Un intervento prodigioso spiegato dalla scienza

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Gli studi effettuati dalle Soprintendenze Archeologiche di Roma e del Lazio a sud est della Capitale hanno permesso di accertare che la Piana di Ciampino non fu interessata stranamente da insediamenti umani anteriormente al Bronzo antico (circa 4.000 anni fa). A partire dal Bronzo finale (circa 3.000 anni fa) fino all’età arcaica, invece, l’area è stata ripetutamente oggetto di opere di bonifica tramite la realizzazione di una fittissima rete di drenaggio. Poco prima del Bronzo, è la deduzione degli esperti, dovrebbe essersi verificato un drastico cambiamento nel regime di drenaggio dell’area.

La risalita delle acque del Lago, nel Bronzo finale, indusse gli abitanti dei villaggi prossimi alla riva a riparare in siti ubicati a quote più elevate. È il caso del famoso «Villaggio delle Macine» scoperto dagli archeologi subacquei della Soprintendenza del Lazio, insediamento oggi completamente visibile in quanto le acque del Lago si sono abbassate. La pericolosa risalita delle acque di allora comportò lo spostamento di presenza umana nell’area sottostante il vulcano, nella zona di Ciampino-Capannelle dove si instaurò un nuovo regime fluviale, sostenuto dalle ricche sorgenti a monte, rendendola così ospitale. L’innalzamento delle acque fu repentino, ma i dati in possesso non permettono di stabilire con certezza se, durante ogni sollevamento, il suo livello sia riuscito o meno a superare la soglia del bordo craterico e ad alimentare il regimi idrografici a valle.
La letteratura classica, sia greca sia latina, ci dà larga testimonianza di particolari fenomeni naturali avvenuti durante la nascita e lo sviluppo della civiltà romana, tramandati ai posteri come prodigi.
Dionigi d’Alicarnasso, nelle «Antiquates Romanae» XII, 9,3, riferisce degli effetti catastrofici delle esondazioni del Lago di Albano dall’età arcaica sino a quella romana; lo stesso fecero, nelle loro opere, Plutarco e Tito Livio, narrando di un’improvvisa salita e fuoruscita delle acque durante l’assedio, da parte dei Romani, della città etrusca di Veio. Per molto tempo questo strano episodio è rimasto privo di interpretazione: oggi, grazie ai tagli stradali e agli studi stratigrafici connessi, si ha la conferma che la leggenda possiede elementi di veridicità.

La corretta traduzione e lettura dei testi antichi, di concerto con i contributi di molteplici discipline scientifiche, permette oggi di individuare, nell’area in questione, dati e analisi che rimettono in discussione studi e conoscenze considerate finora definitive.
Dal 562 al 741 d.C., raccontano il mito e la storiografia classica, si verificarono eventi geofisici come fuoruscite improvvise di gas vulcanico presso Lanuvio, episodi straordinari come il lancio di pietre nei pressi del cratere di Ariccia, e numerosi movimenti sismici.
Si tratta, in sostanza, di fenomeni che indicano come, anche nei tempi antichi, vi fossero dei fluidi in pressione contenuti negli acquiferi superficiali della parte occidentale dei Colli Albani. Fenomeni analoghi sono stati osservati anche in tempi moderni e, oggi, si hanno prove inconfutabili della presenza di un acquifero pressurizzato ricco di anidride carbonica e con temperature fino a circa 100°C.
L’abbassamento della falda acquifera riscontrato negli ultimi 40 anni ed imputato al suo eccessivo sfruttamento, aggrava la situazione per la


maggiore quantità di CO2 che dovrebbe essersi accumulata. Il basso livello attuale del Lago non dovrebbe consentire il superamento della soglia del bordo craterico, mentre la liberazione di pericolose nubi di anidride carbonica rimane, purtroppo, un evento possibile.
Con questi nuovi risultati scientifici, l’attività recente del «Vulcano Albano» viene rideterminata aprendo un nuovo capitolo della storia geofisica del territorio nazionale ancora tutto da scrivere.
Secondo Mario Aversa, del Settore Rischi Naturali di Tipo Lento dell’Apat, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici, esperto di Geomitologia, una nuovissima branca della Geofisica, il fenomeno non è assolutamente nuovo: «Gli emissari artificiali presenti all’interno dell’apparato vulcanico, nei crateri di Albano e Nemi e quelli di Ariccia e Giuturna (località Laghetto nei pressi di Pavona), sono l’espressione di un’antica architettura sacra e fanno presupporre che la fuoruscita stessa delle acque abbia coinvolto anche gli altri laghi presenti arealmente nell’edificio».

Gli aspetti magico religiosi dell’interpretazione del «fenomeno divino» sono legati, infatti, alla storia della profezia di un anziano di Veio, città etrusca in guerra con la nascente potenza romana. Il lago della allora sacra «Selva Albana» si era alzato in modo anomalo e repentino durante l’estate senza che vi fossero state piogge o altre cause che potessero spiegare lo straordinario fenomeno. Poiché i Romani non avevano tra le loro fila interpreti di questo particolare tipo di prodigi al pari degli espertissimi Etruschi, mandarono una delegazione a Delfi, riconosciuto centro dedicato ad Apollo e famoso per interpretazioni oracolari dei prodigi da parte della nota Sibilla. Ma il responso venne invece proprio da Veio. L’anziano indovino veiente, portato fuori dalla città con un sotterfugio, predisse che i Romani non avrebbero mai potuto conquistare Veio fino a quando le acque del lago non fossero state totalmente scaricate. Di qui la realizzazione dei cunicoli artificiali di deflusso delle acque dei laghi vulcanici.
Lo studio dei miti e delle leggende e dei miracoli intorno ai Colli Albani diventa così prezioso patrimonio interpretativo del possibile essersi verificato di pericolosi fenomeni naturali, registratisi nell’antichità e finora mai interpretati in chiave vulcanologica.
E se di nuovo le acque dei laghi craterici, che ora si abbassano con velocità preoccupante, come da più parti è affermato, improvvisamente, di nuovo, iniziassero a risalire, a chi potremmo chiedere oggi per sapere quale sarà il futuro delle aree fortemente antropizzate sottostanti?