Uno studio socioeconomico per la rinascita
Pubblichiamo questo interessante studio sul disinquinamento dell’area industriale di Porto Torres, in Sardegna. Il lavoro è di Alessandra Fabri e Roberto Pasetto del Dipartimento Ambiente e Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma. Il Pdf del lavoro è scaricabile qui
Pubblichiamo questo interessante studio sul disinquinamento dell’area industriale di Porto Torres, in Sardegna. L’impostazione data, per la complessità dell’intervento che investe non solo gli aspetti di risanamento ambientale ma anche di recupero socio-economico, lo rendono particolarmente interessante. Il lavoro è di Alessandra Fabri e Roberto Pasetto del Dipartimento Ambiente e Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma.
Introduzione
All’indomani della fine della Seconda guerra mondiale l’Italia si presentava in una condizione territoriale di generale arretratezza e povertà, i bombardamenti avevano causato ingenti danni a strade e infrastrutture e la maggior parte della popolazione viveva in condizioni di estrema difficoltà. Alcune strategiche scelte politiche ed economiche, adottate nel corso della «ricostruzione», permisero al paese di intraprendere una repentina ripresa. Gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta costituirono un periodo di forte espansione industriale (1), all’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) e all’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) venne conferita la responsabilità di provvedere al potenziamento delle infrastrutture e di importanti settori dell’industria (Minerva, 2012). Già nell’immediato dopoguerra, la struttura industriale si era caratterizzata per una forte presenza dello Stato e di esperti manager, indirizzati alla gestione e allo sviluppo strategico dell’impresa pubblica (Ricci, 2004). Non mancavano anche allora produzioni industriali avanzate e diversificate, ma queste erano prevalentemente concentrate nel cosiddetto «triangolo industriale» Torino-Milano-Genova, mentre le altre regioni, salvo rare eccezioni locali, restavano essenzialmente agricole (Graziani, 2000). Nel 1963 arriva al culmine il forte ammodernamento del settore industriale con l’aumento di consumi ed esportazioni (Quadrio, 2016) e il definitivo superamento del carattere agricolo che ancora nell’immediato dopoguerra costituiva il tratto prevalente del paese (Bonifazi, 2013).
L’obiettivo predominante dell’industrializzazione era assicurare crescita economica e sviluppo al paese, le grandi industrie erano rappresentate dall’industria di base dei grandi complessi a ciclo integrale della metallurgia e della siderurgia e della chimica e petrolchimica, e da quelli dell’industria manifatturiera. I cosiddetti «poli di sviluppo» erano rappresentati da un’area industriale di dimensioni variabili, collocata nei pressi di un centro urbano già dotato di infrastrutture e di servizi (in particolare un porto o un aeroporto e terminali ferroviari), in cui la grande industria fungeva da motrice per creare un indotto (Spinelli, 2004). Spesso questi poli erano sorti, soprattutto nel Mezzogiorno, in aree isolate e senza adeguate infrastrutture e, già dopo poco tempo dall’entrata in funzione dei primi insediamenti, era diffuso un giudizio negativo sui risultati dello sviluppo per poli; i complessi industriali venivano definite come «cattedrali del deserto», con riferimento alle grandi dimensioni degli impianti e allo scarso impatto sulle aree di insediamento (Cerrito, 2010).
In un contesto di generale crescita economica del paese, l’istituzione della Cassa del Mezzogiorno (2) ebbe il compito di avviare un processo di estesa industrializzazione del territorio attraverso infrastrutture minime per attirare investimenti industriali. La sua istituzione prevedeva un ampio programma di investimenti pubblici che inizialmente portarono miglioramenti in ambito rurale, per poi orientarsi verso una politica di industrializzazione. Purtroppo, questi investimenti furono caratterizzati da una insufficiente valutazione di efficacia, una inefficace gestione delle risorse e scarsi incentivi alla redditività e la Cassa, esposta a forti condizionamenti politici, perse ben presto la sua efficienza originaria e le disparità territoriali non diminuirono (Lepore, 2011). A livello territoriale, l’economia del Mezzogiorno era in forte ritardo rispetto a quella del Nord, ritardo ancora oggi presente e accentuato dal doppio divario con cui il Sud deve misurarsi: quello tra Nord/Sud e quello Italia/Europa. L’economia meridionale, a causa del suo svantaggio strutturale, deve infatti competere, soprattutto dopo l’allargamento a Est della UE, con economie arretrate in forte crescita ed elevate potenzialità competitive (SVIMEZ, 2019).
