Nel Parco d’Abruzzo gli orsi muoiono per troppe… vacche

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La storica Associazione denuncia da anni una situazione insostenibile per la salvaguardia delle specie selvatiche e per la biodiversità del Parco, ora un referto sanitario conferma che l’autorizzazione o il permettere il pascolo brado è una concausa fondamentale per la mancata sicurezza degli orsi. Il problema delle esche velenose non affrontato seriamente

L’ultimo referto sulle cause della morte della giovane femmina, in età riproduttiva, di Orso marsicano, non lascia dubbi, confermando quanto il Gruppo Orso tenta inutilmente di far comprendere da almeno un decennio: tubercolosi bovina, frutto della incontrastata invasione delle «vacche sacre». Se alle malattie introdotte dal bestiame seminomade abusivo si aggiungono le ripetute stragi con veleni, non dovrebbe essere così difficile individuare i colpevoli (esecutori, mandanti, detentori di interessi contrari ai grandi predatori). Eppure finora nessuno ha fatto nulla. Perché?
Episodi come questi, oggetto da noi solo di sterili lamentazioni, stanno suscitando però crescente indignazione a livello internazionale. Ci limiteremo, per ora, ad estrarre solo qualche citazione dalla valanga di proteste che ci pervengono, o circolano negli ambienti interessati.
«Adesso è chiaro che l’Italia dovrà decidere se preferisce un Parco di orsi, o un Parco di vacche. Se insiste a proclamare a parole il primo, e nei fatti tollera il secondo, vuol dire che accetta ancora una volta la distruzione di una delle sue maggiori risorse ecologiche e turistiche». (H.L.)
«Ricordo che nella tanto deprecata e calunniata “vecchia gestione” situazioni del genere erano inconcepibili, e l’invasione delle “vacche sacre” veniva contrastata e sanzionata con interventi a sorpresa delle Guardie, cui seguivano ripetute condanne penali. E si stava pure allestendo un recinto per rinchiudervi le mandrie sequestrate, quasi sempre di allevatori abusivi provenienti da zone esterne al Parco… Perché non se ne parla più?». (M.V.)
«Abbiamo protestato, e ci siamo sentiti rispondere che quando vengono sparsi veleni, non è possibile risalire ai colpevoli. Ma scherziamo? Le autorità italiane dovrebbero piuttosto documentarsi su ciò che avviene invece all’estero. In altri Paesi, crimini come lo spargimento di bocconi avvelenati fanno scattare, al primo allarme, massicce operazioni di controllo e rastrellamento di tutto il territorio circostante. E se anche non sempre trovano il reo confesso o il colpevole, scoprono valanghe di abusi e irregolarità. Al punto che, dopo un paio di incursioni del genere, sono gli stessi allevatori “sani” a costringere i loro colleghi “deviati” a farla finita con queste pratiche assassine». (W.R.)
«Forse vi interesserà sapere come la Spagna si difende da questa criminalità. Se una zona naturale viene proditoriamente avvelenata, si sancisce la sua totale esclusione dal pascolo e dalle altre attività produttive per un buon numero di anni… E posso assicurarvi che questo fa passare la voglia di scherzare, trasformando tutti i cittadini onesti in solerti guardiani della integrità del territorio» (M.P.)
La situazione italiana, più che difficile, appare sempre più paradossale. Mentre tutti proclamano solenne fedeltà a un inconsistente Patom, sotto sotto qualcuna delle stesse autorità tenta di aprire in Abruzzo la caccia al cervo e al capriolo. Con quanta gioia per gli ultimi orsi sopravvissuti, si può immaginare…
La domanda finale da un milione di euro è questa: Riuscirà il Parco d’Abruzzo a ritrovare se stesso, liberandosi delle nebbie e delle infezioni che lo avvolgono, e a ritrovare finalmente la propria strada per difendere con ogni mezzo il patrimonio per cui, quasi un secolo fa, venne miracolosamente creato da menti e cuori assai più aperti e lungimiranti della sconfortante politica attuale?

Franco Tassi, coordinatore del Gruppo Orso Italia