordinanze in deroga della normativa durano da diversi anni: non si può dire che una normativa non funzioni quando, dove c’è emergenza, viene derogata!
Perché persiste l’emergenza rifiuti al Sud? Perché la raccolta differenziata ed il riciclo non decollano e quindi troppi rifiuti devono andare in discarica, perché le discariche a norma sono poche e mal programmate, perché dei 43 inceneritori che funzionano in Italia solo 3 sono al Sud. Perché, cioè, non si applica il Decreto legislativo 22/97.
Di chi è la colpa? Dei Comuni inadempienti, delle Province che non promuovono la gestione integrata e delle Regioni che sono in ritardo nel programmarla; in generale di una classe politica, amministrativa e tecnica che, con significative e lodevoli eccezioni, non ha realmente compreso l’importanza del problema e quando lo ha capito è impreparata ad affrontarlo usando gli strumenti normativi disponibili.
Dove questi strumenti normativi disponibili, forniti in buona parte dal Decreto legislativo 22/97, sono stati utilizzati, al Nord, al Centro ed anche in diversi comuni del Sud, non solo non c’è emergenza, ma la gestione dei rifiuti è buona.

Che cosa


si dovrebbe fare per governare la situazione?

Si dovrebbe applicare il Decreto legislativo 22/97 agendo su più livelli applicando i contenuti dei lunghi e dettagliati articoli della normativa e dei decreti attuativi che non è possibile riassumere in poche parole. Cito solo alcuni titoli: dei buoni piani regionali, una attivazione delle Province come ambiti territoriali ottimali per la gestione, capacità dei Comuni di attivare e promuovere le raccolte differenziate, impianti per il riciclo e per il compostaggio, discariche sicure, ben collocate e ben gestite, per la quota residua: inceneritori pochi, di qualità tecnologica, sicuri, per il recupero energetico.

Si sta spingendo sui termovalorizzatori. Sono una soluzione?

Bruciare tutto è una stupidaggine, poco ecologica e non economica; pensare di non bruciare niente è sbagliato. Penso che un programma che preveda di bruciare, con recupero energetico, circa il 40% dei rifiuti urbani sia il male minore e possa essere accettato, a condizione di adottare buone tecnologie, buone gestioni e buone localizzazioni. Non condivido la drammatizzazione che taluni fanno degli inceneritori che non sono alberi, ma impianti industriali con emissioni che, con buona tecnologia e buona gestione, possono essere minimizzate e non pericolose.
Del resto non mi risulta che i 43 inceneritori funzionanti in Italia provochino disastri ambientali; mi risulta invece molto peggiore la situazione provocata da molte discariche.

I Parchi sono una realtà dagli equilibri delicati sia per la vivibilità delle persone sia per la salvaguardia del patrimonio naturale. A giudicare dallo smantellamento di alcune realtà e dalle reticenze in altre è pensabile che nella loro gestione debba prevalere la politica e non la competenza scientifica?

In Italia vi sono ormai numerosi parchi, sia nazionali sia regionali, che possono essere citati come esempi in Europa per la buona gestione e per i risultati ottenuti in termini di tutela e di valorizzazione sostenibile.
Molti di quelli che li criticavano, in particolare a destra, oggi vorrebbero occuparli come centri di consenso e di potere. Non è tanto un problema di politica o di competenza scientifica, ma di pessima politica, per giunta con scarse conoscenze culturali e tecniche.
(Ignazio Lippolis)