La crisi petrolifera degli anni Settanta mutò la scena economica internazionale, il conseguente aumento dei prezzi delle materie prime, la concorrenza degli altri paesi industrializzati, le troppe fragilità interne del paese, misero un freno ai progressi industriali italiani (Graziani, 2000). I grandi poli industriali della penisola (Porto Marghera, Taranto, Gela, Porto Torres e molti altri), sono ad oggi dismessi o solo parzialmente funzionanti. Le attività delle cosiddette industrie pesanti hanno determinato una profonda trasformazione nell’ambiente locale a causa delle emissioni di sostanze inquinanti nell’aria, nell’acqua e nel suolo, per lo sfruttamento delle risorse naturali, per la produzione di rifiuti (spesso anche tossici), per il traffico indotto. La presenza dei petrolchimici costituisce da tempo un fattore di alterazione molto forte dell’ambiente e, in alcuni casi, condiziona la salute delle popolazioni locali. Esiste un’innegabile incognita che riguarda tutti i grandi impianti industriali che consiste nell’indirizzo monofunzionale che viene dato a territori molto vasti, escludendo la possibilità di altri usi (Saitta, 2009). La consapevolezza sui rischi dell’inquinamento industriale per l’ambiente e la salute è cresciuta in Italia parallelamente al declino della chimica e della siderurgia e affiancando il progressivo ridimensionamento e chiusura degli impianti produttivi (Forti, 2018).
Le comunità che vivono all’interno o nelle vicinanze di siti contaminati tendono ad essere caratterizzate da un’elevata prevalenza di condizioni socioeconomiche deprivate, con conseguenti problemi di giustizia ambientale (Environmental Justice), proprio a causa dell’iniqua distribuzione di rischi ambientali a carico di comunità fragili anche per altri aspetti (Pasetto, 2019).
L’obiettivo di questo lavoro è descrivere una di queste realtà industriali, quella di Porto Torres (SS), attraverso la descrizione dell’evoluzione del contesto socioeconomico, territoriale e culturale dell’area, legata alla presenza nel territorio di uno dei più grandi poli petrolchimici italiani.
Nella sezione finale le evidenze risultanti dall’analisi sono discusse anche alla luce delle potenzialità della realtà locale al fine di individuare i punti di forza su cui basare interventi di riqualificazione territoriale e di ripartenza dell’economia locale.
Il petrolchimico di Porto Torres e trasformazione socioeconomica del territorio
La Sardegna, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, si trovava in una condizione di generale arretratezza e povertà, situazione ancora più stressata dal suo isolamento geografico. I suoi abitanti erano per lo più impiegati in attività agropastorali o nella pesca. Nella seconda metà dell’Ottocento, l’isola aveva conosciuto i primi segni di una prima esperienza industriale con la moderna industria estrattiva, attività legata allo sfruttamento di grandi giacimenti minerari presenti sul territorio e alla elevata domanda di metalli proveniente dal mercato europeo (Sella, 1871). Nel corso del tempo, si andò sviluppando un’industrializzazione programmata grazie ad alcune sovvenzioni statali e leggi speciali. Dal 1948 beneficiò dello Statuto Speciale, che gli conferì il potere di legiferare in maniera esclusiva su alcune materie (3). Il boom economico scatenò una vera e propria corsa all’industrializzazione e produsse il miraggio di posti di lavoro e di benessere collettivo. All’epoca la regione risultava la più industrializzata del Meridione (Brigaglia et al., 2012). Il progetto di sviluppo verteva sul proposito che grandi poli industriali potessero divenire catalizzatori di una serie di industrie secondarie, garantendo lavoro alla popolazione (Mondardini, 1973). A livello territoriale, le grandi aree industriali sono state sviluppate prevalentemente nelle zone costiere, in prossimità dei grandi centri urbani (La Riccia, 2015).
