Sergio Baffoni, responsabile foreste di Greenpeace Italia, denuncia che gli sfruttatori riescono ad operare indisturbati in zone in cui il sistema delle mazzette è l’unica norma vigente. Talvolta il tessuto normativo è così debole che si crea una rete occulta ma estremamente efficace, tanto da estendersi al traffico d’armi. Corrompendo ed intrallazzando si possono ottenere concessioni anche al di là dei confini autorizzati ed addirittura in aree protette. Così le compagnie arrivano, lavorano per alcuni anni e poi se ne vanno, dopo aver snaturato lo stile di vita delle popolazioni ed averle illuse con il miraggio del benessere. La mafia del legno prospera in virtù di consolidate pratiche contabili quali dichiarare acquisti a prezzi gonfiati e vendite «sotto costo» per sminuire i profitti e pagare meno tasse, oppure falsificare i dati su qualità e quantità del legno per evitare le dovute royalties. Il tutto va a discapito di un gettito fiscale di cui proprio i paesi poveri avrebbero maggior bisogno.
Inoltre i guadagni immediati a vantaggio di pochi creano danni gravi e persistenti a carico della collettività, perché la devastazione dell’habitat è estremamente difficile da sanare.
Infatti la Fao ritiene che lo scempio delle foreste debba essere considerato un atto criminoso nei confronti dell’intera umanità e, come tale, contrastato fortemente da parte di tutti i governi.
Va da sé che, laddove per problemi interni i paesi produttori non riuscissero ad intraprendere azioni efficaci, risulta determinante il ruolo degli acquirenti. Ad esempio il Wwf denuncia che il 13% del materiale acquistato dalle amministrazioni pubbliche negli stati membri del G8 ed in Cina potrebbe essere di provenienza illegale. La cifra non pare impressionante di per sé, ma lo diventa se si considera che questi paesi importano da soli i 2/3 della produzione mondiale di legname da costruzione, pasta di cellulosa, carta ed altri derivati. Il totale ammonta a 53 milioni di metri cubi l’anno e corrisponde al disboscamento di una superficie pari a quelle di Belgio ed Olanda insieme. Nel maggio del 2003 la Commisione Europea ha varato il piano Flegt (Forest Law Enforcement, Governance and Trade) volto ad incrementare la cooperazione internazionale, mettere in atto un partenariato con i paesi produttori e supportarne i governi nell’opera di controllo.
Inoltre sono allo studio sia interventi contro il disboscamento illegale nei paesi candidati ad entrare nell’Unione sia un meccanismo su base volontaria per chiudere i confini europei ai legnami non certificati.
Tuttavia gli ambientalisti accusano questi stessi paesi di non dimostrarsi altrettanto risoluti quando si tratta di passare all’azione. Ad esempio Duncan Pollard, presidente dell’European Forest Programme del Wwf, ritiene che gli stati membri dovrebbero avvalersi dell’eccellente potere d’acquisto per influenzare il mercato condizionando l’offerta o, per lo meno, vigilando rigorosamente sulle importazioni. Ad oggi solamente la Francia, la Germania ed il Regno Unito hanno ufficialmente intrapreso questa via e, secondo l’Ong «Friends of the Earth», la metà delle importazioni europee resta di dubbia provenienza. Anche l’Austria, la Danimarca e la Grecia si sono impegnate a
rifornirsi di legname proveniente da fonti certificate e sostenibili. Tuttavia la Gran Bretagna è la sola ad aver adottato una rigorosa politica di acquisto, tanto che lo stesso Wwf le assegna il primo posto nella classifica stilata in base all’impegno profuso contro l’illegalità.
Invece l’Italia è ultima insieme al Portogallo, pur avendo una forza d’acquisto tale per cui potrebbe fare la differenza rifiutando il legno di provenienza illegale o distruttiva, anziché rendersi passivamente complice del malcostume. Infatti, come risulta dal Programma Foreste Italia, il nostro paese è il sesto importatore mondiale di prodotti forestali ed il secondo in Europa, il primo dall’Africa e dai Balcani, nonché primo produttore di mobili europeo.
Durante il Workshop «Illegal Logging and Illegal Trade» tenutosi nel luglio scorso ad Interlaken un’inedita alleanza tra imprenditori e società civile ha sollecitato l’Itto (International Tropical Timber Organization) ed i suoi stati membri ad intraprendere azioni radicali affinché la trasparenza e l’accesso alle informazioni cancellino le zone d’ombra ove il malaffare brulica indisturbato.
A loro volta Greenpeace, il Wwf ed il Fern, supportati da 150 associazioni in tutto il mondo, hanno presentato lo scorso dicembre una bozza di regolamento per bloccare l’importazione illegale di legnami in Europa.
Com’è comprensibile il mondo del volontariato è schierato in modo compatto; tuttavia giungono conferme anche da fonti super partes. Ad esempio il Webzine «Pagine di difesa» riferisce che il contingente italiano in Kosovo rileva sì ingenti quantità di armi detenute illegalmente, ma ancor più legnami di provenienza illecita e sull’ordine di un centinaio di tonnellate al mese.
Questo tipo di contrabbando si sta rivelando decisamente redditizio ed ha già devastato i monti della Metohija, nella zona al confine con Albania e Montenegro. Gli stessi taglialegna sono costretti ad assoldare mercenari che li proteggano dagli assalti dei contrabbandieri. A loro volta questi ultimi, quando non riescono a impadronirsi della legna già tagliata, segano i tronchi all’altezza delle proprie spalle per risparmiare tempo e fatica.
Dal canto suo la testata «Spiritual Search» riporta la denuncia del «Forest Watch Indonesia» circa la connivenza delle mafie straniere con personaggi vicini all’amministrazione del paese. Le foreste tropicali indonesiane, ha ribadito il responsabile dell’Ong, vengono sfruttate al ritmo di 1,5 milioni di ettari l’anno tant’è che, rispetto al 1950, oggi ne rimane poco più della metà. Data la situazione già compromessa, il Wwf si sta adoperando affinché per la ricostruzione post-tsunami venga fornito legname dall’estero. Si calcola che nei prossimi cinque anni ne occorrerà una quantità equivalente ad una superficie boschiva di 266.666 ettari, un peso che non può ulteriormente gravare sulle foreste residue, ultimo baluardo contro le alluvioni ed il dissesto idrogeologico.