Per meglio operare in difesa del Lupo, uno degli animali più sfortunati, calunniati e quindi minacciati, la conoscenza del passato, e cioè una adeguata «memoria storica», è più che essenziale.
La nostra storia inizia un terzo di secolo fa, con l’Operazione San Francesco, promossa nel 1970 dal Parco Nazionale d’Abruzzo (che allora intraprendeva la propria rinascita) e viene poi lanciata l’anno successivo in collaborazione con il Wwf. Un’impresa d’avanguardia rispetto a quei tempi, e probabilmente il primo e miglior esempio di «campagna ecosociologica integrata».
Il suo straordinario successo, oltre ad avere salvato il Lupo appenninico (Canis lupus italicus), ha consentito a questo forte predatore la riconquista dei territori perduti nella penisola, e persino la sua progressiva espansione nelle Alpi ed oltre, fino a riappropriarsi anche di parte del proprio ambiente nelle montagne della Francia.
Accanto a molte delusioni e sconfitte, la storia della conservazione della natura può quindi registrare questo brillante successo, al di là di ogni speranza e aspettativa iniziale. Merito soprattutto dell’impostazione pratica, interdisciplinare e moderna alla campagna, che ha poi ispirato anche molti altri Paesi a compiere sforzi maggiori a favore d’un animale unico, dai tempi atavici odiato e perseguitato senza tregua e, fino a pochi decenni or sono, considerato inevitabilmente «condannato a scomparire dalla faccia della terra». Al principio del Terzo Millennio, la grande sfida per la società contemporanea è ora di mostrare di saper convivere armoniosamente non solo con il Lupo appenninico, ma con tutte le altre creature diverse da noi, e nostre compagne di viaggio.