( Enea, Centro ricerche, Casaccia )
L’idea dell’isolamento sismico nasce dall’analisi dello spettro di risposta ai terremoti in termini di accelerazione, riportato in figura 2. In genere, esso presenta forti amplificazioni nel campo dei bassi periodi di oscillazione (T
Fig. 2 ? Spettro di risposta elastico in accelerazione (linea continua) e spostamento (linea tratteggiata)
L’isolamento sismico alla base, aumentando consistentemente il periodo d’oscillazione mediante l’inserimento di particolari dispositivi tra la struttura in elevazione e la fondazione, determina il «disaccoppiamento» del moto della costruzione rispetto a quello del terreno: mentre questo si muove con accelerazioni anche elevate, invertendo molte volte il verso del moto durante l’evento sismico, la struttura al di sopra del sistema di isolamento oscilla lentamente con spostamenti relativi tra i vari piani trascurabili, essendo gli spostamenti assoluti molto ampi ma pressoché costanti lungo l’altezza dell’edificio. Le sollecitazioni, come può dedursi dai valori spettrali, sono ridotte del 70-80%, o anche più, ed è possibili progettare le strutture in campo elastico, ossia in modo che non subiscano danni nemmeno in occasione di eventi sismici violenti. Gli spostamenti assoluti, come detto, aumentano considerevolmente: gli isolatori devono essere in grado di sopportare questi spostamenti e la costruzione deve essere libera di spostarsi lateralmente, grazie ad opportuni giunti.
In realtà il concetto di isolamento sismico trova origini molto lontane. Nella «Naturalis Historia» Plinio Il Vecchio agli inizi del I secolo d.C. scriveva: «Grecae magnificentiae vera admiratio extat tempium Ephesiae Dianae CXX annis factum a tota Asia. In solo id palustri fecere, ne terrae motum sentiret aut hiatus timeret, rursus ne in lubrico atque instabili fondamenta tantae molis locarentur, calcatis ea substravere carbonibus, dein velleribus lanae». Alla base della costruzione del tempio di Diana ad Efeso (eretto nel VI secolo a.C. e riedificato nel 416 a.C. dopo un incendio) c’è l’intuizione di disaccoppiare il moto della struttura da quello del terreno utilizzando uno strato di frammenti di carboni costipati e uno di velli di lana. Veniva realizzato così un isolamento che, in caso di scosse telluriche, avrebbe consentito alla struttura di scorrere sul sito di fondazione preservandola dal crollo.
Secondo gli scritti di Diogene Laerzio (II, 103) nel III secolo d.C. l’idea di progettare il sito di base del tempio di Artemide con strati alterni di carbone e velli di lana fu suggerito da un grande architetto dell’epoca, Theodoros di Samo, che applicò la stessa tecnica per l’edificazione del tempio Heraion (VI secolo a.C.). Questa procedura era ben nota ed utilizzata dagli architetti greci come dimostrano i vari reperti archeologici, contemporanei alla costruzione del tempio di Diana, ad esempio il
tempio di Atena ad Ilion (III secolo a.C.), in cui l’isolamento sismico era realizzato con strati di sabbia e pietrisco sui quali poggiavano le strutture in elevazione. Anche le colonie greche sul Mar Nero furono influenzate da questa tecnica per la posa delle fondazioni; gli scavi realizzati hanno portato alla luce strati di cenere mista a carbone e loess.
Alcuni studiosi ritengono che le fondazioni delle mura di Troia, la cui costruzione risale a 3.500 anni fa, furono progettate con criteri antisismici. Gli scavi effettuati intorno agli anni Trenta hanno portato alla luce uno strato di terra compatta lasciato volutamente tra la roccia e il piano di posa: un cuscino di terra, come per primo lo definì Blegen, l’archeologo autore di tale teoria (Carpani, 2002).
Notizie frammentarie riguardanti arcaiche tecniche di isolamento sismico ci giungono anche dall’ultima delle grandi colonie campane fondata intorno al 700 a.C, Poseidonia, dal nome del dio greco del mare Poseidon; Paestum, come fu ribattezzata dai romani nel 273 a.C, è dominata dalla presenza di tre templi dorici le cui fondazioni sono separate dalla roccia di base da uno strato di sabbia (Figura 3).
Figura 3 ? Il Tempio di Nettuno a Paestum
In Cina, nella provincia dello Shanxi, un monastero costruito nel 313 su strati di terreno sabbioso riuscì a resistere a numerosi terremoti di cui uno di magnitudo 8,2; da questo terremoto uscì indenne anche un tempio eretto nello stesso territorio nel 1056. È inoltre sorprendente vedere come le pagode con i loro pesantissimi tetti in legno siano riuscite a sopravvivere a diversi terremoti per oltre mille anni. Il motivo può essere ricercato nelle tecniche costruttive dell’epoca: questo tipo di struttura veniva semplicemente poggiata sul terreno senza creare un vero e proprio vincolo di continuità con esso, realizzando così un debole accoppiamento suolo-struttura che permetteva alla costruzione di scorrere in caso di terremoto senza riportare danni rilevanti.
