Si è interrotto il cammino dell’uomo verso la felicità

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Friedrich Nietzsche
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Quella felicità individuale che potrebbe essere alla base di livelli superiori di equilibrio interiore e collettivo, che appare paradossalmente indietreggiare a confronto con i colossali progressi della produzione di ricchezza materiale, ad ogni livello sociale, di ricchezza economica e culturale

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Il cammino dell’Uomo dalla lotta per la sopravvivenza nei nuraghi sardi, nelle grotte etrusche, nelle foreste africane, ovunque, alle prese con mille problemi quotidiani, può sembrare irreale, oggi che grazie al cammino di millenni abbiamo costruito un pensiero superiore, una grande scuola, un apparato scientifico e tecnologico che ci permette le meraviglie della ricchezza di ogni bene e della velocità delle comunicazioni e dei viaggi.
Sicuramente un trionfo dell’Uomo, che nel suo cammino ha fatto faville e oltre, con i miracoli, come quello del volo sognato da Icaro e realizzato nel Novecento dai grandi ingegneri e transvolatori.

Non ci resta allora che cimentarci con la realizzazione di livelli superiori di armonia sociale, e di quella felicità individuale che potrebbe essere alla base di livelli superiori di equilibrio interiore e collettivo, che appare paradossalmente indietreggiare a confronto con i colossali progressi della produzione di ricchezza materiale, ad ogni livello sociale, di ricchezza economica e culturale.
Non solo per i giovani che tristemente frequentano i luoghi istituzionali delle dipendenze, ma anche per i figli della borghesia ricca e infelice che trova il più alto rappresentante in Edoardo Agnelli, erede dell’Impero economico, che si è perso nei meandri della mente, volando da un ponte direttamente in cielo, per sfuggire alla tristezza di una vita ricca e borghese che non sopportava.

Così, mentre si corre per resistere alle leggi di un mercato che tende a sopraffare il bene pubblico, anche con magheggi vari e avariati che solo le grandi lobby riescono a mettere in campo, anche con irrisione di principi costituzionali fondamentali, mentre ognuno tenta di sopravvivere a un mondo sempre più impersonale e sempre più incattivito da una confusione di ruoli tra soggetti pubblici e privati che da bravi pirati, ad ogni angolo pescano contro i viandanti moderni con autovelox, cineprese, furbi e furbetti dei quartierini, può essere utile riparlare dell’Uomo in sé, sul suo successo o fallimento interiore che poi dovrebbe essere l’obiettivo primo della crescita dell’individuo, verso quell’Uomo elevato di Confucio e di Nietszche, che ancora non vediamo, con deleghe dell’uomo «comune» al salvatore di turno che poi da Piazzale Loreto a Piazza Navona, dal deserto libico, ai generali argentini non hanno salvato neanche se stessi, portando nel burrone partiti e popoli.

Non ci resta allora che riprendere la strada indicata dagli antichi Maestri, percorsa da Valenzi nel suo ultimo lavoro, in cui, come scrisse Antonio Landolfi nella Presentazione, possono essere attualissimi ed evitarci la ripetizione di errori che ancora oggi stiamo pagando a caro prezzo. Landolfi, infatti, scrisse:
«La lezione degli “Antichi Maestri” da Socrate a Seneca, da Montaigne a Nietzsche non come lettera morta, ma nel loro attualizzarsi in politica, cultura, scienza, gesti, comportamenti, persino quando necessario, polemica di oggi. Lezioni dunque per il vivere, per agire, per prospettare il futuro. Giunture mobili, cioè vitali, in quanto vissute, tra passato che non è soltanto tale perché ri-esiste, presente che si attua in comportamenti che si proiettano nel futuro.
«Le Riflessioni di Vincenzo Valenzi (medico, scienziato, studioso di filosofia e di politica) sono gli scritti di un poligrafo che spazia in ogni regione della conoscenza, cavalcando il destriero del dubbio, con il gusto per lui invincibile delle assonanze, sempre sorprendenti perché inaspettate.
«In gergo musicale, una raccolta di scritti rapidi e cromatici che potrebbe definirsi una serie di “toccate e fughe”. Da temi particolari, ed anche molto differenziati, nasce lo spunto per incisive e sonore riflessioni di ampio respiro. Sono le magie create dalle lezioni degli antichi maestri».

In questa breve presentazione, replicando il percorso di Valenzi, vogliamo riproporre qualche passaggio chiave delle lezioni più importanti che possono aiutarci ad andare oltre perniciosi errori che ci rallentano la corsa verso livelli superiori di sé.