La città di Porto Torres si trova sulla costa nord occidentale della Sardegna, i suoi trascorsi storici, colonia dell’Impero Romano e sede episcopale nel Medioevo, raccontano le gloriose origini dell’area. L’attività commerciale del porto fu da sempre particolarmente significativa, tanto da determinare negli abitanti una notevole propensione ai cambiamenti dovuta ai continui contatti culturali esterni all’isola. Nel XX secolo l’economia portotorrese si basava prevalentemente su agricoltura, pastorizia e pesca, e sulle attività legate all’esportazione del ferro. Divenne comune autonomo nel 1842, gli antichi fasti del passato non esistevano più e al primo censimento della popolazione nel 1861, la popolazione risultava di appena 2.025 residenti.
Nel 1955 venne costituito il Consorzio per la zona industriale di Sassari-Porto Torres con il compito di promuovere la creazione di una zona industriale nei due comuni, istituzione avvenuta nel 1956 nell’area individuata dal Piano Regolatore «La Marinella». Lo sviluppo dell’attività petrolchimica si avviò proprio in quegli anni con la costituzione nel 1959 della Sarda Industrie Resine del gruppo SIR (Società Italiana Resine) di proprietà dell’imprenditore Nino Rovelli. La SIR, azienda attiva nel settore della chimica industriale, era considerata una delle industrie più importanti a livello europeo. La produzione si basava su uno steam cracking e sulla produzione di derivati e polimeri (Pignataro et al., 2019). Nel 1962 vennero avviate le attività dello stabilimento industriale SIR di Porto Torres. L’insediamento dell’industria fu visto come una grande opportunità di sviluppo economico e una grande fonte di occupazione per gli abitanti. La posizione strategica della città con accesso diretto al mare, il vicino aeroporto di Fertilia e, soprattutto, i finanziamenti stanziati, permisero l’avviamento dell’attività della SIR e della realizzazione di uno dei petrolchimici più grandi d’Europa. Il primo impianto ad entrare in funzione fu quello del fenolo nel 1963 e successivamente vennero avviati tutti gli altri impianti (Rujo, 2009).
L’industrializzazione provocò a livello locale una profonda trasformazione, in breve tempo Porto Torres era diventato uno dei centri più importanti dell’industria petrolchimica con numerose aziende dell’indotto che operavano sia nelle produzioni che nei servizi. La popolazione nel decennio 1961-’71 aumentò da 11.199 abitanti a 16.230, con un incremento del 45%. Dal Nord Italia arrivarono operai specializzati e dirigenti per la conduzione dell’attività industriale. Cambiarono le aspettative delle famiglie e migliorò l’alfabetizzazione. Chi possedeva un diploma di Scuola Tecnica Agraria o Geometra, veniva assunto come operaio specializzato (Morelli, 1978).
Nel censimento del 1971 la forza lavoro in Sardegna era distribuita per il 32,1% nell’industria, il 26,3% nell’agricoltura e il 41,6% nei servizi. Per la prima volta, nella storia dell’isola gli addetti all’industria superavano gli addetti all’agricoltura (Brigaglia et al., 2012), mentre nel decennio precedente su 100 lavoratori, 51 erano nell’agricoltura, solo 21 nell’industria e 28 nel terziario (Mattone, 2010) (Fig. 1).
Negli anni aumentarono le produzioni della SIR, ma iniziarono a vedersi anche i primi segni di danno all’ambiente. L’opinione pubblica osservava con crescente preoccupazione i fenomeni di inquinamento atmosferico percepibili a seconda del vento (Brigaglia et al., 2012) e iniziava a maturare preoccupazione per la salute dei lavoratori e della comunità. La crisi petrolifera del 1973, la crescente sensibilità per l’ambiente e, soprattutto, i problemi giudiziari della SIR, trascinarono l’azienda in una profonda crisi che la portò nel 1982 ad essere ceduta all’ENI, con un forte ridimensionamento.
