Contro il dolore arriva la Cannabis terapeutica

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Pianta di Cannabis
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Si tratta di un’importante passo avanti nella battaglia contro uno degli aspetti più devastanti ma nel contempo più trascurati della condizione di moltissimi malati costretti a tutt’oggi a rinunciare a curarsi in maniera più appropriata e soddisfacente per quello che purtroppo viene in Italia visto e vissuto come una faccia quasi obbligata della condizione di malattia e cioè il dolore cronico non rispondente a terapie tradizionali

Con l’ormai prossimo accordo fra ministero della Difesa e ministero della Salute (roba ormai di poche settimane o al massimo qualche mese) i pazienti affetti da dolore cronico neuropatico centrale intrattabile con altri presidi terapeutici andrà a dotarsi di un nuovo e più valido strumento rappresentato dai farmaci a base di cannabis che dovrebbero essere disponibili a partire dai primi mesi del 2015.
Si tratta di un’importante passo avanti nella battaglia contro uno degli aspetti più devastanti ma nel contempo più trascurati della condizione di moltissimi malati costretti a tutt’oggi a rinunciare a curarsi in maniera più appropriata e soddisfacente per quello che purtroppo viene in Italia visto e vissuto come una faccia quasi obbligata della condizione di malattia e cioè il dolore cronico non rispondente a terapie tradizionali.
Le piante da cui si ricaverà la cannabis terapeutica verranno coltivate nei terreni dell’Istituto militare chimico farmaceutico di Firenze ed essa sarà disponibile in preparazioni galeniche che potranno quindi essere prescritte dai medici curanti se e quando altre tipologie di farmaci avranno dimostrato di essere inutili o insufficienti nella gestione delle manifestazioni dolorose di pazienti con dolore cronico centrale.
La notizia è stata accolta molto favorevolmente sia dai medici sia dalle associazioni dei malati che infine dalla stessa Federfarma che ha parlato, senza alcuna esitazione, di una novità estremamente positiva per poter vincere non solo la battaglia contro il dolore ma anche e soprattutto quel vero e proprio stigma culturale che avvolge questo tipo di problematica in un contesto in cui parrebbe che ridurre o eliminare del tutto l’esperienza soggettiva del dolore, nel corso della propria malattia, possa determinare condizioni di anomala innaturalezza.
La sostanziale insufficienza dell’approccio della medicina nei confronti del dolore cronico è giunta al punto di causare una vera e propria levata di scudi, partita da coloro che per lavoro più frequentemente si trovano a dover lottare contro un nemico silenzioso ma devastante come il dolore cronico e seguita a ruota da pazienti ed associazioni di malati i quali non hanno mai smesso, nel corso degli ultimi anni, di chiedere un approccio più deciso ed organico alla lotta al dolore, consapevoli che spesso si tratta di una lotta non solo per la dignità delle persone ma anche per la qualità della loro vita, quando non all’esito stesso delle cure.
Perché un malato che soffre e non vede all’orizzonte neanche la possibilità stessa di una riduzione del proprio dolore è un malato che perde il senso della vita, abbandona la voglia di combattere, si vede perso ed abbruttito nella sfida della vita e finisce molte volte per chiedere di farla finita anche quando è possibile fare qualcos’altro per ripristinare una condizione di vita accettabile e decente.
Si è così elaborato un vero e proprio Manifesto contro il dolore, a cura della Fondazione Isal, che prende le mosse proprio dalla consapevolezza che sono troppo numerose le persone che in Italia soffrono di dolore cronico (dal mal di schiena alle forme artrosiche severe, dalle nevralgie al fuoco di Sant’Antonio e così via) prima e senza neanche giungere ad analizzare tutte le molteplici cause di dolore cronico imputabili a tutte le varie neoplasie possibili.
Il dolore cronico di varia entità costa circa tre milioni di ore lavorative all’anno e più di tre milioni di euro sia in prestazioni sanitarie sia in farmaci tradizionali: si comprende quindi come si possa insomma fare di più e si debba, ancor prima, sapere e conoscere di più. Non solo a livello di classe medica (che pure risente di un approccio troppo «leggero» e tradizionale a questo importantissimo tema) ma anche di cittadini ed istituzioni.
Nel giugno del 2009 la Fondazione Isal, creata per volontà ed impegno del prof. W. Raffaeli di Rimini, ha presentato il progetto «Cento città contro il dolore» con il patrocinio del Senato e del ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali con la ufficializzazione del «Manifesto contro il dolore» che rappresenta una vera pietra miliare nella battaglia contro tutte le condizioni dolorose croniche e che è formulata come una sorta di carta d’intenti a favore delle buone pratiche nel settore.
Vi si legge che è fondamentale impegnarsi collettivamente ed incisivamente in direzione della sensibilizzazione e della informazione generale sul tema del dolore; della capacità di riconoscimento del dolore cronico come malattia da curare; del sostegno di iniziative sanitarie volte a prevenire e gestire le cronicità; della rimborsabilità dei farmaci adeguati; della promozione di raccolte di fondi finalizzati e della ricerca tematica; dell’avanzamento della cultura e della formazione specifica sul tema dolore; dell’auspicio che gli stessi media sappiano porsi in maniera più costruttiva e consapevole nei riguardi di questa esperienza di vita che interessa tantissima gente e può purtroppo coinvolgere ciascuno.
È insomma importante creare una vera e propria rete a supporto di chi soffre, il quale va concretamente aiutato a vivere e vivere meglio, con uno sguardo attento non solo al suo corpo ma anche alla sua mente.
La cannabis terapeutica, a lungo richiesta come elemento di particolare efficacia nella lotta al dolore, ha scontato in questi anni il clima e le conseguenze di un approccio moralistico ed ottuso, quasi che eliminare il dolore con la cannabis dalla vita di una persona che soffre rasentasse la negazione di una visione tradizionale della vita oltre che della malattia. Il dolore come peccato da espiare, come amaro calice da bere, come esperienza irrinunciabile dell’esser uomo: che partorisce, nasce e muore nel dolore per far felice chissà chi.
Ebbene, l’introduzione della cannabis in terapia e l’avvio a breve della sua distribuzione nei canali della sanità pubblica ci rende non tanto e non solo più moderni quanto e soprattutto più umani, più capaci di cogliere la complessità del nostro vivere, più sensibili a chi nel dolore può perdere il senso del curarsi, del combattere e del vivere.

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