Cominciamo da Epicuro che disse: «Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l’età».
Ci siamo a lungo intrattenuti nelle lezioni dei Grandi Maestri citati, ma la «scoperta», di Seneca, grande consigliere politico dell’Impero Romano, in particolare le sue riflessioni sulla brevità della vita, nella loro cruda raffinatezza, meritano qualche altra rilettura, per noi contemporanei di un Tempo che ricorda tanto i «bei» tempi di Nerone.

Scriveva Seneca:
«Soli tra tutti sono sfaccendati coloro che si dedicano alla saggezza, essi soli vivono e infatti non solo custodiscono bene la propria vita: aggiungono ogni età alla propria, qualsiasi cosa degli anni prima è stata fatta, per essi è cosa acquisita. Se non siamo persone molto ingrate, quegli illustri fondatori di sacre dottrine sono nati per noi, per noi hanno preparato la vita. Siamo guidati dalla fatica altrui verso nobilissime imprese, fatte uscire fuori dalle tenebre verso la luce, ma non siamo vietati a nessun secolo, in tutti siamo ammessi e, se ci aggrada di venir fuori con la grandezza dell’animo dalle angustie della debolezza umana, vi è molto tempo in cui potremo spaziare.
«Possiamo discorrere con Socrate, dubitare con Carneade, riposare con Epicuro, vincere con gli Stoici la natura dell’Uomo, andarvi oltre con i Cinici.
«Permettendoci la natura di estenderci nella partecipazione di ogni tempo, perché non (elevarci) con tutto il nostro spirito da questo esiguo e caduco passare del tempo verso quelle cose che sono immense, eterne e in comune con migliori?
«Costoro che corrono di qua e di là per gli impegni, che non lasciano in pace se stessi e gli altri, quando son ben impazziti, quando hanno quotidianamente peregrinato per gli usci di tutti e non hanno trascurato nessuna porta aperta, quando hanno portato per case lontanissime il saluto interessato (dal cliente verso il patrono, ricompensato in cibarie), quando e chi hanno potuto vedere di una città tanto immensa e avvinta in varie passioni?
«Quanti saranno quelli che il sonno e la libidine o la grossolanità li respingerà. Quanti quelli che dopo averli tormentati a lungo, li trascureranno con finta premura… Quanti eviteranno di mostrarsi nell’atrio zeppo di clienti e fuggiranno attraverso uscite segrete delle case, come se non fosse meno scortese l’inganno che il non lasciarli entrare? Quanti mezzo addormentati e imbolsiti dalla gozzoviglia del giorno precedente, a quei miseri che interrompono il proprio sonno per aspettare quello altrui, a stento sollevando le labbra emetteranno il nome mille volte sussurrato… Si può ben dire che indugiano in veri impegni coloro che vogliono essere ogni giorno sempre più intimi di Zenone, di Pitagora, di Democrito, e degli altri sacerdoti delle buone arti, di Aristotele e di Teofrasto. Nessuno di costoro non avrà tempo, nessuno permetterà che qualcuno vada via da lui a mani vuote, da tutti i mortali possono essere incontrati di notte e di giorno.

«Nessuno di essi ti costringerà a morire, tutti (te lo) insegneranno; nessuno di essi ti logorerà i tuoi anni o ti aggiungerà i propri; di nessuno di essi sarà pericoloso il parlare, di nessuno sarà letale l’amicizia, di nessuno sarà dispendiosa la considerazione. Otterrai da loro qualsiasi cosa vorrai; non dipenderà da essi che tu non assorba quanto più riceverai. Che gioia, che serena vecchiaia attende chi si rifugia in seno alla clientela di costoro… Avrà con chi riflettere sui più piccoli e sui più grandi argomenti, chi consultare ogni giorno su sé stesso, da chi udire il vero senza oltraggio, da chi essere lodato senza servilismo, a somiglianza di chi conformarsi.
«Siamo soliti dire che non era in nostro potere scegliere i genitori che ci sono toccati in sorte; ma ci è permesso nascere secondo la nostra volontà. Ci sono famiglie di eccelsi ingegni: scegli in quali (di esse) vuoi essere accolto; non solo sarai adottato nel nome, ma anche negli stessi beni, che dovranno essere custoditi né con avarizia né con grettezza: (i beni) diverranno più grandi quanto più li distribuirai. Costoro ti indicheranno il cammino verso l’eternità e ti eleveranno in quel luogo dove nessuno viene cacciato via. Questo è il solo modo di estendere lo stato mortale, anzi di mutarlo in stato immortale. Onori monumenti tutti ciò che l’ambizione ha stabilito con decreti o ha costruito con opere, presto va in rovina, nulla non distrugge e trasforma una lunga vecchiaia, ma non può nuocere a quelle cose che la saggezza ha consacrato, nessuna età (le) cancellerà o (le) sminuirà, quella seguente e poi sempre quelle successive apporteranno qualcosa di venerabilità, poiché Appunto da vicino domina l’invidia, più schiettante ammiriamo quando (l’invidia) è situata in lontananza. Dunque molto si estende la vita del saggio, non lo angustia lo stesso confine che (angustia) gli altri; lui solo è svincolato dalle leggi della natura umana, tutti secoli gli sono soggetti come a un dio. Passa un certo tempo: lo tiene legato col ricordo, è pressante. Se ne serve per arrivare: lo anticipa. Gli rende lunga la vita la raccolta di ogni tempo in uno solo».

