Serve una cultura della complessità

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Sono sicuramente notevoli le difficoltà che incontriamo nel vivere in questo nostro mondo. Non abbiamo soluzioni affidabili, non sappiamo, neanche definire un quadro affidabile di problemi ordinati secondo le priorità di un «bene comune». Ma forse ciò che di essenziale manca è la nostra decisione di usare quelle «chiavi di lettura» alternative, necessarie per andare oltre le rappresentazioni del mondo, ingessate dalla crescita dei consumi. È necessario superare l’attuale stato dell’economia che impedisce l’esplorazione di quel senso del vivere che è nel profondo delle nostre aspirazioni.

Dobbiamo poter praticare soluzioni diverse da quelle convenienti, oggi molto in uso, di affrontare la complessità dei problemi con le letture macroscopiche, degli eventi, che tendono a ridurre tutto a facili e false «contrapposizioni». Il conseguente occultamento dell’unicità dei microelementi (che sono l’essenza più intima del divenire della realtà) e della specificità degli impatti dei microprocessi ad essi connessi, di fatto, compromette pesantemente il contributo straordinario di rilevanti e ulteriori elementi necessari per un approccio sistemico ai problemi del nostro riuscire a sintonizzarci con gli «equilibri vitali» di questa Terra. Una visione sistemica del divenire della realtà permette, infatti, di definire e affrontare i diversi conflitti, fra gli equilibri del nostro ambiente di vita (non solo sociali e culturali, ma anche economici e naturali), nelle loro articolate dimensioni, invece di applicare le soluzioni preconfezionate, ideologiche, approssimate e devianti, dell’ingenuo pragmatismo deterministico.

Non possiamo, infatti, lasciarci sfuggire elementi fondamentali della realtà che non solo possono aiutare a svelare (in modo più affidabile e andando ben oltre le «illuminate» rivelazioni di elitari ed isolati costruttori di «pensieri unici») le dinamiche dei fenomeni, ma che, soprattutto, offrono nuove prospettive alternative nella ricerca del «senso delle cose». Le opportunità e i vincoli che si possono incontrare (nei più articolati processi cognitivi interattivi e nelle valutazioni iterative sulle funzioni dei microelementi e sui microprocessi dei fenomeni socio-economici) consentono di ampliare le nostre esperienze e le sinergie per sviluppare una cultura più avanzata, quella della «complessità».

Cultura delle «consapevolezze» sulle dimensioni eterogenee degli eventi (spesso del tutto imprevedibili, che intervengono e interagiscono nella costruzione della realtà), per non trovarci a vivere, come cittadini impotenti e sprovveduti, le micidiali congiunture sottratte alle nostre percezioni e alla nostra partecipazione. Cultura dell’«autonomia» di giudizio e della collaborazione: perché contribuire a definire problemi e alternative è indispensabili per valutare e decidere responsabilmente. Cultura della «relazione» con i propri intorni fisici e mentali: perché senza condividere e confrontare costruttivamente la diversità dei nostri patrimoni di conoscenze, esperienze e valori rimaniamo privati delle indispensabili sinergie che rendono vitali le comunità umane.

Una cultura, quella della «complessità», che si propone anche come rimedio intelligente alla spontanea degradazione entropica che caratterizza le dinamiche distruttive, che l’uomo può decidere di seguire, come avviene in quelle «congiunture» nelle quali un cambiamento o una crisi non diventano opportunità di rinnovamento e di progresso umano, ma occasione di deroghe e di deregulation. Oggi i rapporti internazionali vivono già troppo ottusamente di equilibri precari che rischiano di farci passare dalle drammatiche separazioni sociali ai sanguinosi scontri, che l’egoismo è capace di fomentare, fra le diverse comunità umane. Oggi facciamo «scelte globali» frutto di valutazioni troppo approssimate perché effettuate sui «grandi numeri» (possiamo sapere, per esempio, solo se l’economia va bene o va male, ma non sappiamo perché, come, dove e quanto vada in un modo o in un altro). Siamo troppo acriticamente attenti alle tendenze per facilitare le produzioni, renderle continuamente necessarie e rendere indispensabile la crescita del mercato dei consumi…

Fin qui, dunque, qualche considerazione, connessa a esperienze comuni di vita. Sono argomenti ed esperienze che, per uscire dal caos dei nostri pensieri autoreferenziali, devono essere lasciate maturare, sia nelle riflessioni dei singoli individui, sia mentre sono proposte a valutazioni collettive, a momenti comuni di giudizio per diventare, poi, decisioni ed essere affidate a una loro democratica, informata e consapevole manutenzione.

Forse, abbiamo bisogno, per passare alle fasi decisionali della nostra partecipazione, di uno spazio di riflessione, personale e creativo, che ciascuno, poi, possa condividere anche nella quotidianità degli incontri o in occasionali piccoli e grandi percorsi di vita. Non un invito al «consenso» verso una «buona» nuova idea, né l’adesione a una «illuminante» traccia già segnata e solo da seguire. Un invito, invece, al superamento delle visioni deterministiche che danno per acquisiti comportamenti e modi di pensare (come quelli di supporto alla «crescita dei consumi» e all’«individualismo etico») o che, su altri versanti, criminalizzano i comportamenti umani (l’uomo come «nemico del bene»). Dovremmo poter contare di più su ciò che intenzionalmente ciascuno di noi è capace sia di sviluppare, nella propria diversità e dal profondo delle proprie aspirazioni, sia di condividere virtuosamente con altri.

È una ricerca di spazi sicuramente faticosa, se viene interpretata come lavoro ciclopico per porre un improbabile rimedio all’incompiutezza della condizione umana o se viene subìto come impietoso obbligo morale. Ma, liberata dai condizionamenti, è, forse, una ricerca che può anche presentarsi come occasione per un’entusiasmante avventura in quel mondo complesso, spesso idiotamente mortificato, delle «incertezze», alla ricerca di condivisibili e premianti «consapevolezze» e «responsabilità» umane.