Negli anni Novanta molti siti industriali italiani sono stati dichiarati «a rischio». Quelle stesse industrie simbolo del miracolo italiano, che trasformarono un paese rurale in una nazione industrializzata con centinaia di migliaia di posti di lavoro, sono anche le stesse che hanno causato, in molti casi, l’inquinato del territorio (Forti, 2018). L’area industriale di Porto Torres, dati i livelli di contaminazione riscontrati nel suolo e nelle acque, è stata dichiarata nel 2002 Sito di Interesse Nazionale (SIN) per le bonifiche. Tra il 2007 e il 2010 molti impianti hanno fermato le loro produzioni, con la messa in cassa integrazione e il licenziamento di migliaia di operai. Negli anni Settanta, la zona industriale occupava circa ottomila unità lavorative, il 70% impiegate alla SIR e il 30% in imprese esterne (Mondardini, 1973), aumentate nel corso dello stesso decennio a novemila persone, per metà dipendenti diretti della SIR e per l’altra metà lavoratori delle ditte d’appalto impegnati nella manutenzione e nella costruzione dei nuovi impianti (Brigaglia et al., 2012).
Per salvare il sito e i posti di lavoro, si è proposta nel 2011 la realizzazione di un polo di chimica verde, concretizzatosi nel 2014. Matrìca, la joint venture tra Novamont e Versalis, ha realizzato a Porto Torres una bioraffineria per la produzione di biochemicals per diversi settori, puntando a un nuovo modello di economia, che coinvolge industria, agricoltura, ambiente e attività locali in un grande progetto di riqualificazione e innovazione (SVIMEZ, 2019).
Verificata la sussistenza di contaminazioni ambientali non accettabili, nel 2016 sono stati avviati i lavori di bonifica previsti della Fase 1 «Progetto Nuraghe: progetto di bonifica dei suoli, delle Palte Fosfatiche, Minciaredda e Peci».
Dal 1° novembre 2019 la proprietà è passata a Eni Rewind (ex Syndial), la società ambientale di Eni che si sta occupando del risanamento delle aree inquinate per la loro valorizzazione attraverso progetti di bonifica e di recupero efficienti e sostenibili. Attualmente dei complessivi 1.200 ettari del sito, solo una parte è destinata alle attività produttive.
I principali avvenimenti che hanno interessato l’area industriale sono riportati in Tabella 1.
Lo sviluppo dell’industria ha rappresentato per la comunità locale l’opportunità di raggiungere una qualità di vita migliore ed una condizione di emancipazione sociale. Per molti abitanti è stato un vero e proprio cambio di status sociale, con il passaggio da lavoro autonomo a dipendente e l’acquisizione di nuove competenze conseguite grazie all’interazione con figure professionali specializzate e tecnologie mai utilizzate prima.
L’attività agricola subì una pesante diminuzione a fronte di un aumento dell’occupazione nell’industria, alla SIR confluirono infatti agricoltori e pescatori residenti nella zona o provenienti dai comuni limitrofi. Il bacino di manodopera che giornalmente si recava a lavorare nel petrolchimico comprendeva una sessantina di comuni, corrispondente a buona parte di quella che nel 2012 era la provincia di Sassari (Brigaglia et al., 2012).
A seguito di questa nuova realtà economica, politica e antropologica, il territorio visse un considerevole cambiamento nel proprio tessuto sociale e culturale. Nel 1959, l’attività pastorale portotorrese impiegava 450 persone, scese a 300 agli inizi degli anni Settanta (Mondardini, 1973).