La tecnica dell’isolamento sismico era ben conosciuta anche alla popolazione Inca del Perù. Le maestose mura della città di Cuzco, affascinante esempio della capacità architettonica e strutturale di questa civiltà nata agli albori del XIII secolo, e altre costruzioni dell’epoca sono uscite indenni dai violenti terremoti verificatisi nel corso dei secoli, mentre successive edificazioni di origine spagnola hanno riportato danni ingenti. Gli Inca, oltre ad avere ben chiari il concetto di regolarità geometrica e la necessità di incastrare tra di loro i blocchi di pietra, sempre di notevoli dimensioni (6 ? 9 metri di lunghezza per 5 di profondità), realizzavano le fondazioni con uno strato isolante di sabbia e sassi, profondo all’incirca un metro, che permetteva alla struttura di assestarsi senza subire danni. Con lo stesso criterio sono stati costruiti ad Arequipa, circa 1.000 km a sud di Lima, intorno al XVI secolo, diversi edifici, tra cui il suggestivo monastero di Santa Catailina, che ha sopportato devastanti terremoti.
L’idea del disaccoppiamento suolo-struttura, come sistema di protezione sismica, torna a galla
alla fine del XIX secolo. Nel 1870 Touvaillon progettò un edificio residenziale, inserendo tra la sovrastruttura dalla fondazione dei rulli, che potevano scorrere in apposite nicchie di geometria ellittica al fine di garantire il ritorno alla posizione iniziale in caso di rotolamento del rullo.
L’inglese John Milne, docente di Ingegneria Mineraria presso l’Università di Tokyo, noto come «il padre della moderna sismologia», essendo l’inventore del sismografo, descrisse, in una pubblicazione sul British Association for the Advancement of Science del 1885, un esperimento condotto su una costruzione dotata di un particolare dispositivo di isolamento sismico da lui inventato. La struttura era costruita su pilastri alla sommità dei quali v’erano travi in ghisa aventi funzione di cordolo, nelle quali erano ricavate apposite nicchie concave che alloggiavano sfere libere di muoversi. Sopra le sfere e inferiormente alla sovrastruttura erano altre travi in ghisa simili a quelle sistemate inferiormente. Le dimensione delle sfere furono modificate più volte per migliorare la risposta dinamica e le prestazioni nei confronti delle sollecitazioni dovute al vento.
Nel 1906 Jacob Bechtold propose una struttura sismoresistente, consistente in una piastra indeformabile, capace di sostenere l’edificio, semplicemente appoggiata su corpi sferici di materiale rigido.
Nel 1909 il medico inglese Jhoannes Avetican Calantarientes previde l’interposizione di uno strato di talco fra la struttura e le sue fondazioni capace di disaccoppiare il moto della struttura da quello del suolo. Con tale tecnica ottenne una cospicua riduzione delle accelerazioni pur se con rilevanti spostamenti. Previde anche particolari dispositivi che consentivano l’elongazione delle condotte in caso di importanti spostamenti, limitando così il rischio conseguente alla lacerazione di pericolose tubature quali quelle del gas o di altri liquidi nocivi e appositi dispositivi che ne assicurassero la rigidezza nei confronti di azioni di modesta entità di natura sismica o semplicemente dovute al vento.
In Italia, intanto, il famoso terremoto del 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria, con ingente tributo in vite umane e spinse il governo italiano a ricercare una soluzione per preservare i tipici edifici in muratura del meridione da futuri eventi. Fu anche presa in considerazione l’ipotesi di dotare le costruzioni di dispositivi d’isolamento sismico, ricalcando i metodi utilizzati in tempi antichi, ovvero strati di sabbia e pietrisco tra suolo e struttura o anche sistemi di rulli interposti fra fondazione e sovrastruttura che ne permettessero lo scorrimento, ma non fu seguita, preferendo la via della rigidezza e della resistenza, ossia quella di progettare edifici incastrati alla base, imponendo severe limitazioni in altezza e tenendo conto degli effetti del sisma attraverso una certa azione orizzontale.
Al contrario, Frank Lloyd Wright progettò l’Imperial Hotel a Tokyo, la cui costruzione fu completata nel 1921, prevedendo fondazioni su uno strato di terreno compatto, spesso poco più di 2 m, che a sua volta poggiava su uno strato di limi melmosi, profondo circa 20 m. Questo comodo cuscino filtrò le componenti del sisma di periodo breve, trasmettendo in superficie solo componenti di periodo lungo, salvando la struttura dal terremoto che investì Tokyo nel 1923
e che causò il crollo di molti edifici progettati con tecniche tradizionali.
La prima applicazione moderna dell’isolamento sismico è quella della scuola Pestolazzi di Skopje in Macedonia, ricostruita a seguito di un sisma nel 1960. Il sistema di isolamento, proposto da un team di ingegneri svizzeri e denominato Swiss Full Base Isolation 3D, rappresenta il prototipo degli attuali dispositivi elastomerici.
Con la costruzione di impianti nucleari si rese indispensabile l’adozione di sistemi di protezione sismica di massima sicurezza e affidabilità. È in quest’ottica che nascono le prime applicazioni dell’era moderna dell’isolamento sismico.