In realtà tutti sanno che è indispensabile impiegare le nostre energie per costruire buoni punti di osservazione e di verifica delle cose del mondo, per tarare convenientemente la portata dei nostri impegni, per controllare gli impatti prodotti, per dare risposte ai bisogni, per condividere interessi e benessere diffusi, per dare futuro all’umanità.
L’uomo, però, può decidere anche altro e proditoriamente può far mancare le informazioni e le riflessioni sul significato e sul valore della «diversità» (lasciando così che interessi particolari, contrabbandati come alternative, possano stravolgerne la portata positiva) e perseguire, impunemente, risultati che si mostrano contrari al mantenimento di quegli equilibri virtuosi che garantiscono la vitalità di un ambiente naturale.
Se abbiamo buone ragioni per denunciare quelle distruttive (pur se numericamente irrisorie1) volontà che, con le loro decisioni solitarie, unilaterali o comunque prese in funzione di interessi esclusivi, rischiano di portare sempre più al collasso il sistema Terra, non possiamo, però, non denunciare anche l’assenza di un virtuoso, consapevole e diffuso coinvolgimento attivo, dei molti cittadini del mondo, nella cura della vitale «diversità» dell’ambiente naturale.
Un’assenza che può trovare ragioni, ma non certo giustificazioni, sia nella velocità di alcuni avvenimenti (che superano una nostra diffusa capacità di comprensione ed intervento) sia in una mancata nostra percezione di altri fenomeni il cui lento divenire sfugge ad una nostra pur volenterosa attenzione. Dobbiamo tuttavia rilevare che vi sono anche altri segni sullo stato della Natura e della nostra condizione umana, sicuramente ben percepiti dalle nostre coscienze, che però trascuriamo perché ci lasciamo, irresponsabilmente e colpevolmente, trascinare dalla «immediatezza» del tornaconto economico del saper «approfittare» della fortuna che può capitare o del riuscire ad «evitare» la sfortuna che ci viene procurata.
Dunque non possiamo sempre confidare su un’ideale e verificata capacità umana di buona gestione della «diversità», così come un certo senso comune delle cose tenderebbe a farci immaginare. Forse, siamo troppo poco presenti a noi stessi per pretendere una migliore qualità di vita.
La nostra attenzione è troppo «distratta» dalle vorticose seduzioni su di noi esercitate dal mercato dei consumi e da quella sua potente deriva entropica che rende «sostenibile» il costo dei suoi effimeri prodotti, a fronte di una perdita «insostenibile» di risorse. Ma, non si tratta solo di «distrazione», c’è infatti da mettere in conto anche una nostra diffusa tendenza a banalizzare la complessità, dei fenomeni relazionali del nostro mondo, e a scaricare le responsabilità, della mancanza di buoni risultati e dei danni prodotti, sulla inefficienza dei modelli organizzativi del governo politico delle nazioni e dei sistemi produttivi (piuttosto che sui nostri comportamenti) e sulla inadeguatezza (piuttosto che sul rispetto) delle regole necessarie per un’equilibrata convivenza sociale. A ben riflettere si tratta di una mistificazione che pretende di attribuire la qualità di un’azione umana agli strumenti utilizzati e non alla volontà, alle conoscenze e ai modi di pensare e di agire di chi li usa e ancor più di chi ha ricevuto, per delega, le responsabilità politiche delle scelte.
1 A livello mondiale (cfr.
D. Rothkopf, Who is the Superclass?, Newsweek Web, 7 aprile 2008) si valuta che siano solo 6.000 gli individui che detengano un potere in grado di dettare l’agenda delle cose che contano nel nostro mondo.