Durante gli anni di attività del petrolchimico si registrò a livello municipale un forte incremento della popolazione e un elevato tasso di occupazione, insieme all’estensione di molte attività strettamente legate al commercio. L’aumento dei servizi fu conseguente all’arrivo di dirigenti e tecnici dal Nord Italia. Il contatto con i «continentali», come venivano chiamati dagli abitanti del luogo, portò inevitabilmente ad una trasformazione della società locale (Mondardini, 1973). Il repentino aumento demografico determinò un vero e proprio boom edilizio e un forte aumento delle vendite al dettaglio. Aumentando le richieste di alloggio, aumentarono inevitabilmente i canoni di affitto. Le dinamiche socioeconomiche nate intorno al petrochimico, si sono espanse sull’intero assetto del territorio apportando un cambiamento radicale e improvviso che non riguardò soltanto le condizioni di lavoro e reddito, ma più in generale, l’intero modo di pensare, di lavorare e di vivere (Mattone, 2010).
Attraverso informazioni quantitative presenti nella piattaforma a base comunale 8milaCensus (ottomilacensus.istat.it) dell’ISTAT, è stato possibile operare un’analisi sulla trasformazione socioeconomica avvenuta sul territorio portotorrese. Il ricorso ad indicatori statistici, seppur descrittivi, contribuisce infatti ad effettuare una descrizione dell’evoluzione nel tempo della popolazione locale. La banca dati ha permesso il recupero di un’ampia selezione di indicatori in serie storica derivati dai censimenti 1951-2011, che rappresentano le principali caratteristiche demografiche della popolazione, le condizioni legate all’istruzione e al lavoro.
L’apertura dello stabilimento ha causato un aumento repentino della popolazione residente, raggiungendo livelli ancora più elevati durante gli anni della piena attività del sito, fino addirittura a raddoppiare la popolazione di partenza nel 1981 (Fig. 2). Si trattò di un fenomeno fortemente impattante sulla città, che ha visto in pochi anni aumentare sia la popolazione residente che il numero di persone che transitavano quotidianamente, come i numerosi pendolari che dopo il turno di lavoro rientravano nei propri comuni. Il fenomeno del pendolarismo dipendeva anche dal grave problema della mancanza di alloggi. Per facilitare la mobilità, alcune aziende attivarono dei trasporti collettivi fra i paesi rurali e il polo industriale, coprendo un raggio di circa 60 km (Morelli, 1978).
Nel 1951 si registra una densità demografica in netta crescita, con un picco importante nel 1981, in controtendenza con i valori minori che invece hanno da sempre caratterizzato la Sardegna. L’indice di vecchiaia, inizialmente basso, presumibilmente legato al fatto che gli operai del petrolchimico erano prevalentemente giovani, è aumentato negli anni della crisi. I dati evidenziano un invecchiamento costante fino agli anni Novanta, per poi crescere fino quasi a raddoppiare nel 2011 (Fig. 3).
Il dato sull’incidenza della superficie dei centri e nuclei abitati sul totale della superficie è disponibile solo a partire dal 1991 con un valore di 11,2, cresciuto a 13,2 nel 2011. Dati in controtendenza rispetto alla bassa incidenza di utilizzo del suolo della Sardegna, che nel 2011 è stata una delle regioni italiane meno densamente popolata con solo il 2,4% della superficie regionale occupata (media italiana 6,4%) (ISTAT, 2017).
Dal punto di vista socioeconomico, particolare rilevanza possiedono gli indicatori relativi all’istruzione. Elevati livelli di istruzione sono associati a migliori opportunità di lavoro, retribuzioni più elevate, condizioni di salute migliori, con ricadute positive sia sulla società che sulla crescita economica del territorio. A dal censimento 1981 sono disponibili i dati riguardanti l’incidenza di adulti con diploma o laurea (Fig. 4). A Porto Torres il trend temporale è stato nettamente in salita. L’incidenza di giovani con istruzione universitaria risulta nel 2011 pari a 16,4. In generale, nell’ultimo censimento si è registrato un livello di istruzione dei giovani 15-19 anni del 97%, in linea con i valori regionali e nazionali.
Un altro indicatore utilizzato per valutare il livello scolastico della popolazione è l’incidenza di analfabeti presenti sul territorio. Il comune sardo rileva un valore in calo negli anni. L’indicatore ha subito una forte diminuzione negli anni di piena attività del sito petrolchimico (1961-1981). Alla data dell’ultimo censimento, si è registrata un’incidenza di analfabeti pari a 1,1, al pari del valore nazionale e inferiore a quello regionale che invece è di 1,3. Questi dati sono esplicativi di come l’industrializzazione abbia permesso alla popolazione di accrescere i livelli di alfabetizzazione e cultura personale.