In una delle rubriche, Le lezioni degli antichi maestri, ci fu una riflessione sulla libertà raccogliendo tre lezioni europee dello scorso millennio, su cui riflettere attentamente oggi in un tempo di partiti personali e di leader isolati e accerchiati dalle corti e dalle lobby:

Libertà. È necessario riservare dentro di noi un retrobbottega tutto nostro, assolutamente autonomo, dove conservare la nostra vera libertà, avere il nostro più importante rifugio, godere della nostra solitudine. (Montaigne)
Saper Contraddire. Ognuno sa oggi che il saper sopportare la contraddizione è un segno di alta cultura. Alcuni sanno anche che l’uomo superiore desidera e provoca la contraddizione contro di sè, per ricevere un’indicazione sulla sua ingiustizia, finora a lui sconosciuta. Ma il saper contraddire, la raggiunta buona coscienza nell’ostilità verso l’abituale, il tradizionale, il consacrato, ciò è più di quelle due cose, è ciò che vi è di realmente grande, nuovo e sorprendente, nella nostra cultura, il passo per eccellenza del nostro spirito: chi sa questo? (Nietzsche)

Contrarietà. Chi non si danna per il favore dei principi ritenendolo cosa di cui si può fare a meno, non si affligge troppo per la gelidità della loro accoglienza e del loro atteggiamento o per la volubilità dei loro sentimenti; chi non cura i propri figli o le proprie cariche fino a restarne schiavo, non cessa di vivere tranquillamente dopo aver perso questi beni. Chi nella vita si muove soprattutto per la propria soddisfazione non se la prende osservando gli uomini valutare in modo diverso o opposto a quello che meriterebbe. Un po’ di pazienza ci aiuta a superare tali contrarietà. Io mi trovo bene con questa ricetta e mi libero dei primi sintomi di questi mali fastidiosi nel modo migliore possibile. Avverto di essere scampato così a molti affanni e molte contrarietà. Blocco, senza grandi sforzi quel primo impulso delle mie passioni e lascio per sempre l’oggetto che comincia a pesarmi, e sempre prima che finisca per trascinarmi. Chi non blocca la partenza delle passioni non sarà poi in grado di fermarne la corsa. (Montaigne)

Temi molto attuali, in un tempo di nuovi principi capricciosi e passeggeri oltre che schiavi come non mai del popolo, dipendendo dalle continue elezioni.

Ci si domanda sulla natura di quell’uomo superiore propugnata prima da Confucio e qualche tempo dopo dal Nietzsche. In proposito, oltre i troppi pregiudizi arianoidi nazistoidi appiccicati al filosofo tedesco, anche da alcuni suoi estimatori, è utile rileggere quanto scrisse il Tedesco sul tema della vita esemplare:
«La vita esemplare sta nell’amore e nell’umiltà; nella pienezza del cuore, che non esclude nemmeno il più umile; nella rinuncia formale al voler aver ragione, al difendersi, al vincere nel senso del trionfo personale; nella fede nella beatitudine qui, sulla terra, malgrado povertà, ostacolo e morte; nella riconciliazione, nell’assenza di ira, di disprezzo; nel non voler essere ricompensati; nel non essere vincolati a nessuno, nell’essere senza signori, in senso spirituale molto spirituale, in una vita molto orgogliosa, sotto la volontà di una vita grama e servizievole».

