Riflessioni dalla lettura di un recente libro

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In una sua opera, il prof. Hamburger riferiva di aver consultato il celebre neurologo Lhermitte a proposito di un suo paziente il quale, benché assistito da tutto un marchingegno, continuava a vegetare senza segni di miglioramento. Il prof. Lhermitte concluse il suo esame con queste parole: «Ma caro amico, il vostro malato è morto da parecchio». Così i macchinari scientifici erano riusciti a riproporre il famoso tema dei morti viventi caro alla letteratura dell’horror.
L’evoluzionismo o trasformismo biologico, una teoria in base alla quale le specie viventi discendono, perfezionandosi, da progenitori comuni e, per loro tramite, dalla materia bruta, è oggi un cadavere conservato a stento in uno stato di vita apparente.
È già molto tempo, tuttavia, che il morto presenta quei segni di putrefazione che, dicono voci autorevoli, vengono tenuti nascosti per ragioni strettamente ideologiche.
Già nel 1903, il famoso prof. Yves Delage (L’hérédité et la grand problème de la biologie générale) scriveva: «Sono assolutamente convinto che essere o non essere evoluzionisti non dipenda da ragioni desunte dalla storia naturale, ma dalle nostre opinioni filosofiche». Un ex direttore del Musèum National d’Histoire Naturelle di Parigi, Lemoine, qualche tempo dopo annotava: «L’evoluzione è una sorta di dogma al quale i sacerdoti non credono più, ma che tengono in piedi per il popolo». E persino l’illustre Jean Rostand (L’évolution, Delphine 1960), che comunque al dogma non intendeva rinunciare, lo definiva «una favola per adulti».
Il prof. Louis Bounoure, da parte sua, precisava: «Il più bell’esempio di sistema pseudoscientifico a priori è dato dalla teoria evoluzionista. L’evoluzione biologica è un mito del tutto illusorio».
Quanto sopra è tratto da: «Per finirla con l’evoluzionismo, delucidazioni su un mito inconsistente». Di Daniel Raffard de Brienne. Ed. Il Minotauro 2004.