Gli indicatori che monitorano l’occupazione evidenziano un sostanzioso incremento dell’impiego nel settore industriale e una diminuzione del comparto rurale. Negli anni di piena industrializzazione, l’attività industriale ha prevalso nettamente su quella agricola. L’incidenza dell’occupazione nel settore agricolo/industriale (Fig. 5) rappresenta la quota percentuale degli occupati nel settore primario o nell’industria rispetto al totale degli occupati. Con l’apertura dello stabilimento SIR, l’attività agricola ha subito un sensibile calo sia a causa della sottrazione di terreni destinati alle coltivazioni, sia delle scelte personali dei singoli, che optarono per un posto di lavoro in fabbrica per avere più garanzie. I due indicatori hanno continuato a diminuire nel tempo, tuttavia, negli anni della crisi della SIR non c’è stato un ritorno alla coltivazione della terra.
Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da notevoli perdite di occupazione, l’economia si è basata sulle attività industriali ed energetiche rimaste attive, sulla pesca, l’agricoltura e su una promettente attività turistica.
Discussione
A seguito dell’apertura degli impianti industriali, la comunità turritana ha visto nel giro di pochi anni mutare il proprio tenore di vita, le relazioni sociali e il rapporto con il territorio. La crisi e la successiva chiusura degli impianti hanno stravolto la situazione e la popolazione si è ritrovata ad affrontare una serie di problemi con cui ancora oggi deve fare i conti: la disoccupazione, un considerevole inquinamento ambientale e, un senso di «inattività» che si percepisce osservando gli impianti abbandonati, testimoni di una società che per alcuni anni è stata esclusivamente un importante centro industriale.
La corsa dell’Italia all’industrializzazione ha segnato il miraggio di un benessere collettivo, città fiori all’occhiello dell’industria e occupazione. Questo tipo di sviluppo ha lasciato in eredità siti pesantemente inquinati e con problemi di disoccupazione. La storia delle comunità locali residenti in prossimità di queste aree è stata influenzata per decenni dalla presenza degli impianti che, inizialmente, sono stati fonte di lavoro e di miglioramento della qualità di vita (per alcuni), ma al contempo e progressivamente hanno determinato la contaminazione ambientale e il deterioramento dell’ambiente di vita naturale e costruito, nonché influenzato lo stato di salute delle comunità (Pasetto, 2020).
Nel caso studio descritto, la realizzazione del petrolchimico ha innescato a Porto Torres una considerevole trasformazione socioeconomica, con elementi di indubbia evoluzione positiva, come il miglioramento del livello di istruzione, lo sviluppo dei servizi e, in generale, un’emancipazione della città. Tuttavia, l’impulso iniziale, di fatto dissipato nell’arco di una generazione, si è esaurito a fronte di una diffusa contaminazione ambientale con possibili conseguenze sulla salute dei residenti. Sicuramente il sogno della chimica ha lasciato nel territorio e nella comunità ferite profonde non ancora rimarginate. Inoltre, l’avvio delle attività petrolchimiche ha causato un incremento demografico e edilizio senza precedenti (Nurra, 2013), per l’apertura dello stabilimento non ci fu infatti una vera programmazione territoriale iniziale, e per diversi anni la situazione abitativa costituì una vera emergenza sociale. La scelta, quasi obbligata, da parte di molti operai pendolari di restare nei comuni di residenza, fu importante sia per l’industria, che poté confrontarsi con una tensione ridotta legata alle conseguenze nefaste soprattutto a carico dei residenti locali, sia in positivo per i paesi dell’entroterra, per i quali la presenza di un nucleo di lavoratori del petrolchimico costituiva una fonte importante di reddito complessivo e di ritorno di benessere per le comunità (Brigaglia et al., 2012).