Per tutti gli uomini comunque resta il problema del risultato, del cosiddetto successo. Quello che conta non è vincere ma partecipare, diceva De Coubertain. In parte è vero, ma la storia e la vita quotidiana ci dice anche:
Attenzione a far riuscire bene le cose. Vi sono alcuni che ripongono il vanto della buona mira più nella precisione della direzione che nella prosperità di riuscire in ciò che si è tentato; ma il discredito che viene dal fallimento ha sempre maggior peso che la malleveria della diligenza. Colui che vince non ha bisogno di dar soddisfazione a nessuno. La più parte della gente non bada affatto alla peculiarità delle circostanze, ma solo all’esito felice o infelice; e così non si rimette mai di reputazione, quando si raggiunge lo scopo. Un buon risultato conferisce aureo splendore a ogni cosa, quand’anche la goffaggine dei mezzi impiegati non deponga in suo favore. Anche andare contro l’arte diviene un’arte, quando non si può ottenere in altro modo la fortuna di una buona riuscita. (Baltasar Gracian)

Il gesuita spagnolo del 600 nell’«Oracolo manuale ed arte di prudenza» edito in Italia da Guanda, suggerisce la cura per il risultato, che come le vicende calcistiche di tutti i giorni documentano, è essenziale per un buon vivere. Attenendosi sempre alla forma ed ai principi, sembra opportuno non impiccarsi ad essi, ma sviluppare il realismo necessario per il buon fine delle nostre imprese.

A proposito della tendenza al perfezionismo, che tante frustrazioni crea nella vita quotidiana con annesso timore per le «critiche della gente» che condiziona l’iniziativa e l’espressione autonoma dell’individuo, si propone quanto ebbero a scrivere Esopo, Gracian e Nietzsche.

Non c’è nulla di così perfetto da non offrire fianco alle critiche. (Esopo)

Concedersi qualche veniale debolezza. Una sventatezza suol essere talora la migliore raccomandazione delle buone doti. L’invidia, che tanto più vile si mostra quanto più è criminale, ha una sua forma di ostracismo: accusa il più perfetto degli uomini di non peccare, e lo condanna in tutto perché è perfetto in tutto, diviene un Argo a cercare i difetti nelle cose migliori non foss’altro che per consolarsi. La censura colpisce come un fulmine le più eccelse perfezioni. Sonnecchi dunque talvolta lo stesso Omero, e mostri qualche debolezza nell’ingegno e nel valore, mai però nella saggezza, se vuol tenere quieta la malevolenza perché non scoppi schizzando il suo veleno. Sarà come toreare il toro dell’invidia per salvare l’immortalità. (Baltasar Gracian)

Attenzione a far riuscire bene le cose. Vi sono alcuni che ripongono il vanto della buona mira più nella precisione della direzione che nella prosperità di riuscire in ciò che si è tentato; ma il discredito che viene dal fallimento ha sempre maggior peso che la malleveria della diligenza. Colui che vince non ha bisogno di dar soddisfazione a nessuno. La più parte della gente non bada affatto alla peculiarità delle circostanze, ma solo all’esito felice o infelice; e così non si rimette mai di reputazione, quando si raggiunge lo scopo. Un buon risultato conferisce aureo splendore a ogni cosa, quand’anche la goffaggine dei mezzi impiegati non deponga a suo favore. Anche andare contro l’arte diviene un’arte, quando non si può ottenere in altro modo la fortuna d’una buona riuscita. (Baltasar Gracian).

Questo e molto altro si trova nella raccolta di saggi di Vincenzo Valenzi edito da «Villaggio Globale», disponibile su cartaceo e ora anche sotto forma di Ebook.

Di attualità imbarazzante come scriveva Landolfi nella presentazione del libro, la tendenza da parte dei nostri governanti a salvarci con la forza, tra una multa, una cella, una radiazione. Si era cominciato con il divieto di fumare su cui solitario Valenzi si era scagliato contro. Landolfi in merito annotava:

«L’altro esempio è il grido di libertà lanciato nello scritto “Libertà e salute: il caso del fumo”. Qui ci si pone con nettezza e con coraggio in una posizione di contrasto con quello che definirei un principio generalizzato di totale “accanimento terapeutico”, che maschera una visione pericolosamente bigotta di una concezione salvifica dell’umanità. La scienza medica si pone in ogni caso, come il pensiero fideistico religioso, in una posizione non richiesta di opera di salvezza, negando alla persona il diritto di decidere sul destino del proprio corpo come della propria anima. Tutto l’opposto della morale laica, che cancella ogni proposizione salvifica, perché l’azione umana deve prescindere dal suo fine compensativo, ed esprimere indipendentemente da esso i propri valori. Tanto più che altrimenti, se prevalesse il principio salvifico, rischieremo sempre di giungere a fare i conti con il peggiore degli “accanimenti terapeutici” conosciuti nel XX secolo, e non ancora del tutto dilatato: quello del totalitarismo, che divieta di pensare, se il pensare può, a detta di chi comanda, far male alla salute dell’anima e del corpo dei cittadini».

C’è di che leggere in queste pagine, di che riflettere, di che agire, sempre più ispirati dalla saggezza e dalla forza degli Antichi Maestri.