In questo lavoro si è cercato di mettere a fuoco il processo di cambiamento socioeconomico che si è verificato, l’apertura del polo ha sicuramente portato nella comunità un diverso contesto sociale, che è andato ad influenzare sia l’ambito familiare che la stessa vita collettiva. L’attività lavorativa e l’opportunità di incontrarsi con altre persone nel tempo libero ha creato un intenso scambio culturale tra individui di diversa estrazione sociale. Il petrolchimico ha portato anni di benessere sociale e culturale; gli operai impiegati nella fabbrica hanno avuto più di altri la possibilità di emergere, studiare, avere un reddito garantito. Purtroppo, la cessata attività degli impianti ha comportato una grave crisi occupazionale, con migliaia di licenziamenti e cassaintegrati. Ancora oggi, nonostante i problemi legati alla mancanza di lavoro, la città sembra rispecchiarsi negli ultimi riflessi di quel benessere che la contraddistinse rispetto ad altre zone della regione.
Il tema dei siti contaminati è diventato una priorità tra i temi nel settore ambiente e salute della Regione Europea dell’OMS (WHO, 2017). L’analisi degli indicatori sociodemografici delle popolazioni residenti in territori esposti a fonti di contaminazioni di tipo industriale è di supporto alla ricostruzione storica dell’evoluzione dell’area esaminata. I risultati di tali studi possono aiutare a identificare l’esistenza o meno di casi in cui le stesse comunità sono al contempo deprivate a livello socioeconomico e presentano gravi rischi ambientali. Questi fattori tra loro combinati condizionano i profili di salute delle comunità locali. Per ridurre le condizioni di disuguaglianza risulta prioritario identificare le fasce di popolazione più esposte e più vulnerabili ai rischi ambientali. Difatti, le comunità e i sottogruppi di popolazione che hanno meno opportunità di partenza e più vulnerabilità hanno anche meno capacità di influenzare le decisioni relative all’ambiente in cui vivono.
Valutazioni descrittive recenti dei profili socioeconomici delle comunità residenti in prossimità dei principali siti inquinati italiani hanno evidenziato come esse risultino generalmente deprivate. Tale fenomeno presenta un gradiente spaziale Nord-Sud, risultando deprivate a livello socioeconomico la quasi totalità delle comunità risiedenti in prossimità dei siti contaminati del Meridione e delle Isole, rispetto alle altre comunità delle rispettive regioni di appartenenza (Pasetto, 2017). I fenomeni ambientali presentano molto spesso una componente temporale e spaziale che non può essere trascurata, per questo un’attenta analisi geografica è fondamentale per approfondire la conoscenza di quei processi storici che hanno modificato il territorio e le condizioni di vita dei suoi abitanti.
L’analisi di alcuni indicatori statistici, come quelli descritti nel caso in studio, può aiutare a valutare le cause e gli effetti delle trasformazioni delle condizioni di vita delle comunità residenti. Valutazioni analoghe, effettuate in altre realtà industriali italiane aventi caratteristiche simili a quelle di Porto Torres, potrebbe consentire di valutare se vi siano stati fenomeni comuni di evoluzione del territorio e delle comunità locali.
Conclusioni
Porto Torres oggi è una città contrassegnata da una realtà multiforme, da una parte il degrado della zona industriale caratterizzata da architetture fatiscenti e pericolanti a ricordo di un passato impossibile da dimenticare, dall’altra una città costiera con le sue bellezze naturalistiche e la sua storia antica. I quartieri residenziali si alternano a quelli popolari costruiti al tempo per gli operai, zone perfettamente integrate nel contesto urbano.
I portotorresi hanno bisogno di ripartire professionalmente e culturalmente, per questo c’è bisogno di una forte opera di riqualificazione del territorio che proceda in sinergia con l’opera di bonifica che si sta operando. Agire sul fronte delle bonifiche e al contempo su quello delle capacità di comunità, può certamente contribuire a ristabilire un’interconnessione tra l’ambiente naturale e costruito e l’ambiente sociale (Pasetto, 2020).
La valorizzazione è strettamente connessa con la riconversione delle aree industriali dismesse, che rappresentano fonte di degrado architettonico e sociale, e attualmente condizionano fortemente l’immagine estetica della città. Una riqualificazione che se ben studiata, può favorire nuovi investimenti per dare alla popolazione nuove opportunità di lavoro e, allo stesso tempo, ricostruire un’identità non più solo associata ai ricordi di un passato benestante legato all’attività industriale. Ogni paesaggio, anche quello più degradato, è da intendersi come ambiente di vita: i luoghi della produzione, i paesaggi industriali, anche se producono nell’osservatore medio giudizi spesso negativi, rappresentano il luogo del lavoro quotidiano (La Riccia, 2015).
Porto Torres fin dai tempi antichi è stata una città marinara che periva e rinasceva di continuo, è stata una gloriosa colonia romana, la capitale del Giudicato di Torres, un importante centro della petrolchimica nazionale ed europea. La città ha molte potenzialità che devono rappresentare il motore di sviluppo del tessuto urbano, sociale ed economico.
La mappa mentale rappresentata (Fig. 6) mette in evidenza gli elementi presentati nella sezione di discussione, che hanno caratterizzato l’industria, il territorio e la comunità, e quelli su cui adoperarsi per consentire nuove prospettive di sviluppo. Osservando la mappa, i tre elementi di forza su cui attivare policy adeguate ad attrarre energie e finanziamenti sono: l’area archeologica, il turismo (crocieristico/culturale/paesaggistico), e soprattutto il porto che rappresenta un determinante accesso alla città. Settori che possono diventare una parte significativa del mercato del lavoro e delle imprese.
L’antica colonia di Turris Libisonis può far ripartire l’economia e l’occupazione puntando sulla crescita del comparto turistico. Le sue origini e la sua posizione geografica le consentono di ritagliarsi uno spazio nel turismo sardo con i suoi monumenti, i paesaggi storici e le sue splendenti falesie e spiagge. Le scoperte archeologiche sono continue e recentemente, nel corso di alcuni lavori alla rete urbana, sono emersi nuovi tesori riaffiorati dopo molti secoli. I resti archeologici sono perfettamente conservati in aree esterne perimetrate e all’interno del museo archeologico nazionale «Antiquarium Turritano».
È importante incoraggiare l’innovazione e gli investimenti e avviare una campagna di comunicazione idonea a stimolare la domanda attraverso progetti di promozione turistica (ad esempio con app informative), in modo da ricostruire l’immagine della ex città industriale e incentivare flussi turistici.
Il porto locale e il vicino aeroporto di Fertilia rappresentano punti strategici su cui investire per lo sviluppo economico. Infatti, la vicinanza con importanti, e già note, località turistiche può inserire Porto Torres all’interno di itinerari turistici. I dati statistici, inoltre, hanno registrato negli anni scorsi un aumento dei viaggiatori del settore crocieristico, grazie all’apertura di rotte marittime con alcuni paesi europei. Purtroppo, la pandemia di Covid-19 ha innescato una crisi economica globale colpendo pesantemente anche il settore turistico. Sono allo studio interventi per favorire la ripresa, anche se è estremamente difficile fare previsioni in una situazione così incerta e in rapida evoluzione. Nonostante questo, Porto Torres nella fase post-pandemica, valorizzando le proprie risorse potrà avere l’opportunità di ripartire a livello di economia locale, trasformandosi in un potente magnete di risorse umane ed economiche e assicurando alla comunità un crescente livello di qualità della vita.
(1) Gli anni compresi fra il 1958 e il 1963 sono ricordati come gli anni del miracolo economico.
(2) Istituita con L. 646/1950 per la realizzazione di opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia meridionale. Soppressa nel 1984 e sostituita qualche anno dopo dall’Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno, a sua volta soppressa nel 1992.
(3) L 588/62 Piano di Rinascita economica e sociale.
Bibliografia
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- Bonifazi C., L’Italia delle Migrazioni, Il Mulino, 2013.
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Alessandra Fabri, Roberto Pasetto, Dipartimento Ambiente e Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma